Manipolazione delle identità e mobilitazione spontanea: la persistente guerra a bassa intensità nel Rwenzori

Nelle vicende violente che hanno riguardato ‒ e che purtroppo ancora riguardano ‒ l’Uganda il posto di primo piano è senza dubbio occupato dall’insurrezione nelle regioni settentrionali, di cui la figura chiave è il famigerato Joseph Kony. Meno note, anche a causa dei minori livelli di violenza, sono invece le vicissitudini che riguardano la porzione occidentale del Paese, in particolare la regione denominata Rwenzori, dal nome del massiccio montuoso che la domina. Si tratta di un’area al confine col Congo che ha una lunga tradizione di ribellione nei confronti del governo ugandese. La regione è tristemente balzata agli onori delle cronache ancora in tempi recenti a causa di una serie di episodi che hanno prodotto nel loro complesso diverse centinaia di morti.

Il primo di questi, nonché il più sanguinoso, risale al luglio 2014, quando alcune centinaia di giovani affiliati a una delle istituzioni culturali presenti nell’area, il “Regno del Rwenzori” (Obusinga bwa Rwenzururu), ha lanciato una serie di attacchi coordinati nei distretti di Bundibugyo, Kasese e Ntoroko (quest’ultimo creato nel 2010 nella porzione settentrionale del distretto di Bundibugyo e non ancora indicato nella mappa a sotto). La violenza è stata rivolta innanzitutto contro personale e strutture governative, ma sono stati colpiti anche civili nonché il palazzo del “re” di un’altra istituzione culturale dell’area, il “Regno Bamba” (Obudhinghiya bwa Bwamba). Il livello di coordinamento degli attacchi, che hanno interessato un’area assai vasta in un lasso di tempo contenuto, ha fatto supporre ad alcuni analisti che vi fosse dietro la mano di sbandati islamisti basati in Congo (in particolare provenienti o legati all’Alliance of Democratic Forces – ADF), anche se si tratta di una lettura infondata. Gli attacchi del luglio 2014 e le rappresaglie che ne sono seguite hanno lasciato a terra circa un centinaio di uomini, ma l’esistenza di diverse fosse comuni con corpi non identificati rende più credibile una stima all’incirca doppia. Nella seconda metà del 2014, il governo ha lanciato un frettoloso programma di “ricondizionamento”, che si è concluso con l’amnistia di circa 500 partecipanti agli attacchi.

 

Tra febbraio e marzo del 2016, quindi dopo le elezioni presidenziali che hanno visto l’ennesima riconferma del presidente in carica Yoweri Museveni, la tensione è nuovamente salita. Si sono verificati scontri tra l’etnia numericamente dominante nella regione, i Bakonzo, e gli altri gruppi etnici (in primis Bamba e Basongora), nonché nuovi attacchi contro installazioni governative. La violenza ha interessato i distretti di Bundibugyo e Kasese, e ha prodotto qualche decina di morti. Infine, nel novembre del 2016, alcune guardie leali al Regno del Rwenzori hanno attaccato poliziotti e soldati in Kasese, generando una violenta rappresaglia che ha visto le forze governative penetrare nel palazzo del Regno, arrestare o uccidere i miliziani fedeli al re e incriminare il re stesso, Charles Wesley Mumbere. Cosa spiega dunque il ripetersi ciclico di questi episodi di violenza? Due sono le lenti utili a comprendere cosa sta avvenendo nel Rwenzori: in primis la storia, e in secondo luogo la forma che la “politica delle identità” ha assunto nella regione in anni recenti, intersecandosi con questioni politiche di ordine nazionale.

