[IT] Nel 1292 – come gli indonesiani imparano a scuola – Kublai Khan inviò una spedizione punitiva a Giava. Un emissario, inviato a Giava per richiedere il pagamento del tributo alla dinastia Yuan, ne aveva fatto ritorno mutilato. L’isola riuscì però a respingere l‘invasione cinese. La vittoria avrebbe segnato l’ascesa di Majapahit, l’impero che i nazionalisti indonesiani considerano antenato storico del loro paese. L’aneddoto serve a ricordare quanto sia lunga – in Indonesia – la storia dei timori verso la Cina.
[IT] Come ormai è noto ai più, gli investimenti massicci che la Cina sta facendo nel continente africano hanno una duplice finalità: approvvigionamento di risorse naturali (petrolio e gas naturale, minerali) di cui il Paese è particolarmente carente, e creazione di una piattaforma produttiva per sopperire all’aumento del costo del lavoro (+22% dei salari minimi nel 2011 secondo il Financial Times).
[IT] Nello scorso mese di luglio i leader della Repubblica popolare cinese (Rpc) e della maggioranza dei paesi africani (ad eccezione di Burkina Faso, Gambia, Sao Tomé e Swaziland, che mantengono relazioni diplomatiche con Taiwan) si sono incontrati a Pechino per il quinto Forum sulla cooperazione Cina-Africa (Focac – Forum on China Africa Cooperation).
[IT] Ad agosto sono tornate ad accendersi le tensioni tra Cina e Giappone sulle isole Diaoyu, dopo che il Giappone ha arrestato i membri di una spedizione partita da Hong Kong e sbarcata sulle Diaoyu per riaffermare la sovranità della Cina sull’arcipelago. Il governo cinese, con la consueta indignazione, ha trasmesso al Giappone forti rimostranze diplomatiche, reclamando al tempo stesso l’immediata liberazione dei cittadini cinesi.
[IT] Dopo la crisi di Piazza Tiananmen e lo sfaldamento dell’impero sovietico, molti pronosticarono l’imminente crollo del Partito-Stato cinese, o la sua apertura in senso democratico. La contraddizione tra il permanere di un sistema politico dichiaratamente comunista e la diffusione di pratiche economiche di matrice capitalistica appariva insostenibile negli anni che avrebbero portato all’egemonia culturale del cosiddetto “Washington consensus”.