Ascesa e caduta del Partito comunista di Thailandia

L’attività comunista in Thailandia è stata avviata dai cinesi residenti nel 1922. Nel 1927, molti comunisti cinesi fuggirono in Thailandia a causa del conflitto con il Guomindang e fondarono il movimento comunista. Seguendo le istruzioni dell’Internazionale comunista (COMINTERN), Ho Chi Minh contattò i rappresentanti dei comunisti vietnamiti stanziati nel nord-est della Thailandia e i comunisti cinesi stanziati a Bangkok prima di fondare il Partito Comunista del Siam (PCS) nella capitale thailandese, il 20 aprile 1930. Il PCS non era ancora composto da membri di etnia thailandese e Ho Chi Minh nominò come segretario Ngo Chinh Quoc, un vietnamita che parlava thailandese e cinese. Fino alla costituzione del Comitato centrale nel 1934, le attività principali consistevano nell’organizzare gruppi locali e distribuire volantini contro la dittatura, il feudalesimo e l’imperialismo. In seguito alla risoluzione del settimo congresso mondiale del COMINTERN del 1935, il partito si diede obiettivi antimperialisti, soprattutto in opposizione al Giappone, e antifeudali. Dopo l’insediamento del governo del feldmaresciallo Phibun nel 1938, il PCS perseguiva una serie di obiettivi: la cooperazione in chiave antigiapponese, l’opposizione al regime militare di Phibun e il sostegno alla Cina, che era in guerra con il Giappone. Nel 1939, le autorità thailandesi repressero definitivamente il PCS, che mirava a una rivoluzione nel Siam[1].

Nel 1940, il COMINTERN inviò Li Qixin, che aveva lavorato per il Partito comunista della Malaya, a ricostruire l’organizzazione. Il PCS mirava all’indipendenza della Thailandia, alla liberazione dei contadini, dei lavoratori e del popolo e al rovesciamento del governo di Phibun. Quando nel 1939 Phibun, in qualità di primo ministro, cambiò il nome del Paese in Thailandia, anche il PCS cambiò il suo nome in Partito Comunista thailandese (qui si ricorrerà al nome di Partito Comunista di Thailandia, PCT).

Il primo congresso del PCT si tenne a Bangkok il 1° dicembre 1942. Il movimento decise di organizzare un fronte unito contro il governo filogiapponese di Phibun e scelse il cinese Li Hua come primo segretario generale. Dopo lo scioglimento del COMINTERN nel maggio 1943, i comunisti cinesi che allora risiedevano in Thailandia decisero di destinare i propri sforzi alla rivoluzione comunista in Cina, dato che non erano più obbligati a contribuire alla causa comunista in Thailandia. Per questo motivo, il sino-thailandese Prason Wongwiwat (alias, Song Nophakhun) fu nominato secondo segretario generale del PCT. All’epoca, la maggior parte dei membri era di etnia cinese e il PCT pubblicava quotidiani clandestini in lingua sia cinese sia thailandese. Sui giornali cinesi si aprì una discussione sulla situazione della Thailandia. Alcuni vedevano il Paese come una colonia giapponese, altri come una società semicoloniale e semifeudale, altri ancora come una società semifeudale che rischiava di essere colonizzata dal Giappone. Nonostante la diversità di queste idee, l’obiettivo finale era lo stesso: la resistenza all’Impero giapponese.

Lo sviluppo nel Secondo dopoguerra

Il PCT mirava all’indipendenza, alla democrazia, alla pace e al benessere, seguendo l’esempio della leadership del Partito Comunista Cinese (PCC), dopo il 1949 alla guida di un Paese agricolo e in via di sviluppo. Il PCT aderì al maoismo e riconobbe la Thailandia come uno stato semicoloniale e semifeudale. Sotto il governo civile del Secondo dopoguerra, nell’ottobre 1946, le leggi anticomuniste furono abolite, legalizzando così il PCT. Il partito cominciò a riorganizzare il movimento sindacale e a pubblicare il suo giornale Mahachon (“Le masse”).

