[Yìdàlì 意大利] Le opportunità per il settore vinicolo in Cina. Intervista a Denis Pantini

La Cina è in testa al consumo mondiale di vino rosso, con 1,86 miliardi di bottiglie vendute nel 2013, più di Francia e Italia (rispettivamente al secondo e terzo posto) secondo gli ultimi dati di International Wine & Spirit Research. Conti alla mano, l’aumento in questo settore è stato del 136% rispetto ai dati di cinque anni fa. Il mercato cinese, lo scorso anno, è valso 155 milioni di casse da nove litri ognuna, contro i 150 milioni della Francia e i 141 milioni dell’Italia. Il rosso piace ai cinesi, che lo conoscono sempre di più. C’è chi dice che sia per via del colore, che porta fortuna in Cina, e chi, invece, lo associa alla politica, ma il rosso sta vivendo un periodo di boom, e gli importatori crescono.

Mentre i cinesi bevono sempre più vino, e i vini italiani e francesi sono sempre più presenti tra gli scaffali delle catene dei supermercati-boutique di Pechino, come Bhg o Jenny Lou’s, proprio in Italia e in Francia il consumo scende. Dal 2005 a oggi, le vendite sono calate del 5,8% nel nostro paese e del 18% in Francia, anche se, nei dati pro-capite, Roma e Parigi rimangono tra i maggiori consumatori mondiali. In questo caso la Francia è al terzo posto al mondo, dietro Vaticano e Andorra, con 44 litri di vino a persona, circa sette miliardi di bottiglie, in totale, secondo uno studio del California Wine Institute. Ancora battuta l’Italia (anche se su dati relativi al 2011), al nono posto con 37,6 litri a testa. A fare sorridere i produttori nostrani sono le esportazioni di spumante, sempre più apprezzato in terra cinese. L’aumento, nel 2013, è stato dell’86%, secondo i dati di Nomisma Wine Monitor, che si occupa delle statistiche di settore. Più contenuto il dato dell’aumento delle esportazioni di vini in bottiglia: l’11% in più rispetto al 2012.

Se anche il mercato interno tradisce i produttori italiani, l’unica è puntare sulle esportazioni, e la Cina è in questo momento lo sbocco più attraente per i marchi del made in Italy noti in tutto il mondo, non solo secondo le stime dei nostri produttori. Sono 19 milioni i consumatori abituali di vino nel paese, secondo le stime dell’istituto britannico International Wine and Spirit Research: un numero che, da solo, porta la Cina al quinto posto a livello mondiale, dopo Stati Uniti, Italia, Francia e Germania. Proprio per andare incontro ai gusti sempre più sofisticati e ai portafogli sempre più pesanti dei ricchi cinesi, la casa d’aste britannica Christie’s ha aperto lo scorso anno a Hong Kong la prima agenzia immobiliare rivolta ai cinesi che possono permettersi di acquistare i migliori vigneti in circolazione.

A turbare le aspettative di crescita dei produttori sono le inchieste avviate dal governo cinese sugli esportatori di vino. L’indagine governativa è stata lanciata all’indomani della decisione della Commissione europea di procedere con dazi provvisori contro i produttori cinesi di pannelli solari accusati di vendere i moduli fotovoltaici sotto costo nell’Eurozona e gli esportatori europei di vino hanno accolto con un certo allarme il rischio di un’altra “guerra commerciale” tra i due blocchi. “Non si deve arrivare assolutamente a imporre nuovi dazi, e siamo convinti che non ci siano elementi oggettivi in tal senso – aveva dichiarato il presidente di Confagricoltura Mario Guidi a giugno scorso, quando l’inchiesta prese il via – Invitiamo dunque il governo e le autorità comunitarie a trovare una soluzione prima di mettere a repentaglio un comparto e un mercato nel quale le nostre esportazioni stanno raccogliendo successi importanti”.

Dazi contro produttori europei sarebbero un grattacapo non da poco per i produttori italiani: della Cina non si può fare a meno. “Questo Paese rappresenta il principale mercato di riferimento per i produttori mondiali di vino – spiega ad AgiChina 24 Denis Pantini, project manager di Nomisma Wine Monitor – Al di là del potenziale di consumo determinato dalla popolazione più numerosa al mondo, sono sicuramente le prospettive di crescita economica e la diffusione del benessere a rendere interessante e indispensabile questo mercato per le nostre imprese”.

Quali fattori attraggono i cinesi nei confronti del vino italiano? Il vino è ancora un simbolo di benessere in Cina?

Al di là delle tipologie offerte, l’elemento più forte che attrae i cinesi è il cosiddetto “Italian dream”, che identifica il buon vivere e la buona alimentazione nella cucina mediterranea e nel lifestyle italiano. Per tale motivo, ancora oggi, dopo diversi anni di diffusione, il vino – e in particolare quello italiano – viene molto apprezzato soprattutto nella “regalistica”.

