Gli investimenti cinesi nel quadro della Belt and Road Initiative e il ruolo degli attori locali in Malaysia: il caso della East Coast Development Region

Introduzione

Il tema degli investimenti cinesi nei Paesi in via di sviluppo nel quadro della Belt and Road Initiative (BRI) riscontra, in generale, due sostanziali problematiche di fondo: da un lato, una tendenziale visione sinocentrica dell’iniziativa, incentrata sui drivers geopolitici e economici della Cina e dei suoi attori, nonché sulla necessità di differenziare le proprie fonti di energia o di ridurre il problema della sovrapproduzione industriale[1]; dall’altro, una generale sopravvalutazione della capacità dell’organizzazione statale cinese di determinare e indirizzare le azioni dei principali attuatori della stessa, in particolare le state-owned enterprises (SOEs), nei Paesi riceventi[2]. Tutto ciò porta, inevitabilmente, a una sottovalutazione o indifferenza verso il ruolo e gli interessi degli attori locali, la cui azione di promozione, contrasto, regolazione e controllo di questi investimenti sarà tuttavia fondamentale nel determinare la direzione e gli effetti che tale iniziativa produrrà su questi Paesi. Lo scopo di questo articolo è, dunque, quello di colmare questa lacuna, presentando una breve analisi dei diversi attori e chiarendo gli interessi e le azioni che stanno guidando alcuni investimenti e progetti cinesi in Malaysia all’interno della East Coast Development Region (ECER).

La ECER e gli investimenti cinesi

La ECER rappresenta uno dei cinque corridoi economici della Malaysia. Situata lungo la costa est, essa copre circa il 51% della Malaysia peninsulare, includendo gli stati di Kelantan, Terengganu, Pahang e il distretto di Mersing, nello Stato nord-orientale di Johor. Creata nel 2006, su iniziativa governativa, per stimolare lo sviluppo economico e sociale delle zone tradizionalmente più povere del Paese, quest’area ha alcune caratteristiche peculiari. In primo luogo, essa è una regione che presenta un reddito medio familiare e una produttività media (PIL pro capite) sotto la media nazionale, e ciò contribuisce a stimolare fenomeni migratori verso i centri urbani più ricchi e con maggiori opportunità lavorative. Per esempio, nel 2009, rispetto a un reddito medio famigliare nazionale di 2.841 ringgit (pari a 682.030 dollari) e a un valore medio nazionale di PIL pro capite di 24.366 ringgit (5.849 dollari), la zona ECER ha registrato valori rispettivamente di 2.096 ringgit (503,18 dollari) e 14.851 ringgit (3565,23 dollari), seguiti, nel 2010, dai tassi di migrazione netta negativi che hanno oscillato dai -2,1 di Pahang, ai -17 e -37 di Terengganu e Kelantan[3]. Non sorprende dunque che, nonostante l’ampiezza geografica, tale zona risulti relativamente sottopopolata, con solo il 14,6% della popolazione ivi residente nel 2012[4]. In secondo luogo, considerata la particolare conformazione del mercato malaysiano, votato in gran parte all’esportazione di componenti elettronici rientranti nel “regional production network”[5] e di materie prime, essa rappresenta un polo ideale per la produzione e il commercio, sia per collocazione geografica sia per l’abbondanza di risorse naturali. Tuttavia, la sua attrattività è parzialmente limitata da un ridotto livello di infrastrutture. Infine, sul piano politico, queste aree sono tradizionalmente più conservative ed etnicamente omogenee, generalmente ad appannaggio dei partiti di estrazione malay come la United Malays National Organisation (UMNO) e il Parti Islam Se-Malaysia (PAS), e ciò può avere chiare implicazioni di politica economica[6].