Il PCT entrò in clandestinità dopo il colpo di stato del 1947, nonostante il gruppo dei golpisti non lo considerasse una minaccia. Il governo di Phibun, sostenuto dai militari, approfittò della Guerra fredda e ottenne l’assistenza degli Stati Uniti dando vita alle campagne anticomuniste. Nel 1948, il PCT iniziò a trasferire le proprie attività da Bangkok alle aree rurali. Dopo lo scoppio della guerra di Corea nel giugno 1950, il PCT guidò il movimento per la pace dietro le quinte, criticando gli Stati Uniti e prendendo contatti con la Cina popolare. Durante il secondo congresso, nel febbraio 1952, il PCT confermò la strategia che consisteva nel concentrare il proprio impegno attorno alle città, organizzando i contadini nelle campagne. In realtà, il PCT era coinvolto più nel movimento per la pace che nel lavoro rurale e, poiché le sue attività erano legali, divenne meno prudente. Il movimento per la pace si diffuse a livello nazionale ed ebbe un certo successo. Tuttavia, questa crescita svelò l’espansione del PCT e del suo lavoro nelle campagne, che portò a episodi di repressione e al ripristino della normativa anticomunista da parte del governo. Il PCT dovette abbandonare le attività pubbliche e inviare i membri più rappresentativi all’Accademia marxista-leninista, una scuola di formazione per dirigenti comunisti con sede a Pechino[2].

Nel 1957 il generale Sarit Thanarat organizzò un colpo di stato contro il governo Phibun e i leader comunisti tornarono in Thailandia, con la prospettiva che Sarit avrebbe promosso riforme democratiche. In realtà, il suo governo represse i comunisti. Il terzo congresso del partito, tenutosi nel settembre 1961, approvò la linea che consisteva nel combattere i nemici con tutti i mezzi possibili. Seguendo questa risoluzione, il PCT iniziò i preparativi per la lotta armata e, nel marzo 1962, fondò l’emittente radiofonica la Voce del Popolo della Thailandia, che trasmetteva da Hanoi, in Viet Nam.

Guerra tra popoli

Il PCT continuò a evitare il più possibile gli scontri armati con il governo per poter svolgere le attività clandestine in sicurezza, ma nell’agosto del 1965 si verificarono degli scontri nel nord-est della Thailandia. Da quel momento, il PCT iniziò una guerriglia nelle aree rurali. Le forze del PCT si espansero gradualmente, in particolare nelle zone di confine settentrionali e soprattutto tra le numerose tribù collinari dei Hmong, perseguitate dalle autorità, le quali peraltro permettevano di introdursi facilmente nel Laos, in Viet Nam e nella Cina.

In concreto, più forte era la repressione nei confronti della popolazione, più facilmente il PCT si espandeva. I funzionari locali erano corrotti e gli abitanti dei villaggi avevano perso fiducia nel governo. Questi ultimi temevano l’arresto a causa del loro sostegno al comunismo, ma la maggior parte di loro non aveva fede in questa ideologia e guardava ai comunisti solo come difesa contro l’oppressione del governo. Gli Hmong si unirono alle attività del PCT perché affrontavano difficoltà come la povertà, i pregiudizi e la discriminazione. Inoltre, non avevano accesso all’istruzione per i loro figli, né a cure mediche adeguate e dovevano rendere omaggio alle autorità quando facevano visita ai loro villaggi. Il PCT convinse gli Hmong dell’ingiustizia della società thailandese e, così facendo, li convinse a unirsi alla loro lotta. Grazie all’educazione impartita dai comunisti thailandesi, gli Hmong impararono la disciplina, l’unità, la ricerca della parità di diritti, soprattutto per le donne, e furono addestrati al combattimento per mettere in sicurezza le loro comunità.

Il PCT estese la lotta armata alla Thailandia settentrionale e arrivò a controllare tremila Hmong delle tribù montane nelle province di Phitsanulok, Loei e Phetchabun. Nel 1968 le forze governative iniziarono a circondare le roccaforti del PCT. Qui si producevano cibo, vestiti e beni di prima necessità, il PCT istruiva gli abitanti dei villaggi e i loro figli e portava avanti la guerriglia. Nella zona transfrontaliera era stata istituita anche una scuola politico-militare. In questa struttura, gli Hmong furono educati alla teoria rivoluzionaria, al conflitto di classe e alle opere di Mao Zedong e venivano sottoposti a campi di addestramento militare dove si preparavano a portare avanti la guerriglia[3].

