Welfare state in stile cinese

La questione dell’estensione del sistema di sicurezza sociale per i cittadini della Repubblica popolare cinese (Rpc) è stata posta con sempre maggior enfasi negli anni più recenti. I motivi di questo rinnovato interesse sono vari, si intrecciano con i processi di crescita economica e demografica del paese, e si pongono con insistenza da quando il governo ha iniziato a perseguire un percorso di sviluppo maggiormente inclusivo di tutti gli strati della popolazione.

Il sistema di protezione sociale cinese è basato su programmi di assicurazione e assistenza sociale. Una ricostruzione storica del processo di formazione del sistema di sicurezza sociale nel paese identifica tre fasi, che hanno inizio dal 1951. La prima fase (1951-1978) ha visto l’introduzione degli strumenti di base di assicurazione sociale, rivolti però principalmente agli addetti delle imprese statali nelle aree urbane. Durante la seconda fase (1978-2002) il sistema di protezione sociale di tipo contributivo è stato esteso, specialmente nelle aree urbane. È tuttavia con la terza fase, che ha inizio nel 2003, che il sistema di protezione sociale si espande su più larga scala, in linea con l’obiettivo espresso dal governo nel 2006 di raggiungere una copertura universale, con un focus sul sistema pensionistico e sulla sanità. In effetti, se si guarda agli obiettivi di copertura dei diversi strumenti esistenti nell’ambito delle pensioni e dell’assicurazione sanitaria nelle aree urbane e rurali previsti (e raggiunti) nell’undicesimo piano quinquennale – nonché ai nuovi obiettivi riportati in quello successivo – sembrerebbe che già oggi la gran parte della popolazione sia coperta dagli schemi previdenziali attivi nel paese.

Quella del sistema pensionistico sembra essere tra le partite più interessanti per il futuro dell’economia cinese. Anche in conseguenza degli effetti delle politiche demografiche della fine degli anni Settanta, la Rpc ha potuto contare su una popolazione relativamente giovane e su una struttura della stessa che ha favorito la crescita economica. Già oggi, quella che viene definita la “finestra demografica” è in fase di chiusura, lasciando in eredità una società con alti tassi di dipendenza nei confronti degli anziani (Figura 1), che sono più di 200 milioni e che arriveranno a contare per un terzo della popolazione nel 2050. Ciò ha conseguenze sia sul mercato del lavoro che, soprattutto, sulla tenuta del sistema previdenziale. Se nel 2009 poco meno del 30% della popolazione adulta era iscritta a uno dei sistemi pensionistici esistenti nel paese, negli anni più recenti tale quota ha già superato la metà della popolazione attiva.

Questo incremento è dovuto alla creazione di un nuovo schema pensionistico volontario introdotto nel 2009 nelle aree rurali del paese e sviluppatosi nell’ambito delle politiche di perequazione dei divari rurali-urbani e di sviluppo dei consumi domestici. Lo schema rimpiazza un sistema di pensioni volontario basato su contributi individuali i cui livelli di copertura erano bassi, introducendo un sistema di sussidi pubblici a copertura parziale dei contributi individuali in base al loro ammontare, e a copertura totale per quel che riguarda i contributi delle categorie più vulnerabili e per i residenti delle aree rurali delle regioni più arretrate. Tra il 2010 e il 2011, in particolare, più di 200 milioni di persone sono entrate nel programma (Figura 2). Secondo l’International Labour Organization (Ilo), grazie all’introduzione dello schema pensionistico rurale, la quasi totalità degli anziani nella Rpc riceve oggi una pensione, ma solo per un terzo il contributo è sufficiente per affrontare i bisogni primari. Oltre al problema della consistenza dei contributi, negli anni a venire – con la crescita della popolazione in età pensionabile – si porrà un problema di sostenibilità finanziaria del modello in essere, che – come prospettato da un recente articolo dell’Economist – imporrà un cambiamento del sistema di accantonamento e, con ogni probabilità, un aumento dell’età pensionabile.

Altro tema di grande attualità è quello della copertura sanitaria nazionale. Un recente rapporto della Banca Mondiale ha messo in evidenza come, anche in questo caso, la Rpc abbia fatto progressi sostanziali negli ultimi anni, raggiungendo una copertura sanitaria di base per la quasi totalità della popolazione. Ciò è da attribuire a un forte aumento della spesa pubblica nel settore, volto a raggiungere l’obiettivo di maggiore equità nell’accesso ai servizi. Oggi la spesa sanitaria è tra le più rilevanti nel budget di governo, avendo raggiunto nel 2011 un peso di poco superiore al 5% sul prodotto interno lordo. Va osservato anche come la crescita della spesa sanitaria sia coincisa con una redistribuzione delle fonti di spesa, segnata da un ridimensionamento della quota a carico dei cittadini rispetto a quella pubblica, spinta dai maggiori esborsi per garantire l’accesso ai servizi sanitari ai più poveri, nonché da un incremento significativo delle infrastrutture e dei servizi ai cittadini (Figura 3).

Tra i maggiori programmi, vanno segnalati l’assicurazione di base per gli addetti nelle aree urbane (UEBMIS, “Urban Employees Basic Medical Insurance Scheme”), basato sui contributi individuali e delle imprese; l’assicurazione per i residenti delle aree urbane (URBMIS, “Urban Residents Basic Medical Insurance Scheme”), uno schema volontario basato sui contributi individuali e sui sussidi dei governi locali (che ad esempio coprono interamente alcune categorie di individui, quali disabili o poveri); e, infine, lo schema medico cooperativo rurale (NRCMS, “New Rural Cooperative Medical Scheme”), rivolto alle famiglie, volontario sulla carta ma di fatto fortemente sostenuto dai governi locali che coprono in media l’80% del premio (Tabella 1). Anche in questo caso, tuttavia, permangono rischi sulla sostenibilità del modello adottato negli anni recenti. Lo stesso studio della Banca Mondiale sottolinea infatti come l’accesso di massa abbia generato problemi di sovrautilizzo dei servizi e come la tenuta economica del sistema sia a rischio se le risorse non vengono utilizzate in modo più efficace, e con strumenti finanziari sostenibili nel lungo periodo.

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