Nella loro svariata molteplicità ed eterogeneità, nonché in considerazione della presenza di differenti attori esteri, gli investimenti e i progetti che vedono un coinvolgimento diretto di aziende cinesi in questo corridoio economico sono relativamente pochi ma sostanzialmente importanti, ben conciliandosi con le strategie di sviluppo della ECER e con le politiche governative che, considerata la bassa domanda interna, sono incentrate a capitalizzare e ad attirare investimenti che dovrebbero permettere al Paese di sottrarsi alla “trappola del medio reddito”. Quello che preme sottolineare è che, che seppur vi siano certamente dei fattori geopolitici ed economici interni alla Cina, incentivanti forme di intervento all’estero degli attori cinesi, lo sviluppo, la dimensione e la velocità di tali interventi sono spesso influenzati da fenomeni di attrazione determinati da attori e interessi locali, quali, ad esempio, fattori politici (come le strategie di legittimazione politica delle élite al potere, in prossimità di una tornata elettorale), economici (un ciclo economico negativo o le specifiche strategie di sviluppo del Paese), ma anche semplicemente sociali (si pensi alla presenza di un minoranza etnica cinese) o geografici (la prossimità territoriale)[7]. Tutto ciò è evidente se si considerano i tre progetti con coinvolgimento cinese più importanti nella ECER: il Malaysia-China Kuantan Industrial Park (MCKIP), l’espansione del porto di Kuantan e la East Coast Rail Link (ECRL).

Il MCKIP è un parco industriale concepito su iniziativa bilaterale, ma di natura tendenzialmente privata, lanciato nel 2012 durante l’inaugurazione del suo “parco gemello” in Cina, il China–Malaysia Qinzhou Industrial Park (CMQIP). La finalità di questo progetto è promuovere il commercio bilaterale, approfittando non solo delle molteplici connessioni linguistiche, culturali, politiche ed economiche che legano i due Paesi[8], ma facendo anche perno sulla collocazione geografica e sulla collaborazione tra il porto di Kuantan, con status di “city port” dal 2016, e quello di Qinzhou, situato nella provincia cinese del Guangxi. Questi due progetti, infatti, sono strettamente connessi, non solo in considerazione del fatto che il MCKIP si colloca giusto a circa dieci chilometri di distanza dal porto, ma anche per il coinvolgimento di investitori dal profilo parzialmente corrispondente[9]. L’estensione del porto, che ne aumenterà significativamente la capacità, permettendo anche l’attracco delle navi cargo più grandi, potenzialmente incrementerà il flusso di merci e consentirà di sfruttare a pieno le potenzialità del MCKIP, anche in vista della costruzione della ECRL, una linea ferroviaria che connetterà il porto di Kuantan al più importante porto nazionale, quello della città costiera di Port Klang. Il principale investitore all’interno del parco industriale è Alliance Steel, una società nata da una joint venture interamente cinese, produttrice di acciaio di altissima qualità, tendenzialmente destinato all’export, che ha apportato un investimento di 5,6 miliardi di ringgit (all’incirca 1,3 miliardi di dollari) e un numero significativo di assunzioni locali (circa 2.600)[10]. Infine, la ECRL rappresenta un grande infrastruttura strategica che avrà la finalità di collegare la ECER con la costa occidentale della penisola malaysiana, passando attraverso i principali centri industriali e riducendo sostanzialmente il tempo percorribile tra le due coste. Anch’essa, lungi dall’essere un progetto supply-driven, rappresenta un’infrastruttura già ideata negli anni Ottanta, ma mai realizzata per mancanza di risorse. Fu solo nel 2016 che, in occasione della visita ufficiale dell’allora primo ministro Najib Razak in Cina, venne annunciato l’affidamento dell’opera alla China Communications Construction Company (CCCC), con un importante finanziamento stanziato dalla China EXIM-Bank[11].

 