La Rivoluzione culturale in Cina condizionò il PCT. Nel 1969, i membri del partito nelle aree transfrontaliere iniziarono a criticare i leader, proponendo di spazzare via la vecchia cultura e il revisionismo. Inveirono anche aspramente contro di essi per non essere stati in grado di combattere contro il governo e non aver potenziato le aree liberate e le basi militari. L’ex segretario generale Song, di sua iniziativa, propose di inviare i cinesi che avevano vissuto in Thailandia per dare supporto alla rivoluzione. Sebbene la Cina fosse contraria, perché molti di loro erano ormai anziani, nel 1971 circa duecentocinquanta tribù Tai della prefettura autonoma di Xishuangbanna Dai (Yunnan) furono inviate a Nan, Chiang Rai e in altre province transfrontaliere. Esse si adoperarono per garantire la sicurezza, ma non erano entusiaste di una possibile rivoluzione. Di conseguenza, si arresero facilmente al governo e si ritirarono definitivamente nel 1973.

Il quartier generale del PCT fu stabilito nella provincia di Nan nel 1972 e operò fino al 1979, ma non poteva chiamare all’azione le masse, che non vivevano lì, essendo la regione abitata principalmente da tribù montane. Questa strategia risultò assai lontana dalla teoria maoista, che faceva perno sul ruolo determinante dei villaggi agricoli, che circondavano le città, per il successo della rivoluzione comunista. Il PCT era debole a Bangkok perché non aveva più la sua base nei movimenti operai e i suoi leader venivano spesso arrestati dalla polizia. All’interno del PCT operava un’organizzazione, la Lega della Gioventù democratica, con il compito di avvicinare gli studenti e diffondere le idee socialiste tra i giovani, ma quest’ultima aveva poca presa sull’attivismo studentesco. Studenti e intellettuali rimasero scettici verso la lotta armata promossa dal PCT. L’interesse per il marxismo aumentò tra gli studenti e le attività del PCT a Bangkok si ampliarono solo a seguito della rivolta del 14 ottobre 1973, che rovesciò il governo militare[4].

Il picco delle attività

Nel 1975, Cambogia, Viet Nam e Laos vinsero la guerra contro gli Stati Uniti e instaurarono dei regimi socialisti. Queste vicende minacciavano le istituzioni thailandesi, in particolare la monarchia e l’esercito, che iniziarono a intensificare l’oppressione sui movimenti rivoluzionari studenteschi, operai e contadini. Il 6 ottobre 1976, gli attivisti democratici furono massacrati dalla polizia e da gruppi di destra all’Università Thammasat di Bangkok. Dopo questo episodio, circa tremila studenti e attivisti fuggirono da Bangkok per rifugiarsi nella giungla.

Il PCT raggiunse il suo apice nel 1977 e la lotta armata si estese in cinquanta province. Nel 1978, l’Esercito Popolare di Liberazione della Thailandia raggiunse gli oltre quattordicimila soldati. Il Comitato per il Coordinamento delle Forze Patriottiche e Democratiche (CCFPD) fu istituito nel settembre 1977, al fine di formare un fronte rivoluzionario unito con gli studenti e gli attivisti delle città. I suoi dirigenti proposero che fosse il CCFPD a guidare la rivoluzione al posto del PCT. Tuttavia, il PCT ignorò questa proposta, il legame del fronte unito si indebolì e il CCFPD fu sciolto nel marzo 1981.

Nell’aprile 1977, il Partito comunista del Viet Nam invitò il PCT al secondo anniversario della rivoluzione. In questa occasione, il Viet Nam e il Laos promisero di fornire armi per assistere il PCT e, in aggiunta, il Laos si offrì di inviare soldati laotiani, ma il PCT rifiutò l’offerta sulla base del fatto che il popolo thailandese non avrebbe accettato un intervento straniero[5]. Nel frattempo, le relazioni tra la Cina comunista e il Viet Nam andarono a deteriorarsi. Nel dicembre 1978, il Viet Nam invase la Cambogia e Pechino rispose attaccandolo. Nell’aprile 1979, il PCT espresse critiche più aspre verso il revisionismo sovietico che verso l’imperialismo americano, si oppose all’invasione della Cambogia da parte del Viet Nam e sostenne la Cina e i Khmer Rossi. In risposta, il Viet Nam e il Laos smisero di sostenere il PCT e chiusero i rispettivi confini, cosicché il PCT mostrò difficoltà a intrattenere rapporti la Cina. Si aprirono conflitti all’interno del PCT tra la fazione pro-Cina e quella pro-Viet Nam.