Il vino rosso rappresenta ancora per molti una novità, forse anche esotica?

Diverse fonti hanno accreditato la Cina come il principale mercato di consumo al mondo di vino rosso. Al di là dei gusti – mai dimenticare l’importanza della capacità di un vino di sposarsi con la cucina del paese – non bisogna tralasciare l’aspetto “scaramantico” e bene augurante che il rosso detiene nella cultura cinese. Alla luce del significato simbolico detenuto dal vino, che racchiude status, benessere, stile di vita, si comprende a maggiore ragione la predilezione dei cinesi per i vini rossi.

Mentre in Cina sale il consumo di vino, in Italia e Francia scende. Sarà sempre più una necessità per i produttori guardare alla Cina come sbocco commerciale?

Assolutamente sì, anche se la Cina nel 2013 ha preso fiato per quanto riguarda le importazioni di vino, che sono scese del 5% in valore e del 4,4% in consumo. Negli ultimi venti anni erano cresciute in maniera esponenziale, passando da 1,7 milioni a 1,1 miliardi di euro. Il vino è un bene voluttuario, la cui domanda è fortemente correlata al reddito: le prospettive che in Cina, entro i prossimi cinque anni, ci possano essere altri 60 milioni di individui in più rispetto a quelli attuali con reddito pro-capite annuo superiore ai 30.000 dollari – praticamente lo stesso reddito medio pro-capite degli italiani – fanno capire l’interessamento delle imprese vinicole. Il problema è che forse l’Italia se ne è resa conto tardi. I francesi hanno avviato una joint venture con operatori cinesi nel settore dei vini e dei liquori già dagli anni Ottanta e oggi pesano per quasi il 50% sul valore delle importazioni di vino in Cina. Le imprese italiane (meno strutturate e più frammentate) stanno oggi rincorrendo gli importatori per arrivare sul mercato, con il risultato che – pur a fronte di crescite significative – il nostro peso sull’import di vino è pari ad appena il 7%.

I cinesi non si accontentano più di acquistare le bottiglie, ma si espandono ai vigneti. La casa d’aste Christie’s ha dedicato loro un’agenzia immobiliare in cui potranno acquistare i migliori vigneti in circolazione. In futuro, il vino – da sempre considerato patrimonio della nostra tradizione – parlerà cinese?

Questa è sicuramente una forzatura, ma non dobbiamo sottovalutare la “potenza di fuoco” degli investitori cinesi. È dei giorni scorsi la notizia che i cinesi hanno comprato Krizia, ma le acquisizioni di marchi e imprese italiane da parte di fondi e operatori cinesi sono ormai diverse, anche nel caso del vino, e in particolare del Chianti. D’altronde, si tratta di imprese sul mercato e come tali appetibili, soprattutto alla luce dell’apprezzamento che il made in Italy alimentare riscuote nel mondo, vino compreso. Purtroppo non si può fare molto per limitare questa tendenza: più acquisiamo notorietà a livello mondiale, più suscitiamo gli appetiti degli investitori che, a differenza degli italiani, hanno oggi molti più soldi da spendere. Sembra un paradosso, ma è così. Un tempo erano i francesi e i tedeschi a comprare i nostri marchi e le nostre aziende, e lo fanno ancora oggi, ma da domani saranno sempre più cinesi e altri asiatici. È lo scotto che paga il nostro sistema industriale, debole e frammentato, dove gli imprenditori faticano a crescere in dimensione, anche a causa di vincoli strutturali legati al “sistema paese”, come l’accesso ai capitali o la burocrazia, che non aiutano in questi momenti di crisi.

Quali potrebbero essere le conseguenze di un’imposizione dei dazi per gli esportatori italiani di vino in Cina, nel caso in cui venissero confermate le sanzioni?

Il calo nelle importazioni di vino verificatori nel 2013 ha riguardato principalmente i vini francesi che si posizionano su prezzi medi più alti. Questo potrebbe essere spiegato come una “riformulazione” delle politiche commerciali degli importatori che, spaventati da un possibile inasprimento dei dazi determinato dalle sanzioni antidumping, hanno ridotto o congelato gli acquisti dei vini più costosi, quelli francesi, appunto. Oggi, mediamente, i vini europei pagano un dazio di circa il 14,5% per entrare nel mercato cinese. Se queste sanzioni dovessero essere confermate, gli impatti si riverserebbero anche sui vini italiani andando a favorire altri competitor, come il Cile, che all’opposto gode di un accordo commerciale e che vede non solo l’applicazione di un dazio agevolato, ma praticamente la scomparsa dell’imposizione doganale a partire dal 2015.

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