Gli ostacoli tariffari e non tariffari del commercio

I costi del commercio internazionale

I numerosi accordi commerciali entrati in vigore dal 1995 hanno condotto a una notevole riduzione dei dazi doganali, scesi tra il 1994 e il 2017 dall’8,6% al 2,6%[1]. Modesto, invece, è stato l’impatto nei confronti delle barriere non tariffarie, che rappresentano ancora i costi più significativi che ostacolano il commercio internazionale, specialmente per i Paesi a basso reddito[2]. Peraltro, i recenti traumi subiti dal commercio internazionale, come la pandemia da COVID-19 e la guerra in Ucraina, hanno messo ulteriormente in luce la natura e l’importanza delle barriere non tariffarie che, in situazioni estreme, possono comportare una completa interruzione degli scambi commerciali. Nella vasta letteratura economica e giuridica che ha esaminato le barriere non tariffarie, merita menzione per chiarezza e sinteticità uno studio dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE)[3] che ha raggruppato in tre categorie i costi del commercio internazionale, dalla fase di produzione fino alla consegna del bene al consumatore finale.

Poiché il superamento delle frontiere nazionali rappresenta un elemento cruciale in termini di costi, l’OCSE suggerisce di suddividere tali costi in varie fasi di consegna: (a) i costi nel trasporto dei beni verso il confine, come i costi dei servizi logistici o finanziari; (b) i costi “al confine” strettamente intesi; e infine (c) i costi al di là del confine, che comprendono i costi necessari per adeguarsi alle normative del Paese importatore e quelli necessari per introdurre il prodotto sul mercato nazionale. I costi “al confine” comprendono tipicamente costi diretti, come i dazi doganali, ma anche i costi indiretti causati dai ritardi nelle procedure, i costi opportunità, le spese per la conservazione delle merci nei magazzini soggetti a restrizioni doganali in attesa del rilascio e, in ultima analisi, i costi nascosti dovuti a pratiche illecite come corruzione e tangenti.

La riduzione di questi costi può essere realizzata attraverso la facilitazione del commercio, che rappresenta l’insieme di misure introdotte da uno Stato per semplificare, modernizzare e armonizzare le procedure di esportazione e importazione. La riduzione delle barriere non tariffarie fu contemplata dall’agenda dei negoziati del General Agreement on Tariffs and Trade (GATT) fin dal Kennedy Round, completato negli anni Sessanta del secolo scorso. Tuttavia, solo dalla fine degli anni Novanta la riduzione dei costi derivanti da tali barriere è diventata una priorità. Oltre alle iniziative unilaterali e regionali in materia su iniziativa di numerosi Stati, l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) ha promosso, nel dicembre 2013, la conclusione dell’accordo sulla facilitazione del commercio, entrato in vigore il 22 febbraio 2017 dopo essere stato ratificato dai due terzi dei membri dell’OMC.

L’accordo sulla facilitazione del commercio

L’accordo sulla facilitazione (o agevolazione) del commercio (AFC) dell’OMC promuove la semplificazione, l’armonizzazione e la modernizzazione delle procedure e delle pratiche di frontiera che influiscono sulla movimentazione delle merci, comprese le merci in transito[4]. A parte le previsioni di natura tecnica sulle procedure di importazione ed esportazione, l’AFC stabilisce anche disposizioni per favorire la cooperazione doganale fra gli Stati parte, oltre a un meccanismo che consente la modulazione degli impegni da parte dei Paesi meno sviluppati. In pratica, l’AFC consente a questi ultimi Paesi, in base al loro grado di sviluppo, periodi transitori entro i quali attuarne le disposizioni e prevede altresì la possibilità di beneficiare dell’assistenza tecnica fornita dall’OMC o dagli Stati sviluppati. Una breve lettura dell’AFC consente immediatamente di individuare alcuni suoi aspetti peculiari, riguardanti in particolare le disposizioni miranti a promuovere una migliore governance dei membri, quale elemento imprescindibile per la effettiva agevolazione delle procedure di importazione ed esportazione dei prodotti.

