Tra passato conteso, presente precario e futuro incerto: come predire le trasformazioni agrarie in Laos

Come arriviamo a capire, ad anticipare e a cercare il significato dentro i percorsi contemporanei delle trasformazioni agrarie? Attraverso quali esperienze storiche e approcci metodologici e concettuali? In questo saggio, esamineremo tutte queste questioni attraverso la lente della transizione agraria nella Repubblica Democratica del Popolo Lao (RDPL). Inquadreremo questa transizione sullo sfondo di un passato conteso, immediatamente definito dagli stili di vita agrari che nel corso del tempo si è cercato di rinnovare, e come il suo raggiungimento abbia generato nuova precarietà e incertezza sul futuro delle trasformazioni agrarie.

 

Un passato conteso

Quando si arriva a “preconizzare” le trasformazioni agrarie, la prima domanda da porsi è di stabilire un punto a partire dal quale il cambiamento può essere tracciato e calibrato. Ciò richiede un tuffo nel passato e, nel caso del Laos, tale passato giace in penombra, giacché i documenti storici sono scarsi e i dati ancor di più. Vi è spesso una tendenza ad assumere che “il passato è ciò che il presente non è”, come Robert E. Elson ha ricordato.[1] Ciò ha in parte  dato luogo al paradigma del contadino sedentario: dei contadini in Laos, come in altri Paesi del Sud-Est asiatico, che vivrebbero in un universo intimo dove gli insediamenti, le fattorie, la produzione, il consumo e la società erano chiaramente circoscritte attorno a uno spazio geografico tracciato, vale a dire il villaggio e le risorse di base messe a disposizione dai campi e dalle foreste circostanti. Mentre gli elementi di questa immagine bucolica sono visibili in parecchi contesti, studiosi come Andrew Walker – e in particolare, il suo libro del 1999 The Legend of the Gold Boat – hanno dimostrato che il Lao premoderno fu uno dei più grandi centri di scambi commerciali e di persone che noi potessimo finora immaginare. L’inclinazione a stereotipare il passato ha ramificazioni recenti poiché mostra la popolazione rurale – contadini, allevatori e il resto dei lavoratori – in una luce particolare e, in questo modo, avanza ipotesi sugli effetti delle politiche sulle persone e sui territori.

Tali ipotesi furono illustrate a partire da quella volta che lo stato comprese che i contadini laotiani, e l’“economia naturale” dalla quale dipendono, erano pervasi da una innata mentalità collettiva che poteva essere sfruttata per trascinare il settore rurale “arretrato” verso la nuova era socialista moderna.[2] Nel 1975, il tentativo portato avanti dal Partito rivoluzionario del Popolo lao (PRPR) di imporre ai contadini – che all’epoca, probabilmente, costituivano il 90% della popolazione laotiana – la propria agenda collettivista si rivelò un totale fallimento, in parte perché il passato fu mal interpretato. Gli sforzi dello stato di rimodellare una società contadina votata alla sussistenza in una società focalizzata sul sistema di produzione centralizzato e cooperativo ebbero come esito paradossale il ritiro dei contadini nelle aree più remote del Paese e il radicamento delle pratiche di sussistenza. Come Grant Evans ha scritto nella prefazione alla seconda edizione (del 1995) del fondamentale Lao Peasants under Socialism, le poco profonde fondamenta del socialismo laotiano erano state “facilmente divelte” e la “sola prova esistente che [il Laos] fosse, una volta, un Paese comunista è il nome del partito al potere […] e, forse, il nome del Paese”.[3] Una volta che, alla fine degli anni Ottanta, il livello dell’acqua dell’economia pianificata cedette alle riforme di mercato, il Laos concentrò i suoi sforzi su come integrare gli spazi agricoli all’interno del crescente contesto di mercato. Malgrado queste trasformazioni apportarono indubbiamente enormi benefici sia in termini di redditi rurali che di riduzione della povertà, il processo di transizione verso mezzi di sostentamento commerciali ha anche portato con sé nuovi rischi, imperativi economici e precarietà.

