La prima portaerei cinese: tra strategia e pressioni nazionalistiche

Quest’estate ci sono stati importanti sviluppi nel processo di modernizzazione navale della Cina. Per la prima volta sono stati resi noti ufficialmente i lavori di completamento della portaerei ex-“Varyag” (appellativo risalente all’epoca sovietica). Lo scafo, che la Cina ha acquisito nel 1998 dall’Ucraina, è stato trasferito nel cantiere navale di Dalian nel 2002. Il 27 luglio scorso il portavoce del Ministero della Difesa ha fornito alcuni dettagli, asserendo tra l’altro che la Varyag verrà destinata a fini di ricerca scientifica, sperimentazione e addestramento. Dal 10 al 14 agosto scorsi la Varyag ha effettuato i primi test in mare. Per la sua piena operatività saranno però necessari diversi anni, come sottolineato di recente anche dal Dipartimento della Difesa statunitense nel suo Rapporto annuale al Congresso (cfr. anche articolo seguente).

Il programma per la realizzazione della portaerei è coerente con l’evoluzione di lungo periodo della dottrina navale cinese che, a partire dai primi anni Ottanta, ha progressivamente ampliato i compiti della Marina cinese (People’s Liberation Army Navy, Plan) e, parallelamente, il suo perimetro di attività.

Una prima rilevante revisione della dottrina navale risale all’inizio degli anni Ottanta, quando fu introdotto il concetto di “diritti e interessi marittimi” (haiyang quanyi, 海洋权益). Nelle fonti cinesi il concetto viene prevalentemente utilizzato per indicare i diritti e gli interessi economici dello Stato costiero sui mari su cui ci affaccia. L’accento viene posto soprattutto sull’accesso a risorse marittime cruciali per lo sviluppo economico, come riserve di idrocarburi e risorse ittiche. Dalla metà degli anni Ottanta, la protezione di “diritti e interessi marittimi” rientra tra i compiti della Plan. Questo viene anzi considerato il contributo speciale della Plan allo sviluppo economico della Cina, come affermato in un articolo pubblicato nel novembre 1984 dal Renmin Ribao (Quotidiano del Popolo) a firma di Liu Huaqing (刘华清), allora comandante della Plan e in seguito vicepresidente della Commissione Militare Centrale.

Una seconda importante revisione risale all’inizio dello scorso decennio, con l’introduzione del concetto di “sicurezza marittima” (hai shang anquan, 海上安全). Il concetto fa riferimento in particolare alla sicurezza delle vie di comunicazione marittima (SLOCs, secondo l’acronimo in inglese), lungo le quali transita buona parte del commercio estero cinese. Data l’importanza del commercio estero per lo sviluppo economico del paese, la sicurezza delle SLOCs viene oggi considerata a Pechino come un interesse di primaria importanza. Il punto è ben illustrato da un articolo sugli interessi nazionali della Cina pubblicato nel 2005 su Zhongguo Junshi Kexue (“China Military Science”), autorevole rivista dell’Accademia delle Scienze Militari. Nell’articolo, la sicurezza delle SLOCs viene classificata tra gli “interessi maggiori” (zhongda liyi, 重大利益), secondi solo agli “interessi fondamentali” (hexin liyi, 核心利益), che includono tra l’altro la riunificazione di Taiwan alla Cina continentale. Dall’inizio dello scorso decennio la dottrina navale prevede, tra i compiti della Plan, operazioni connesse alla sicurezza delle SLOCs, specialmente attraverso la cooperazione con altri sStati, come avviene correntemente al largo delle coste della Somalia.

La razionalità strategica della portaerei risiede quindi nell’incrocio tra questi due livelli: da un lato l’accesso alle risorse nei mari su cui la Cina dichiara autorità; dall’altro la navigazione in sicurezza lungo le SLOCs.

Non ci sono però solo le ragioni strategiche. La portaerei ha, infatti, acquisito anche un forte valore simbolico, specialmente negli ultimi anni: per molti cinesi, inclusi numerosi intellettuali, è diventata un simbolo della rinascita della Cina e del suo ritrovato status internazionale. Ne è testimonianza un commento pubblicato a fine luglio su Huanqiu Shibao (“Global Times”) a firma di Zhang Wenmu (张文木), professore all’Università di Aeronautica e Astronautica di Pechino e noto ideologo del potere marittimo cinese. Ribadendo uno dei suoi argomenti più noti, Zhang scrive che “senza portaerei uno Stato non ha un reale diritto di parola nei grandi fatti della politica internazionale”. Opinioni di questo genere, oggi piuttosto diffuse, riflettono il “nuovo nazionalismo” cinese, come lo si è chiamato: un nazionalismo che tende a sfuggire al controllo delle autorità ed è anzi in grado di influire sugli orientamenti del governo. Per spiegare i recenti progressi nel programma di modernizzazione navale cinese si deve considerare questo contesto più ampio, come sostenuto anche da Robert Ross, professore al Boston College. Anche a Pechino la politica interna conta, e la portaerei rappresenta lo strumento ideale per assecondare le crescenti pressioni nazionalistiche.

Published in:

  • Events & Training Programs

Copyright © 2024. Torino World Affairs Institute All rights reserved

  • Privacy Policy
  • Cookie Policy