Singapore style

RISE vol. 8 n. 2-3

Il 15 maggio scorso Lee Hsien Loong ha lasciato, dopo vent’anni, la carica di primo ministro a Lawrence Wong, giovane esponente della “Quarta generazione” di leader politici singaporiani. Questo passaggio di consegne era stato concordato da tempo e precede le elezioni politiche che si terranno, presumibilmente, entro la metà del 2025. Al nuovo leader della città-Stato toccherà non solo guidare un Paese che – sulla base della valutazione dei principali indicatori macroeconomici – gode di buona salute, malgrado gli eventi internazionali più recenti non abbiano risparmiato nemmeno il Sud-Est asiatico, bensì anche rivitalizzare un partito, il People’s Action Party (PAP), che sta scontando una crisi di credibilità dovuta a una serie di scandali che, negli ultimi anni, ha coinvolto diversi suoi membri. Alle prossime consultazioni è data per certa la riconferma del PAP – al potere ininterrottamente dal 1959 – e spetterà proprio a Wong dedicarsi alle sfide che Singapore dovrà affrontare nell’immediato.

Una di queste riguarda il consolidamento dell’“armonia razziale” tra le tre principali comunità etniche del Paese, frutto di un modello di successo che spiega la longevità politica del partito di governo, ma che presenta diverse zone d’ombra. Al contempo, la nuova generazione di leader dovrà ridefinire le strategie di politica estera in un contesto internazionale sempre più complesso: ciò comporta che, rispetto al passato, il Paese dovrà esprimere con forza la propria posizione nelle sedi internazionali, rimanendo comunque fedele ai propri principi e senza l’impellenza di decidere da che parte stare nella rivalità tra Cina e Stati Uniti. Singapore dovrà, inoltre, coltivare i rapporti con l’ASEAN e, nello specifico, con l’Indonesia, uno dei suoi principali partner economici e strategici nella regione.

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