La reciproca influenza fra governance e facilitazione commerciale

Numerosi studi hanno sottolineato la diretta correlazione fra la qualità della governance di uno Stato e l’efficienza delle procedure di importazione ed esportazione dei prodotti[5]. Tale stretta correlazione deriva, almeno in parte, dalle peculiari caratteristiche di tali procedure ed è rafforzata dalla natura degli impegni che gli Stati hanno sottoscritto nel contesto dell’AFC. L’accordo, per esempio, obbliga gli Stati a standardizzare e semplificare i documenti doganali e commerciali, ad assicurare il coordinamento delle varie agenzie statali incaricate delle procedure, a utilizzare le tecniche di gestione dei rischi, a informare tempestivamente gli operatori commerciali di qualsiasi decisione di natura amministrativa delle agenzie competenti e, infine, a risolvere in modo equo e ragionevole eventuali controversie fra gli operatori commerciali e le agenzie governative.

Più in generale, la facilitazione commerciale promossa dall’AFC comporta l’impegno degli Stati a promuovere la trasparenza e la prevedibilità delle disposizioni normative, la semplificazione delle procedure e il rafforzamento della cooperazione fra le diverse agenzie competenti. È facilmente desumibile che il soddisfacimento dei requisiti posti dall’AFC richiede un notevole impegno nel rafforzare le istituzioni competenti, appartenenti ai tre tradizionali poteri dello Stato. Gli Stati devono, inoltre, assicurare l’accesso alla giustizia penale, civile o amministrativa agli operatori commerciali eventualmente coinvolti in controversie con le agenzie statali competenti. Da notare, infatti, l’enfasi posta dall’AFC alla predisposizione di adeguati strumenti di tutela giurisdizionale per gli operatori commerciali, tanto più delicata in quanto alcune violazioni di disposizioni riguardanti l’importazione e l’esportazione dei prodotti, in alcuni Paesi, sono considerate veri e propri reati.

Non è da sottovalutare, infine, lo specifico obbligo di evitare i ritardi nel completamento delle procedure derivanti dalla mancata cooperazione fra le agenzie competenti, i quali rappresentano uno dei fattori che rallentano maggiormente le procedure di sdoganamento delle merci. Si noti infatti che, nei modelli istituzionali ampiamente diffusi negli Stati parte dell’OMC, l’agenzia doganale assume, generalmente, solo parte delle responsabilità riguardanti l’attuazione delle normative applicabili al commercio internazionale, risultando comunque l’organo di maggiore visibilità per gli operatori commerciali. Spetta, infatti, all’agenzia doganale prendere in carico le merci che transitano alla frontiera e rilasciarle una volta completate le necessarie procedure. Parte delle operazioni doganali riguardano il controllo delle certificazioni, e le eventuali ispezioni, necessarie per verificare la conformità delle merci importate con le normative nazionali che presiedono alla protezione di obiettivi pubblici legittimi, quali la tutela della salute di persone, animali o piante, o quella della sicurezza dei consumatori.

Mentre il controllo documentale rimane nella sfera di competenza delle autorità doganali, eventuali ispezioni richiedenti, ad esempio, l’analisi in laboratorio di campioni del prodotto, rientrano nella responsabilità di agenzie afferenti ad altri dicasteri. Il coordinamento fra diverse agenzie, peraltro, non si limita alla previsione di norme amministrative atte a gestire i rapporti interistituzionali. È necessario, infatti, l’intervento del legislatore, se – come accade in diversi Paesi – singoli prodotti sono soggetti a multiple certificazioni (e, di conseguenza, controlli) operati da diverse agenzie. Si pensi al caso dei prodotti caseari, la cui importazione in Viet Nam, ad esempio, richiede differenti certificazioni rilasciate da due Ministeri, quello dell’Agricoltura e quello della Salute[6].