 

Un presente precario

Alcune premesse riguardanti il passato si sono rivelate problematiche, tanto da aver in seguito segnato il presente, anche questo mal interpretato. La principale preoccupazione che qui ci interessa affrontare è su come le famiglie rurali in Laos siano state integrate in uno spazio economico ineguale, a livello sia nazionale sia regionale, e che cosa ciò ha significato per la loro sopravvivenza. Assieme all’opinione radicata secondo la quale le famiglie contadine sono tradizionalmente sedentarie e non emigrano in altre aree del Paese, vi è la prospettiva modernista in base alla quale la povertà nelle zone rurali sia il prodotto dell’isolamento e del distacco che tale visione comporta. Da questa prospettiva, le riforme di mercato e l’enfasi sui mezzi di sostentamento commerciali posta a partire dagli anni Novanta, finalizzate a integrare economicamente le aree rurali, si sorreggevano su politiche volte a integrare fisicamente la popolazione rurale, attraverso soprattutto la costruzione di arterie stradali. Queste strade e le infrastrutture ad esse associate collegano le persone e i villaggi, incentivano le popolazioni rurali a intraprendere attività imprenditoriali e, così facendo, si dà una spinta notevole verso l’alto ai redditi e si riduce la povertà. Nel frattempo, un importante elemento che si è aggiunto è stato il reinsediamento, in particolare delle minoranze etniche più isolate che vivono sugli altipiani. Questo processo ha spesso avuto un impatto di vasta portata nel processo di smantellamento dei mezzi di sostentamento tradizionali e nella creazione di nuove forme di differenziazione economica.[4]

Il nostro obiettivo qui non è quello di esaltare il passato. Il Laos rurale non è sempre stato un posto per tutti: la vulnerabilità è spesso all’ordine del giorno, in un’economia del dopoguerra ridotta a pezzi e, in un secondo momento, votata al mercato al fine di affrontare il problema della povertà cronica. Detto questo, il reinsediamento e la costruzione di una rete stradale hanno ripercussioni – a volte, drammatiche – su donne e uomini, maggioranza e minoranze etniche, ricchi e poveri. L’ampliamento della rete stradale e il graduale ricollocamento delle popolazioni dei remoti altipiani hanno attratto nuovi attori nelle colline, aperto possibilità per “l’appropriazione della terra”, spesso da parte di investitori internazionali, e creato nuove dipendenze. Solitamente, i redditi tendono ad aumentare e, almeno da lontano, ciò ci restituisce un’immagine che mostra una riduzione della povertà. In realtà, le debolezze del passato sono sovente rimpiazzate dalle precarietà del presente. Il lavoro pubblicato da Christoph Bader e altri autori sui trend della povertà a vari livelli nel primo decennio di questo secolo e sull’iniquità con cui è stata perseguita la lotta alla povertà tra i differenti gruppi etnici e le aree geografiche del Paese li conduce a ipotizzare se “quegli stessi processi che [hanno] generato la crescita abbiano portato a un aumento della denutrizione e, al tempo stesso, a un peggioramento dello status di salute per alcuni specifici gruppi etnici.[5] Il bisogno di mettere in discussione i dati aggregati sulla povertà e di giudicare come i redditi più alti siano stati generati – e con quali conseguenze di lungo termine – si manifesta nel primo studio dell’autore nella provincia di Houaphan, a ridosso del confine col Viet Nam.