Gli investimenti cinesi e il ruolo degli attori locali

Contrariamente alla visione comune che vede i Paesi in via di sviluppo alla mercé della Cina, sono gli attori cinesi che, una volta coinvolti in attività all’estero, dovranno necessariamente adattarsi a un contesto socio-politico, economico e anche legislativo differente e collaborare con gli attori locali se vogliono assicurarsi una buona riuscita dei loro progetti e investimenti. Malgrado essi si siano comunque dimostrati astuti investitori[12], non è detto che le loro azioni non si scontrino con le reazioni degli attori locali. Inoltre, come già anticipato, non mancano casi in cui questi ultimi, per interessi personali, si facciano attivi promotori dell’iniziativa. Esemplificativo, in questo senso, risulta essere proprio il caso della ECRL, ampiamente promossa – con modalità controverse – dal primo ministro Najib per le proprie strategie di legittimazione politica e, successivamente, contestata e utilizzata dalla coalizione di opposizione Pakatan Harapan (PH) come mezzo per rafforzare la propria narrazione circa la natura corrotta dell’allora capo dell’esecutivo malaysinao, il quale, pur di mantenere la poltrona, sarebbe stato disposto a far cadere il Paese nella trappola del debito cinese[13]. Narrazione questa che, seppur facente perno su evidenti malumori interni al Paese, ha avuto più di qualche ripercussione sulla fiducia degli investitori cinesi e che ha costretto i dirigenti della Malaysian Investment Development Authority (MIDA) e del Ministry of International Trade and Industry (MITI) a un gran lavoro per rassicurare gli animi, nei giorni immediatamente successivi all’insediamento del nuovo governo guidato da Mahathir Mohamad. Ciò anche in considerazione delle critiche da esso rivolte ad alcuni investimenti cinesi, rievocanti questioni etniche di lunga data[14] e che non hanno risparmiato nemmeno l’investimento di Alliance Steel nel MCKIP[15].

La vittoria della coalizione PH alle elezioni del 2018 ha inevitabilmente causato uno scossone di non poco conto per la politica malaysiana, con il nuovo governo intento a rivedere alcuni precedenti progetti per rendere conto al proprio elettorato delle promesse fatte in campagna elettorale. Tuttavia, nonostante ciò abbia portato alcuni organi di stampa internazionale a etichettare erroneamente l’allora nuovo primo ministro Mahathir come leader anti-cinese, è anche vero che la scarsa reputazione goduta dalla BRI – a partire dal noto caso del porto di Hambantota, in Sri Lanka – ha giocato un ruolo importante nel determinare le sorti della ECRL. Infatti, dopo la sospensione dell’opera – a cui hanno fatto seguito nove mesi di estenuanti trattative tra la CCCC e Daim Zainuddin, il braccio destro di Mahathir – il clamore a livello internazionale, nonché il rischio che una cancellazione totale dell’opera potesse arrecare danni irreparabili alla credibilità della BRI, hanno indubbiamente contribuito a piegare l’iniziale irremovibilità della controparte cinese, favorendo un accordo, vantaggioso per tutte le parti in causa, per il rispristino della ECRL. La Cina è così riuscita a capitalizzare un importante risultato di politica internazionale, in vista del secondo forum sulla BRI, rimettendo in carreggiata un’opera che, oltre a essere importante in termini di credibilità internazionale, ha anche un significato geopolitico considerevole[16]. Mahathir è riuscito a ottenere una rivisitazione dell’opera, ora maggiormente conforme alle aspettative pubbliche, attraverso una riduzione sostanziale dei costi, un maggior coinvolgimento di imprese e lavoratori locali, una modifica del percorso ferroviario e una maggiore responsabilizzazione della CCCC nella gestione. Si è così riusciti non solo a ottenere un risultato politico non indifferente[17], bensì anche a scongiurare il rischio che la cancellazione del progetto potesse ledere irrimediabilmente le relazioni bilaterali con il più grande partner commerciale del Paese. Infine, la stessa CCCC ne ha tratto vantaggio assicurandosi, con la firma dell’accordo supplementare, un incremento delle sue commesse nel Paese.

Mentre le modalità di rinegoziazione della ECRL verso gli attori cinesi si sono rivelate sui generis – considerata la natura government-to-government del progetto e la sua rilevanza strategica – diverse valutazioni possono essere invece avanzate per quanto riguarda gli investimenti privati rientranti nella ECER. Infatti, nonostante alcuni di essi presentino una qualche sorta di sostegno pubblico, le modalità per attrarre investitori e disciplinare le tipologie di intervento non potranno che avvenire tramite un sistema normativo, fiscale ma anche relazionale volto a incentivare forme produttive di investimento, e non tramite azioni dirette del governo locale. E questo spiega anche perché, ad esempio, il progetto di Forest City, ampiamente contestato da PH, non sia stato interrotto.