Per quel che concerne la storia, il fuoco va posto sul Rwenzururu Movement (1962-1982), un movimento insurrezionale di stampo secessionista prevalentemente, anche se non esclusivamente, composto da Bakonzo. La prevalenza quantitativa dei Bakonzo nella regione contribuisce a spiegare il ruolo dominante di questa etnia all’interno del movimento, ma è importante ricordare che anche altri gruppi etnici (in primis i Bamba) sono stati inclusi nel movimento e ne hanno condiviso l’agenda. Non incidentalmente, a fianco del leader Bakonzo, Isaya Mukirania, c’erano due co-fondatori Bamba: Yeremiya Kawamara e Petero Mupalya. La presenza di nemici comuni è ciò che ha messo in secondo piano le differenze identitarie, ma l’affievolirsi di una minaccia ritenuta condivisa ha generato nel tempo non soltanto lo sfaldarsi dell’unità del movimento, ma anche l’aumento delle tensioni tra i gruppi che lo componevano.

La storia del Rwenzururu Movement può essere divisa in tre fasi principali. La prima dura tra il 1962 e il 1966, cioè dalla sua fondazione fino all’abolizione dei regni tradizionali decisa dall’allora leader dell’Uganda, Milton Obote. In questa fase lo scopo del movimento era contenere il potere e l’influenza dei Batoro, i quali furono costituiti in regno dai britannici in cambio di cooperazione, e ai quali furono assoggettati i Bakonzo e le altre etnie minori presenti nell’area. Combattendo il regno Batoro, il movimento si opponeva di fatto anche a un governo centrale che riconosceva autorità ai regni. Questa fase cessa nel 1966 non soltanto perché i regni vengono aboliti, ma anche perché nello stesso anno muore Mukirania.

La seconda fase dura fino al 1974. L’esigenza di sottrarsi al dominio Batoro è venuta meno, ma questo non ha placato la sete di indipendenza dei popoli del Rwenzori. Questo obiettivo è stato parzialmente raggiunto con la “distrettificazione” voluta da Idi Amin Dada, che ha portato alla creazione dei distretti di Kasese (ad ampissima maggioranza Bakonzo) e di Bundibugyo (dove risiede la quasi totalità dei Bamba ma a fronte di un’almeno altrettanto cospicua popolazione Bakonzo). La terza fase si estende fino al 1982, ma in assenza di un’agenda condivisa e di una leadership trasversalmente riconosciuta il movimento si divide. Per i Bamba i risultati raggiunti con l’introduzione dei distretti nella regione del Rwenzori sono sufficienti. Per alcuni Bakonzo invece l’obiettivo resta la creazione di un vero stato indipendente. Nel 1982 si chiudono le attività del movimento, con un accordo di cessate il fuoco tra il governo ugandese (nuovamente retto da Milton Obote, succeduto ad Idi Amin) e Charles Wesley Mumbere, figlio di Mukirania.

Dopo il 1982 dalle ceneri del Rwenzururu Movement si sono alimentati diversi altri gruppi armati: oltre ai più noti National Army for the Liberation of Uganda (NALU) e ADF c’è stato anche il Rwenzururu Freedom Movement (RFM), nato subito dopo il 1982 ma di breve durata. Il RFM è tuttavia indicativo della volontà di alcuni Bakonzo di non cedere a fronte del governo ugandese, a nessuna condizione, e di continuare una lotta indipendentista. Va menzionato che oltre il confine che divide Uganda e Congo è residente la popolazione Banande: molto vicina ai Bakonzo per lingua e costumi, si distingue da quest’ultima solo per tradizioni di governo (più verticale per i Banande, più orizzontale e diffusa per i Bakonzo). Il confine stesso non limita, oggi come allora, i contatti tra i due gruppi, che sono strettamente imparentati e si riconoscono in una comunità nota come stato Yira. L’agenda indipendentista legata al Rwenzururu Movement e ciò che ne discende va letta dunque non solo come lotta contro una dominazione percepita come aliena (sia essa quella dei Batoro o quella del governo di Kampala) ma anche come tentativo di dare forma politica a una comunità immaginata. La storia del Rwenzururu Movement va inoltre interpretata tenendo conto che nel corso della sua attività ha di fatto risposto ad alcune esigenze di fette di popolazione residenti nella regione del Rwenzori, sia in termini di beni pubblici che simbolici, a fronte di un governo centrale percepito come ostile o semplicemente non in grado di occuparsi delle esigenze di un’area tanto remota. Questo ha contribuito a creare un immaginario di “statualità” alternativo al ruolo del governo ugandese.