Il boom della produzione di granoturco a Houaphan fin dalla metà degli anni Duemila, destinato all’industria vietnamita dei mangimi alimentari, esemplifica come aree una volta considerate isolate siano state assorbite dai processi del mercato che si va via via espandendo, con un impatto rivoluzionario sulla sussistenza delle popolazioni e sul panorama geografico e sociale. Il guadagno derivato dalla vendita di granoturco, unito alla costruzione di nuove infrastrutture da parte dei commercianti vietnamiti, consente alle famiglie degli altipiani di avere accesso a un reddito, al mercato e ai beni dai quali essi sono stati precedentemente tagliati fuori quasi del tutto. Questo cambiamento ha avuto luogo nello spazio di un decennio, prima che i mezzi di sostentamento fossero stati quasi del tutto incentrati sulla sussistenza, ad eccezione della vendita avventizia di bestiame e di oppio, quest’ultimo messo al bando nel 2003 nelle aree analizzate nello studio di Bader. Dato che la rotazione delle colture è stata gradualmente assorbita dalla coltivazione monocoltura del granoturco, le pratiche di sussistenza hanno subito una trasformazione. Il lavoro delle famiglie si è pesantemente ridotto quando i guadagni generati dalla coltivazione di granoturco sono stati investiti nell’istruzione delle future generazioni e, altro fattore ad esso interrelato, allorché la prevalenza delle coltivazioni monocultura ha portato a un forte aumento dei fattori di produzione, dovuto al fatto che gli agricoltori hanno cercato di mitigare sia gli effetti della perdita di lavoro che la mancanza nelle aree agricole di un efficace sistema di servizi da garantire agli abitanti. Nonostante i risultati indubbiamente positivi ottenuti dal coinvolgimento nelle attività commerciali, le famiglie sono state in questo modo segregate all’interno di un percorso di transizione. Questo perché diventavano sempre più subalterne ai guadagni derivanti dal granoturco per finanziare sia l’istruzione dei figli e dei giovani sia l’acquisto di fertilizzanti ed erbicidi per mantenere i propri profitti. Il guaio in cui gli agricoltori si sono ritrovati è stato ben esposto da uno degli intervistati e che riproponiamo qui di seguito:

“Noi dobbiamo aumentare la produzione [di granoturco] per guadagnare denaro sufficiente da assicurare l’istruzione e la sussistenza dei nostri figli; qui non esiste altro modo per far soldi […] qui ogni cosa è destinata al mercato vietnamita ed essi possono comprare grano nel proprio Paese. Così, per loro l’ultima spiaggia sarà di giungere qui, ma ciò risulta complicato”.[6]

Questa dichiarazione dimostra come l’integrazione e la commercializzazione dei vecchi mezzi di sussistenza abbia messo i contadini in una posizione precaria di dipendenza da attori esterni e dai raccolti remunerativi che diventavano sempre più insostenibili, in termini sia economici sia ambientali, dovuto al largo impiego di fattori di prodotti chimici.[7]

 

Un futuro incerto

Sorge infine la questione sul futuro che si prospetta da qui in avanti per il Laos e per la sua popolazione rurale. In che modo questa popolazione, ricorrendo a una frase utilizzata da Arjun Appadurai nel 2004,[8] soddisferà la propria “capacità ad ambire”? Il primo punto da analizzare è che il futuro diventa, spesso troppo velocemente, il presente e questo, a sua volta, il passato – e non più di quanto lo sia in Asia. Sebbene il caso a cui si è fatto riferimento nel precedente paragrafo sia circoscrivibile alle aree montane, da qualche parte, nelle zone pianeggianti del Laos dove dominano le umide coltivazioni di riso, fino a non molto tempo fa gran parte dei coltivatori utilizzavano le bestie per preparare i campi alla coltivazione, e la meccanizzazione sembrava una prospettiva distante per la classe contadina impoverita. Nel 2002, un terzo della popolazione del Laos viveva con meno di 1,90 dollari al giorno, al di sotto quindi della soglia di povertà, tre quarti con meno di 3,20 dollari e nove decimi con poco meno di 5,50 dollari. Ad ogni modo, la meccanizzazione dell’agricoltura si è diffusa in maniera veloce e sorprendente in tutto il Paese, dovuta alla carenza di manodopera (emigrata alla ricerca di lavoro in altre zone). Allo stesso modo, la diffusione dell’istruzione giovanile nella provincia di Houaphan – almeno a livello secondario e in taluni casi oltre tale livello –, resa possibile dal boom del granoturco, potrebbe porre le basi per un più ampio cambiamento nelle dinamiche del lavoro rurale, in quanto le generazioni successive sono alla ricerca di opportunità che vadano oltre gli obiettivi e i risultati ottenuti dai loro genitori. Questo modello appare vero non solo in relazione agli studi effettuati finora in alcuni luoghi, bensì anche in numerose altre aree di Houaphan e in altre province del Laos che hanno cominciato a sviluppare la coltivazione delle materie prime agricole. Tuttavia, vi è l’altra faccia della medaglia: il diffuso degrado potrebbe porre una sfida al futuro dell’agricoltura nel Laos fintantoché la forza lavoro andrà a cercare opportunità altrove.[9]