La dissoluzione

Nel 1979 il livello di conflittualità all’interno del partito aveva raggiunto un livello elevatissimo. Uno dei problemi era la lotta armata: i nuovi arrivati criticavano il movimento sostenendo che subiva eccessivamente l’influenza cinese e, poiché aveva deciso di abbandonare le città per la giungla, non disponeva di informazioni aggiornate e non era in grado di conoscere in concreto la situazione del Paese. Quando, nell’aprile 1980, il governo thailandese adottò politiche di amnistia, molti abbandonarono la lotta armata perché, non avendo la possibilità di partecipare al processo decisionale, avevano perso fiducia nel movimento comunista. Molti esponenti furono disposti a lasciare il PCT perché l’amnistia forniva l’opportunità di tornare a casa. Nelle aree transfrontaliere, i combattimenti tra governo e comunisti si intensificarono all’inizio del 1981 e terminarono nel 1982. I novemila Hmong che si arresero ricevettero un terreno di sei acri ciascuno e un documento d’identità per riprendere la loro vita.

Nel 1982 si tenne il quarto congresso del partito, l’ultimo, e si discusse ancora una volta della costituzione della società thailandese. Il movimento riconosceva che essa continuava ad essere semicoloniale e semifeudale con una crescente influenza capitalista, ma le loro idee erano troppo datate per riflettere i rapidi cambiamenti che quella società stava attraversando. Difatti, il PCT crollò intorno al 1985, poco prima della fine della Guerra fredda, e la sua caduta fu dovuta a fattori sia interni sia esterni. I fattori interni cruciali furono la perdita di fiducia nel partito e nella sua ideologia – dovuta a profondi conflitti, l’analisi imprecisa degli eventi che si susseguirono e la difficile realizzazione della lotta armata nel contesto politico e sociale thailandese. Inoltre, i membri del PCT vivevano una vita monotona nella giungla e i nuovi arrivati, dopo i fatti del 1976, ne misero in discussione l’autorità. Nel luglio 1979, infine, la Voce del Popolo thailandese interruppe le trasmissioni, causando così diverse difficoltà alla comunicazione tra i membri sparsi sul territorio. I fattori esterni furono il conflitto tra la Cina maoista e l’Unione Sovietica in Indocina, il fatto che la Cina avesse interrotto l’assistenza al PCT per dare priorità al governo thailandese, e l’amnistia offerta dai militari thailandesi ai sostenitori del partito. In aggiunta, la Thailandia era progredita in termini di sviluppo economico e sistema politico, riuscendo a instaurare una semidemocrazia. Tutti questi elementi assommati non favorirono affatto la diffusione e il successo del PCT sulla scena politica[6].

Traduzione dall’inglese a cura di Silvia Frosina


[1] Murashima, E. (2012), Kamnoed Pak Communist Siam [The Origin of the Siamese Communist Party], Bangkok: Matichon.

[2] Jeamteerasakul, S. (1993), “The Communist Movement in Thailand”, Doctoral thesis, Monash University; Takahashi, K. (2006), The Peace Movement in Thailand after the Second World War, Working Paper, n.27, COE-CAS, Tokyo: Waseda University.

[3] Baird, I. (2021), “The Hmong and the Communist Party of Thailand: A Transnational, Transcultural and Gender-Relations-Transforming Experience”, TRaNS: Trans-Regional and -National Studies of Southeast Asia, Vol. 9(2), pp. 167-184.

[4] Thong Jamsri’s Cremation Volume (2019), Bangkok.

[5] Ibidem.

[6] Srinara, T. (2009), Lang 6 Tula (“After October 6”), Bangkok: 6 Tula Ramluk Publishing.

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