[LA RECENSIONE] Stella rossa sulla Cina. La storia della rivoluzione cinese

Edgar Snow, Stella rossa sulla Cina. La storia della rivoluzione cinese, Milano: il Saggiatore, 2016

Poi un giorno, all’improvviso, ti guardi indietro e scopri che la giovinezza se n’è andata. Quel periodo in cui tutto sembra possibile, che nutre sguardi luminosi sul futuro, che ti fa sentire padrone del destino, acquista il colore seppia depositato dal tempo sulle fotografie in bianco e nero. E quell’età appare migliore di oggi, ne conserviamo la speranza che allora nutrivamo, dimenticandone i momenti tristi, poiché essi erano una parentesi, una nuvola passeggera in un cielo azzurro presto di nuovo sereno. Così – memoria del tempo che fu – il viso di un giovane Mao Zedong ci osserva sornione dalla copertina di Stella rossa sulla Cina, un grande classico della letteratura occidentale sulla Repubblica popolare cinese (Rpc), che ora il Saggiatore ripubblica nell’edizione del 1965 a cura di Enrica Collotti Pischel, con l’aggiunta della presentazione di Marco Del Corona. Pubblicato originariamente nel 1938, il libro di Edgar Snow diviene immediatamente un best-seller: il giornalista americano, inviato nella Cina nazionalista, a soli 31 anni nell’estate del 1936 è il primo occidentale a varcare il confine della “Cina rossa”, l’area dello Shaanxi settentrionale occupata dai comunisti in cui la Rpc affonda il suo mito, e il suo “scoop” fa il giro del mondo.

Snow racconta l’epica della rivoluzione, della sua genesi, della “Lunga marcia” dal Fujian per sfuggire alle truppe del Guomindang, della costruzione della repubblica dei soviet. Raccoglie l’autobiografia di Mao Zedong dalle sue stesse labbra. Intervista sia personaggi famosi che faranno la storia della Rpc sia semplici ragazzi divenuti difensori della causa comunista. Incontra contadini, maestri, funzionari attorno a cui ruota la vita sociale nelle zone occupate. Osserva “al di sopra di tutto, l’indomito ardore, la speranza perenne e lo stupefacente ottimismo rivoluzionario, doti di migliaia di giovani che non accettarono di essere sconfitti né dall’uomo né dalla natura, né da Dio né dalla morte” (p. 253). L’entusiasmo è evidente, e il libro – un “libro di battaglia” antifascista, secondo Enrica Collotti Pischel – è il resoconto di un viaggio iniziatico, come ben evidenzia Marco Del Corona: “L’individualismo americano di Snow si arrende all’entusiastica alienazione di sé nel bacino di una storia che crea la comunità” (p. 12). Una comunità che lotta contro i privilegi feudali, le disuguaglianze di classe e di genere, e – quasi ancor di più – contro i giapponesi, al punto che i comunisti sono pronti a mettere da parte le differenze ideologiche per tornare a un “fronte unito” con Chiang Kai-shek (il libro dà anche conto dell’incidente di Xi’an, quando il Generalissimo è tenuto in ostaggio dalle forze del suo stesso campo per costringerlo ad accettare un’alleanza con i nemici rossi). L’opera di Snow si presta a una duplice lettura: per lo specialista, è anche una ricca miniera di dettagli, a partire dai resoconti delle operazioni militari, mentre per tutti “è un’indispensabile fonte per comprendere la rivoluzione cinese” poiché “descrive un certo clima umano e il suo sfondo obiettivo (…), e la coglie nel momento critico in cui le forze nuove sono già sufficientemente sviluppate per poterne descrivere le caratteristiche essenziali, ma in cui le forze vecchie sono ancora abbastanza incombenti per far intendere “contro che cosa” si sia levata la rivoluzione cinese” (Enrica Collotti Pischel, p. 21 dell’introduzione, scritta nel 1965).

Non solo: nel testo emerge anche chiaramente “a che cosa” aspiravano Mao e i suoi, a volte con sguardo sorprendentemente profetico, addirittura al di là dei risultati (fallimentari) che avrebbe ottenuto la politica economica dello stesso Grande Timoniere nei decenni successivi. Basti citare queste parole di Mao, che Deng Xiaoping avrebbe poi messo in atto a partire dagli anni Settanta: “Quando la Cina avrà ottenuto la sua indipendenza, i legittimi interessi del commercio straniero avranno maggiori prospettive che nel passato. La capacità produttiva e di consumo di 450 milioni di uomini non può rimanere di esclusivo interesse cinese ma, al contrario, impegnerà molte nazioni. I miei connazionali, quando saranno realmente indipendenti, liberi di sviluppare le loro latenti possibilità produttive in ogni campo dell’attività creativa, potranno contribuire al miglioramento dell’economia e del livello culturale di tutto il mondo” (p. 160). Ricorda Snow: “(I comunisti) dovevano esercitare il potere attraverso una specie di «Nep», un breve periodo di «capitalismo controllato», quindi affrontare un periodo di capitalismo di Stato per passare poi rapidamente alla costruzione socialista, con l’aiuto dell’Urss” (p. 512), laddove il “capitalismo sotto controllo statale” “suona affine al socialismo con caratteristiche cinesi e ad altre alchimie classificatorie impiegate per fotografare il capitalismo made in Beijing” (Marco Del Corona, p. 16). La maturità ci spinge ad affrontare problemi che da giovani – pressati da ben altre esigenze e aspirazioni – non pensavamo nemmeno esistessero: “Noi volevamo parlare soltanto di argomenti importanti, come la natura degli uomini, la società umana, la Cina, il mondo, l’universo!” (Mao Zedong, p. 208). Ottant’anni dopo, mentre vengono rispolverate le credenziali nazionalistiche, il Partito comunista deve affrontare le nuove sfide della corruzione, del nepotismo, delle disuguaglianze e della conversione di un modello economico non più sostenibile, senza più la coesione morale dei Pionieri della Rivoluzione, la cui “forza d’animo era (…) ammirevole e la [cui] fedeltà all’Armata rossa era assoluta e incrollabile come solo la fede dei giovanissimi sa essere” (p. 410).

Ah, quanta nostalgia del tempo che fu, di quell’età di ideali, di leggerezza e spensieratezza, che ci faceva godere del nostro sentirci vivi anche quando attorno a noi il mondo crollava nella polvere e nel sangue: “Per quanto mi riguardava, vivevo come in vacanza: andavo a cavallo, facevo il bagno e giocavo a tennis” (p. 442). Forse Stella rossa sulla Cina è una delle ultime grandi testimonianze romantiche del XX secolo, un libro di passioni, lotte, ideali, prima che il XXI secolo sprofondasse in un pragmatico cinismo che toglie respiro agli anni, condannandoci a un interminabile presente sempre carico di nubi. In questo senso, lette a distanza di decenni, ora che abbiamo maturato il distacco post-ideologico, paradossalmente alcune pagine di Stella rossa sulla Cina sono una vera boccata d’ossigeno, un profondo inno alla speranza: “Il cielo sopra le nostre teste era limpido e turchino: non c’era che pace e bellezza intorno a noi. Era quello strano momento, verso mezzogiorno, in cui pare che tutto si fermi. Quel momento sempre uguale da che mondo è mondo, bello, tranquillo, sereno” (p. 133-134).

 

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