Una cosa che non è accaduta, perlomeno fino ad ora, è la fusione di fattorie in più grandi unità di produzione. Viste le condizioni economiche del Laos e l’esperienza di Paesi vicini come la Thailandia, ciò non risulta dopotutto sorprendente. Come la popolazione rurale che vive in piccoli appezzamenti di terra, spesso situati in aree periferiche, riuscirà a soddisfare le proprie aspirazioni rimane un tema cruciale per il futuro. In questo senso, il Nepal potrebbe costituire un modello più della vicina Thailandia. Territorio montuoso senza sbocco sul mare, relativamente isolato fino a poco tempo fa, e schiacciato tra Paesi più grandi, più ricchi e più potenti, il PIL del Nepal dipende per circa un terzo dalle rimesse[10], tale è l’esodo di forza lavoro che sta abbandonando il Paese a un tasso senza precedenti.[11] Può il Nepal fornire un indizio del futuro del Laos? Importanti questioni sorgono relativamente al modo in cui il settore rurale del Laos possa sopravvivere in futuro se la manodopera necessaria comincia a calare, come pare stia già avvenendo. Legata a quest’ultimo punto, vi è un’altra incognita relativa al fatto se l’economia laotiana, per decenni incentrata sull’agricoltura e le risorse naturali, sia in grado di creare e garantire le necessarie opportunità al di fuori del settore primario ai giovani contadini che aspirano in maniera crescente a costruire il proprio futuro nelle aree urbane.

Traduzione a cura di Raimondo Neironi

[1] Elson, R. E. (1997), The End of the Peasantry in Southeast Asia: A Social and Economic History of Peasant Livelihood, 1800-1990s. Houndmills, Basingstoke: Macmillan Press Ltd.

[2] Evans, G. (1990), Lao Peasants under Socialism, Chiang Mai: Silkworm Books.

[3] Evans, G. (1995), Lao Peasants under Socialism and Post-Socialism, Chiang Mai: Silkworm Books.

[4] Évrard, O. e Ian G. Baird (2017), “The Political Ecology of Upland/Lowland Relationships in Laos since 1975”, in Bouté V. e Vatthana Pholsena (a cura di), Changing Lives in Laos: Society, Politics, and Cultures in a Post-Socialist State, Singapore: NUS Press; Rigg, J., (2005), Living with Transition in Laos: Market Integration in Southeast Asia. Londra e New York: Routledge.

[5] Bader, C. et al. (2017), “Is Economic Growth Increasing Disparities? A Multidimensional Analysis of Poverty in the Lao PDR between 2003 and 2013”, Journal of Development Studies, 53 (12), p. 2082.

[6] Dichiarazione rilasciata, nel maggio 2017, a Robert Cole da un capo-famiglia della provincia di Houaphan [NdT].

[7] Cole, R. (2019), Across the Mountain Tracks: Global Agri-food Networks and Agrarian Change in Laos’ Northeast Borderlands, PhD thesis, Department of Geography, National University of Singapore.

[8] Appadurai, A. (2004), “The Capacity to Aspire: Culture and the Terms of Recognition”, in Rao V. e Michael Walton, Culture and Public Action. Palo Alto; CA: Stanford University Press, pp. 59-84.

[9] Cole, R. (2019), Across the Mountain Tracks, cit.

[10] Rigg, J. et al. (2016), “Between a Rock and a Hard Place: Vulnerability and Precarity in Rural Nepal”, Geoforum (76), pp. 63-74.

[11] Ojha, H. R. et al. (2017), “Agricultural Land Underutilisation in the Hills of Nepal: Investigating Socio-environmental Pathways of Change”, Journal of Rural Studies (53), pp. 156-172.

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