[IT] A settantacinque anni dalla fondazione delle Nazioni Unite, le organizzazioni internazionali sono oramai parte integrante del sistema delle relazioni internazionali. Nel loro insieme costituiscono un universo composito al quale le opinioni pubbliche dei diversi paesi guardano di norma con rispetto, ma talvolta anche con insofferenza e persino frustrazione, a seconda delle decisioni prese o mancate da ciascuna e dell’efficacia dimostrata nel conseguire risultati.
[IT] Le pagine di Human Security hanno accolto, in questo numero, una riflessione sul peacebuilding italiano attraverso le voci dei suoi protagonisti. L’interessante ritratto che emerge ne evidenzia i tratti costitutivi, le peculiarità, i punti di forza e le debolezze. L’auspicio è che questo quadro di sintesi possa costituire una traccia per riflessioni future, ma anche un contributo utile a valorizzare e rafforzare questa importante prassi nel nostro paese.
[IT] Per cercare di delineare i contorni del peacebuilding italiano non si può che partire da una riflessione più ampia su cosa si intenda con il termine “peacebuilding”. A livello internazionale esso è stato spesso definito come una sorta di terza fase della “catena della sicurezza” che va dalla prevenzione del conflitto, alla gestione del conflitto per poi giungere a una situazione post-conflittuale dove, teoricamente, troverebbero spazio tutta una serie di attività volte alla (ri)costruzione della pace che vanno sotto il nome di “peacebuilding”.
[IT] L’Italia è tradizionalmente tra i principali sostenitori dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), impegno che ha ricevuto conferma e nuovo impulso nell’anno della Presidenza italiana dell’Organizzazione, estesasi lungo tutto il 2018. È utile ricordare che, in un’organizzazione priva di personalità giuridica e di strutture sovranazionali con funzioni esecutive o normative, la Presidenza rappresenta l’unico organo di indirizzo politico e di rappresentanza.