I pochi esempi riportati chiariscono le interrelazioni fra la qualità della governance e l’efficienza delle operazioni di importazione ed esportazione delle merci. La rilevanza della governance per la trade facilitation è ulteriormente confermata dagli obblighi ulteriori posti dall’AFC in capo agli Stati membri. In alcuni casi, infatti, l’AFC promuove direttamente il rispetto di alcuni principi fondamentali di governance, funzionali alla facilitazione del commercio come, ad esempio, l’articolo 5 dell’AFC che introduce misure atte a rafforzare l’imparzialità, a prevenire comportamenti discriminatori e ad assicurare la trasparenza degli organi incaricati delle procedure di importazione ed esportazione. Come anticipato in precedenza, l’AFC ha, anche, un impatto indiretto sulla governance di un singolo Paese: basti pensare all’impegno sottoscritto dagli Stati, in base all’art. 10 (par. 4.4), a usare le tecnologie dell’informazione a supporto dello sportello unico, istituito per consentire agli operatori commerciali di presentare le rilevanti documentazioni per il commercio dei beni alle autorità competenti attraverso un unico punto di ingresso. Tale disposizione, riducendo le interazioni fra operatori economici e funzionari di frontiera, è funzionale a limitare i rischi di corruzione, anche in conformità con i principi stabiliti dall’Organizzazione Mondiale delle Dogane (OMD), organizzazione intergovernativa che sviluppa standard internazionali, favorisce la cooperazione e rafforza le capacità tra le amministrazioni doganali per facilitare il commercio.

Se, da un lato, l’AFC stimola riforme che migliorano anche la governance di uno Stato, dall’altro la qualità della governance ha un significativo impatto positivo sulle misure di facilitazione del commercio. La qualità della governance è, infatti, fondamentale per l’attuazione efficace ed efficiente degli accordi internazionali e, di conseguenza, anche dell’AFC. È stato, inoltre, sottolineato che i Paesi in Via di Sviluppo (PVS) e di piccole dimensioni sono più sensibili all’impatto dei fattori istituzionali sulle loro prestazioni in materia di facilitazione al commercio rispetto ai Paesi sviluppati e di grandi dimensioni[7]. In primo luogo, questi Paesi sono spesso caratterizzati da economie più vulnerabili e meno diversificate, il che li rende più dipendenti dal commercio internazionale: di conseguenza, qualsiasi ostacolo al commercio può avere un impatto significativo sulla loro crescita economica. È evidente, poi, che la loro limitata capacità istituzionale ostacola l’effettiva attuazione delle politiche e delle procedure necessarie per facilitare il commercio. Non va, poi, scordato, che i PVS hanno un accesso limitato alle tecnologie e alle infrastrutture che, soprattutto in tempi recenti, contribuiscono sostanzialmente a facilitare il commercio.

L’impatto di un’efficace politica di facilitazione al commercio

Sin dalla sua entrata in vigore, numerosi studi hanno cercato di calcolare l’impatto dell’AFC sulle economie degli Stati parte. Le stime effettuate prima che l’AFC dispiegasse i propri concreti effetti hanno mostrato valori superiori, al momento, rispetto agli studi basati sui dati effettivi dopo la sua entrata in vigore: ad esempio alcuni studiosi e l’OCSE hanno stimato che l’entrata in vigore dell’AFC avrebbe ridotto i costi commerciali (costi di importazione ed esportazione dei prodotti) di circa il 14%[8], rilevando, peraltro, che le economie con le maggiori carenze pre-attuazione, tipicamente i Paesi meno sviluppati, avrebbero goduto del maggior beneficio. Tuttavia, il primo studio post-attuazione fornisce stime significativamente inferiori, anche se comunque consistenti, con una riduzione dei costi commerciali variabile, a seconda dei Paesi, dall’uno al 4%[9]. Le stime tengono conto dell’impatto delle misure di facilitazione al commercio su diverse variabili rilevanti.

In primo luogo, la facilitazione al commercio comporta la diminuzione dei costi fissi e variabili associati alle attività commerciali. I costi fissi includono spese come, ad esempio, la creazione e la gestione delle operazioni commerciali, l’organizzazione delle reti di distribuzione e il rispetto delle normative nazionali vigenti. I costi variabili, invece, riguardano le spese sostenute durante il trasporto effettivo delle merci, come i costi di spedizione e di trasporto. Si noti, inoltre, che parte dei costi sofferti dalle imprese sono connessi alle difficoltà di interpretare le normative applicabili, in particolare quelle del Paese di importazione.

