[IT] Quasi cinque anni dopo, nell’aprile 1975, l’entrata trionfale a Phnom Penh dell’esercito dei “Khmer Rossi”, lo spietato movimento marxista cambogiano guidato da Pol Pot, Hun Sen fu nominato appena trentenne alla guida di un governo filovietnamita. Durante quella fase turbolenta della storia cambogiana recente, segnata dall’invasione delle truppe vietnamite nel dicembre 1978, il leader del Partito del Popolo cambogiano (PPC) diede prova fin da subito della sua capacità di adattarsi e di avvantaggiarsi della situazione politica dell’epoca, riuscendo in poco tempo a scalare il partito dall’interno.[1] Da premier, concordò con il governo comunista del Viet Nam unificato il ritiro delle truppe dal Paese nel settembre 1989 e negoziò gli “Accordi di Parigi” del 23 ottobre 1991, che posero fine a una sanguinosa guerra civile. Un accordo di pace che Tiziano Terzani giudicò “indecente” in quanto riconosceva a Pol Pot e ai Khmer Rossi – carnefici vestiti come “normali uomini d’affari” – una legittimazione politica.