Come si collega dunque questa storia ai cicli di violenza più recenti? La costituzione ugandese del 1995, tuttora vigente, ha reintrodotto i regni aboliti da Obote, anche se non riconosce loro alcun potere. Ha anche previsto la possibilità per le comunità che non erano regno di costituire una loro istituzione culturale, e di chiamarla come meglio credono: dunque anche di definirla “regno” pure in assenza di un fondamento storico per una tale denominazione. Gli effetti di questa norma diventano perversi nel Rwenzori quando si intersecano con le dinamiche elettorali: gli emendamenti costituzionali del 2005 hanno introdotto il multi-partitismo in Uganda, e questo ha reso la carta etnica un’arma interessante dal punto di vista elettorale, tanto per Musuveni quanto per i suoi oppositori a livello nazionale. Non casualmente, nella campagna elettorale che ha portato alle elezioni generali del 2006 (dunque le prime multi-partitiche) fu l’opposizione a Musuveni, organizzata nel Forum for Democratic Change (FDC) di Kizza Besigye a promettere la costituzione di un “Regno del Rwenzori” e a ottenere la vittoria elettorale nel distretto di Kasese, anche se fu comunque sconfitta a livello nazionale. Dopo le elezioni, fu Musuveni a concedere la creazione dell’Obusinga bwa Rwenzururu e a riconoscerne il già menzionato Charles Wesley Mumbere come re. Questo ha generato due effetti, i quali si trovano alla base degli eventi violenti che si sono verificati dal 2014 ad oggi.

In primo luogo, ciò ha causato una “mobilitazione spontanea” di alcuni Bakonzo estremisti, che ancora si riconoscono nella lotta indipendentista condotta da Mukirania e che intendono non soltanto idealmente secedere dall’Uganda, ma anche unificare Bakonzo e Banande nello stato Yira. Questo spiega come mai la più parte degli attacchi condotti da persone affiliate o vicine all’Obusinga si sia indirizzata verso obiettivi governativi. In seconda battuta, la stessa introduzione dell’Obusinga ha scatenato una reazione difensiva da parte dei Bamba e delle altre minoranze della regione, che non si riconoscono nell’agenda del Regno del Rwenzori e non si sentono ad esso assoggettati, nonostante gli anni di lotta condivisa. Per questa ragione anche i Bamba hanno richiesto di vedere riconosciuta una loro istituzione culturale autonoma. Nel maggio del 2014, il figlio di Yeremiya Kawamara, Martin Kamya Ayongi, è stato dunque incoronato come re del Regno Bamba (Obudhingiya Bwa Bwamba), cosa che ha generato risentimento in alcuni Bakonzo. Questo progressivo irrigidirsi delle identità spiega dunque la ragione dell’aumento degli scontri tra comunità.

Sfortunatamente, lo sclerotizzarsi della politica ugandese, con Musuveni al potere ormai da trent’anni, unito alle ambizioni di sedicenti leader tradizionali locali, non soltanto implica che lo scenario osservato in Rwenzori si sia replicato anche in altre parti del Paese (diverse sono state le richieste di riconoscimento di istituzioni culturali provenienti da varie parti del Paese nel corso dell’ultima campagna elettorale), ma lascia anche immaginare un probabile ripetersi della medesima dinamica nell’immediato futuro, a tutto danno dell’unità dell’identità comune ugandese e della stabilità delle istituzioni centrali. Si tratta di uno scenario purtroppo molto fertile per il proliferare della violenza.

Per saperne di più:

Reuss, A. e Titeca, K. (2016), “There is new violence in Western Uganda. Here’s why”, Washington Post, Disponibile a questo link

Sito della Missione Etnologica Italiana in Africa Equatoriale: http://www.missioneetnologica.unito.it/pubblicazioni.htm

Costituzione dell’Uganda (in Inglese): http://www.parliament.go.ug/index.php/documents-and-reports/the-constitution

 

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