[Yìdàlì 意大利] Il rating dell’Italia secondo Pechino

Dopo il declassamento dell’Italia e di altri paesi europei deciso da Standard & Poor’s nel mese di gennaio, Dagong potrebbe commentare “noi ve l’avevamo detto”: per l’agenzia di rating cinese, infatti, il Belpaese era già sceso in serie B nel dicembre scorso.

Dagong aveva anticipato le mosse dei più blasonati colleghi statunitensi il 7 dicembre scorso, portando il rating sul debito pubblico italiano da “A-” a “BBB” e mantenendo l’outlook negativo: “Il rendimento dei bond italiani continuerà ad aumentare a causa del peggioramento della situazione economica e finanziaria – scrivevano già alla fine del 2011 gli analisti cinesi – e ciò si tradurrà in un duro colpo per l’Italia, che sta facendo sempre più affidamento sull’estero per l’acquisto dei suoi titoli di Stato”.

L’agenzia cinese, che nel 2010 ha iniziato a pubblicare voti sui rating sovrani con l’obiettivo di accreditarsi come alternativa alle “tre sorelle” Fitch, Moody’s e Standard & Poor’s, ha dipinto un futuro a tinte scurissime per il nostro Paese: “La fiducia degli investitori è seriamente messa a repentaglio dal peggioramento della crisi del debito europeo. La grandezza del debito italiano è tale che sarà estremamente difficile da ridurre nel lungo periodo e nel medio termine l’Italia è destinata a sprofondare nella recessione per via del doppio effetto delle politiche di austerità e delle cupe prospettive della situazione internazionale”.

Secondo i cinesi gli obiettivi di austerity e quelli relativi al taglio del deficit di medio termine tracciati dal premier Monti sono “difficili da conseguire”, e, anche se il nuovo premier ha raggiunto “un equilibrio politico temporaneo”, le severe misure varate dal governo potrebbero suscitare una forte opposizione da parte della “vulnerabile opinione pubblica italiana”.

Con il downgrade di dicembre Dagong ha ripetuto il colpaccio dell’agosto 2011, quando declassò il debito pubblico Usa con due giorni di anticipo sul colosso Standard & Poor’s. Ma – a differenza dell’estate scorsa, quando l’agenzia cinese aveva ampiamente pubblicizzato la sua mossa – stavolta ha mantenuto un profilo bassissimo, senza concedere interviste ai media stranieri. I numerosi tentativi di mettersi in contatto con il presidente Guan Jianzhong hanno ottenuto sempre la stessa risposta: il capo di Dagong è troppo impegnato, l’agenzia ormai parla solo tramite comunicati pubblicati sul web.

Che cosa prevede allora Dagong per l’Eurozona nel 2012? Nel “2012 Global Sovereign Credit Risk Outlook” pubblicato a metà gennaio, l’agenzia di Pechino sostiene che l’aggravarsi della crisi europea causerà uno shock globale del tutto simile a quello innescato dalla bancarotta di Lehman Brothers. “Il Meccanismo Europeo di Stabilità e gli altri fondi di salvataggio per le nazioni indebitate non si sono dimostrati abbastanza efficaci – si legge nel rapporto – lasciando l’estensione del credito da parte della Bce come soluzione ultima. La crisi del debito pubblico europeo ha ormai contagiato una nazione-chiave, l’Italia, e ciò significa che la crisi ha raggiunto una fase cruciale”.

Mentre il presidente Guan Jianzhong alla fine di gennaio è stato nominato membro della Conferenza consultiva politica del Popolo cinese, Dagong si fa sempre più portatrice di una visione “ideologica” del rating: secondo gli analisti cinesi, i leader delle “economie sviluppate” non possono adottare riforme incisive in presenza di interessi contrastanti all’interno delle loro nazioni e preferiscono “rimandare le soluzioni dei nodi economici ai loro successori, anziché affrontare duri contrasti interni”.

Ma il silenzio dell’agenzia, secondo alcuni osservatori, si spiega anche con le ultime mosse sul fronte europeo: a novembre Guan Jianzhong era in visita tra Lisbona e Parigi, dove ha incontrato i vertici dell’Esma, l’agenzia europea di vigilanza sui mercati finanziari. Il presidente di Dagong si è recato anche a Milano e ha dichiarato all’Agenzia Radiocor che il capoluogo lombardo è “tra i candidati più seri per l’apertura di una nostra sede in Europa”. Forse, troppa esposizione mediatica mal si concilia con le authority finanziarie che devono concedere lo sbarco in Europa.

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