Sono note, infatti, le difficoltà nell’interpretazione, ad esempio, delle procedure doganali, requisiti documentali e conformità alle norme internazionali. La riduzione dell’incertezza, promossa dalla facilitazione del commercio, incoraggia le imprese a prendere decisioni informate sul commercio, poiché possono meglio prevedere e pianificare le sfide potenziali. Le barriere commerciali, in più, possono presentarsi sotto forma di eccessiva burocrazia, documentazione superflua e procedure amministrative complesse, comunemente denominate red tape. Le misure di facilitazione del commercio mirano a semplificare e razionalizzare tali processi burocratici.

Infine, come già accennato, la maggiore trasparenza riduce anche i cosiddetti “costi informali”, legati a corruzione ed altre pratiche illecite. La riduzione dei costi rende più appetibile alle imprese la partecipazione al commercio: l’OMC ha stimato un incremento dell’export annuale medio tra il 2,06% e il 2,73% tra il 2015 e il 2030 dovuto proprio all’attuazione del TFA. La stessa OMC, infine, ha stimato un incremento del PIL medio per i Paesi membri compreso tra lo 0,34% e lo 0,54%, a seconda del grado di attuazione del TFA.

Conclusioni

L’efficacia della governance è cruciale per promuovere un’attuazione efficace ed efficiente delle misure di facilitazione commerciale, che sono a loro volta fondamentali per la riduzione delle barriere commerciali e dei costi commerciali, nonché per il miglioramento dell’inclusività della crescita, soprattutto per i PVS e le economie di piccole dimensioni, che sono particolarmente sensibili all’impatto della governance sulle loro prestazioni in materia di facilitazione al commercio.


[1] Beverelli, C., et al. (2023), “Trade and Welfare Effects of the WTO Trade Facilitation Agreement”, WTO Staff Working Paper, ERSD-2023-04, 28 febbraio, disponibile online al link https://www.wto.org/english/res_e/reser_e/ersd202304_e.pdf.

[2] Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) (2021), “WTO Trade Cost Index: Evolution, Incidence and Determinants”, disponibile online al link http://tradecosts.wto.org/.

[3] Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) (2018), Trade Facilitation and the Global Economy, disponibile online al link https://www.oecd.org/development/trade-facilitation-and-the-global-economy-9789264277571-en.htm.

[4] OMC, “Trade Facilitation”, disponibile online al link https://www.wto.org/english/tratop_e/tradfa_e/tradfa_e.htm.

[5] Kumari, M., e N. Bharti, (2021), “Linkages Between Trade Facilitation and Governance: Relevance for Post-COVID-19 Trade Strategy”, Millennial Asia, Vol. 12(2), pp. 162-189.

[6] Vietnam Law & Legal Forum (2021), “Case of ‘Stuck’ Relief Goods Prompts the Need to Simplify Specialized Inspection Procedures”, 14 novembre, disponibile online al link https://vietnamlawmagazine.vn/case-of-stuck-relief-goods-prompts-the-need-to-simplify-specialized-inspection-procedures-48137.html.

[7] Kumari e Bharti, op. cit., pp. 174-182.

[8] Moïsé, E., e S. Sorescu (2013), “Trade Facilitation Indicators: The Potential Impact of Trade Facilitation on Developing Countries’ Trade”, OECD Trade Policy Paper, n. 144, OECD Publishing, Parigi, disponibile online al link https://www.oecd-ilibrary.org/trade/trade-facilitation-indicators_5k4bw6kg6ws2-en.

[9] Duval, Y., e C. Utoktham (2022), “Has the WTO Trade Facilitation Agreement Helped Reduce Trade Costs?: An Ex-Post Analysis”, UNESCAP Trade, Investment and Innovation Working Paper, n. 2, disponibile online al link https://www.unescap.org/kp/2022/has-wto-trade-facilitation-agreement-helped-reduce-trade-costs-ex-post-analysis.

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