Pechino e l’area di libero scambio tripartito

Il 26 marzo scorso i rappresentanti di Cina, Giappone e Corea del Sud si sono incontrati a Seoul per il primo round dei negoziati finalizzati alla conclusione dell’accordo per l’istituzione di un’area di libero scambio tra i tre paesi. Per quanto i tempi previsti non siano brevi, la prospettiva di un accordo commerciale tra Cina, Giappone e Corea ha sollecitato grande attenzione. La maggior parte dei commentatori si è soffermata sul potenziale economico e strategico dell’accordo a tre rispetto agli altri accordi regionali attualmente in corso di discussione, in particolare la Trans-Pacific Partnership (Tpp) e la Regional Comprehensive Economic Partnership (Rcep). D’altro canto, gli analisti non hanno mancato di sottolineare come un potente freno al possibile sviluppo di un accordo Cina-Giappone-Corea del Sud sia rappresentato dalle persistenti controversie territoriali tra i tre paesi. Il recente acuirsi delle tensioni – che ha peraltro coinciso con una fase di transizione politica ai vertici dei tre paesi – porta a chiedersi se l’Asia nord-orientale sia davvero avviata verso una fase di integrazione economica, o piuttosto se non rischi di essere teatro di conflitti anche gravi. La domanda si pone in particolare per la Cina di Xi Jinping, nuovo leader la cui ascesa al potere è stata offuscata da accese lotte interne al Partito e da vere e proprie purghe. È prevedibile che Xi cercherà di rafforzare la propria legittimazione interna attraverso politiche non tradizionali, sia sul piano interno sia su quello internazionale.

La proposta di un accordo di libero scambio tra Cina, Giappone e Corea del Sud fu avanzata per la prima volta da Seoul nel 1999, sotto forma di un’iniziativa di ricerca trilaterale. In un primo momento, in seguito alla crisi finanziaria asiatica del 1998, la prospettiva di un’integrazione economica regionale suscitò l’entusiasmo di Pechino. Successivamente, però, con l’adesione all’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) nel 2001, l’interesse cinese nel progetto si ridusse. Più recentemente, tuttavia, la Cina ha dedicato rinnovata attenzione al rafforzamento dei legami regionali, un nuovo orientamento cui ha contribuito la percezione di una minaccia (in chiave commerciale e strategica) posta da Stati Uniti e Unione europea, unita al rallentamento dell’economia giapponese.

Le dichiarazioni ufficiali cinesi presentano l’Accordo a tre in termini puramente economici: le espressioni utilizzate [sito in cinese] sono i “quattro grandi impatti” (si da yingxiang, 四大影响) – sul Pil, sul livello delle tariffe, sul disavanzo commerciale e sui settori più deboli – e le “tre grandi funzioni” (san da zuoyong, 三大作用) – apertura del mercato, “relazioni diplomatiche armoniose”, stabilità dell’ambiente di sicurezza. Gli studiosi, però, si concentrano soprattutto sulle implicazioni geo-strategiche [sito in cinese]: per esempio le ricadute che l’accordo avrà sulla gestione della questione nord coreana, nonché sulla leadership regionale.

Tanto i decisori politici quanto gli studiosi guardano all’accordo a partire dagli interessi nazionali in gioco, riconoscendo tuttavia l’impatto negativo esercitato dai conflitti identitari derivanti dalle vicende storiche dell’inizio del XX secolo. È un fatto che la recente escalation nei conflitti sulle isole contese nel Mar cinese orientale abbia rallentato i negoziati.

Le dinamiche in atto sembrano giocare a favore della Cina. Pechino percepisce come una minaccia la decisione di Tokyo di aderire alla Tpp, voluta da Washington e considerata uno strumento di contenimento anti-cinese. Per la Cina, ciò rende urgente la conclusione dell’accordo sull’area di libero scambio tripartita in Asia nord-orientale, al di là delle controversie marittime con Tokyo. Nei circoli di policy di Pechino si discute se si debba attribuire priorità a un accordo bilaterale con la Corea del Sud per esercitare pressione sul Giappone, o se invece la priorità debba andare proprio alle relazioni con il Giappone, attore-chiave nella regione grazie al ruolo internazionale della sua valuta. È chiaro, in ogni caso, che per la Cina l’area di libero scambio tripartita è preferibile alla Tpp e alla stessa Rcep, che pure è più accettabile per la maggior flessibilità delle previsioni in materia di liberalizzazione economica.

Le analisi coreane e giapponesi dimostrano che gli stessi obiettivi sono condivisi anche da Seoul e da Tokyo. A differenza di quanto previsto dai centri di ricerca americani, la Tpp non è una priorità né per la Corea né per il Giappone. Nel caso di Seoul, la vera priorità è un accordo bilaterale di libero scambio con la Cina, secondo un ordine di preferenza che coincide con quello di Pechino: prima l’area di libero scambio tripartita, poi la Rcep, e solo per ultima la Tpp. Anche Tokyo dà priorità all’accordo con Cina e Corea, per ragioni economiche tanto interne quanto internazionali. Il Giappone dipende infatti più dall’Asia orientale che dagli Stati Uniti e questo induce il paese a preferire l’integrazione con i vicini. A ciò si aggiunga che la Tpp comporterebbe forti costi interni. Pressioni provenienti dalla società giapponese forzano i decisori a perseguire livelli di liberalizzazione commerciale inferiori rispetto a quelli richiesti dalla Tpp.

In conclusione, non si può che rilevare come l’orientamento della politica estera di Xi Jinping si chiarirà meglio solo più avanti nel corso del suo mandato. Ciò che appare chiaro sin d’ora, però, è che la cooperazione – e non il conflitto – con i vicini dell’Asia nord-orientale è funzionale al rafforzamento della posizione cinese dinanzi agli Stati Uniti.

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