[ThinkINChina] La sfida multiforme del cambiamento climatico

ThinkINChina è un’“open academic-café community” attiva a Pechino, luogo di dibattito tra giovani ricercatori e professionisti di varia provenienza impegnati nello studio della Cina contemporanea.

 

Nel corso del recente vertice del Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici (Ipcc) è stato presentato l’ultimo rapporto di valutazione sul clima (AR5) che ha confermato le tendenze attuali: aumento della temperatura dell’atmosfera e degli oceani, incremento del livello del mare e diminuzione dell’estensione del volume del ghiaccio terrestre. È stata inoltre confermata la tesi secondo cui l’attività antropica è la causa fondamentale di questi fenomeni, il che rende necessarie nuove strategie di adattamento per affrontare questi problemi. Proprio la questione della Cina e del suo adattamento ai cambiamenti climatici è stata il focus dell’evento ThinkINChina di giugno 2014 (organizzato in collaborazione con il Beijing Energy Network), che ha ospitato il Prof. Lin Erda e il Dr. Zhu Chunquan.

Secondo i due esperti, la Cina è in una posizione particolarmente complessa: da un lato è il maggiore emettitore mondiale di biossido di carbonio, contenuto nella maggioranza dei gas serra che provocano i cambiamenti climatici, e rimarrà tale per almeno uno o due decenni. Dall’altro lato la Cina, disponendo soltanto del 12% dei terreni coltivabili del mondo e con risorse idriche pro capite pari a un quarto della media mondiale, è estremamente vulnerabile nei confronti di alcuni dei più probabili effetti del cambiamento climatico. Lin e Zhu hanno notato come solitamente la Cina venga indicata come il maggior responsabile del grave pericolo che il pianeta terra sta correndo, e come allo stesso tempo molti sembrino ignorare i rischi, altrettanto inquietanti, che la stessa Cina corre in questo momento.

Uno degli effetti più significativi del cambiamento climatico per l’Asia sarà infatti la scarsità d’acqua. In effetti, la situazione nel nord della Cina è già fortemente deteriorata a causa del diminuire delle precipitazioni e dell’aumento della popolazione, con la conseguente proporzionale espansione del prelievo d’acqua negli ultimi 50 anni. I ghiacciai, importante deposito e fonte di acqua a lungo termine, si stanno sciogliendo e continuano a ridursi ovunque nel mondo. L’altopiano tibetano, che è l’origine dei più importanti fiumi che attraversano il territorio cinese (e non solo), subisce il peggiore impatto.

Ovviamente non solo l’acqua è a rischio: la produzione alimentare, gli ecosistemi terrestri e marini e gli insediamenti umani e le altre infrastrutture sono tutti soggetti a vari livelli di deterioramento. Anche il recente aumento dell’inquinamento nel nord della Cina è in un certo senso legato al cambiamento climatico: secondo gli esperti a partire dagli anni Sessanta il vento di superficie si è gradualmente indebolito, riducendo così l’efficacia della dispersione dell’inquinamento operata dei venti.

L’impatto è sempre più grave e continuerà a peggiorare anche dopo che il mondo avrà raggiunto il picco delle emissioni di gas serra. Pertanto la definizione di adeguate strategie di adattamento è, secondo Lin, un must per la Cina, così come per la maggior parte dei paesi, in particolare quelli meno sviluppati che sono spesso i più vulnerabili. In realtà nemmeno la nazione più potente e ricca al mondo (gli Stati Uniti) è sufficientemente attrezzata per affrontare le condizioni che si prospettano nei prossimi decenni: basti pensare all’uragano Katrina o al più recente uragano Sandy, che ha messo New York in ginocchio, causando ingenti perdite economiche. Per parte sua, nel periodo 2000-2008, l’Asia ha registrato in assoluto il maggior numero di calamità legate ad anomalie meteorologiche e climatiche ed è stato il secondo continente al mondo per perdite economiche imputabili a tali calamità naturali (dati Ipcc, 2012).

Secondo Lin e Zhu la Cina deve intraprendere azioni incisive non solo per mitigare il cambiamento climatico ma anche per adattarsi alle sue conseguenze. In alcune aree azioni di adattamento climatico sono state integrate nei piani di sviluppo regionali. In altri casi invece, l’industrializzazione scarsamente pianificata e regolata ha portato a una maggiore esposizione a rischi legati al clima. Un esempio è il sovra-sfruttamento delle risorse idriche da parte delle industrie locali nel nord della Cina. In queste regioni una corretta gestione dell’acqua dovrebbe avere la priorità sui piani di sviluppo industriale, che sembrano invece dominare le preoccupazioni delle autorità locali.

Anche le infrastrutture in Cina dovranno essere monitorate: le inondazioni sono divenute sempre più frequenti negli ultimi anni e il numero delle aree a rischio è in continua crescita, proprio mentre l’urbanizzazione avanza inesorabilmente portando con sé le minacce determinate dall’effetto “isola di calore”, proprio delle maggiori città cinesi. Allo stesso tempo, l’innalzamento del livello dei mari e l’esaurimento delle riserve di acqua sotterranee accelerano lo sprofondamento delle città costiere, minando direttamente i grandi investimenti fatti in infrastrutture – ad esempio reti della metropolitana e grattacieli – anche in città-simbolo come Shanghai.

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