Occorre qui precisare che sia il MCKIP sia il porto di Kuantan vedono la massiccia partecipazione delle SOEs cinesi della provincia di Guangxi, che non solo operano per attrarre altri investitori, bensì agiscono spesso in partnership con alcune importanti realtà imprenditoriali locali[18]. Un altro punto interessante da sottolineare è che la ECER è dotata di un pacchetto di incentivi fiscali e non che si connette a una progressiva azione di miglioramento, in ambito nazionale, del contesto imprenditoriale e degli affari[19]. Per esempio, oltre agli incentivi fiscali, gli investitori possono disporre, tra gli altri, anche di un fondo di facilitazione per gli investimenti in capitale umano e di un centro di assistenza “one-stop”, attraverso il quale ottenere informazioni sulle opportunità di investimento e servizi di consulenza, nonché processare e velocizzare le domande per l’ottenimento degli incentivi[20]. Ciò ha favorito l’afflusso di investitori, permettendo il raggiungimento, con ben tre anni di anticipo, del target di 110 miliardi di ringgit (circa 26,4 miliardi di dollari) di investimenti privati promessi, trainato proprio dal MCKIP, che da sola ne ha generati circa il 27%, più della metà del totale per ciò che concerne il settore manufatturiero, con oltre 19.900 nuove assunzioni. Tale pacchetto è tuttavia di natura flessibile ed è sottoposto ad un procedimento concessorio che vede il coinvolgimento, a seconda della tipologia di investimento, del MIDA, del MITI e del Ministero delle Finanze. Ciò permette un controllo effettivo e una pianificazione coordinata da parte del governo, al fine di indirizzare gli investimenti nella ECER verso gli obiettivi di sviluppo locali. Lo stesso MCKIP, inoltre, presenta un sistema di incentivi speciali che include quindici anni di esenzione sull’imposta sui redditi d’impresa; esenzione sui dazi per l’import di materie prime, parti, componenti, macchinari e attrezzature; esenzioni sulle imposte di bollo per cessioni e locazioni di terreni e costruzioni, nonché un’aliquota al 15% sull’imposta sul reddito per lavoratori qualificati.

Infine, la ECER stessa ha creato un sistema di identificazione e coinvolgimento di gruppi industriali, distinti per Paese e per settore, che si basa su una collaborazione attiva tra attori pubblici e privati (malaysiani e non), e che permette di fare perno sui vantaggi competitivi e sulle specializzazioni professionali che ciascun Paese offre, anche in vista del trasferimento di know-how e di tecnologia. Per fare un esempio concreto, per il settore manufatturiero, la ECERDC ha di recente firmato un Memorandum of Understanding (MoU) con la Bayern International GmbH, agenzia locale del governo della Baviera, per attrarre investimenti all’interno del Pekan Automative Park (PAP), hub automobilistico che vede già la presenza di grosse società come la Volkswagen e la Suzuki. Sono dunque molte le importanti società internazionali che hanno investito in questa area[21].

Conclusioni

Questo articolo ha presentato una breve panoramica di tre importanti investimenti e progetti con coinvolgimento cinese presenti nella ECER e ha dimostrato come l’azione e la reazione degli attori locali abbia ampiamente influenzato la definizione, la direzione e il possibile impatto dei medesimi sulla realtà malaysiana. Infatti, mentre gli accordi concernenti la ECRL sono stati favorevolmente rinegoziati dal governo guidato dalla coalizione PH, gli investimenti privati nella ECER sono stati accompagnati e indirizzati da un sistema di attori e istituzioni locali nel complesso soddisfacente e che sta portando a risultati concreti. Tanto è vero che, nel 2016, proprio l’area ECER ha fatto rilevare un incremento del reddito medio famigliare e della produttività media rispettivamente del 87% e del 62% rispetto al 2009, oltre che una riduzione sostenuta dei flussi migratori in uscita, con Pahang che ha addirittura fatto registrare un tasso di migrazione netta positivo (+5,2) nell’anno precedente[22]. Seppur questi dati siano incoraggianti, occorrerà però valutare l’impatto economico della crisi causata dal COVID-19 sull’area ECER e, in particolare, sugli investimenti privati che, se in un primo momento si pensava potessero beneficiare della rilocalizzazione di imprese cinesi a seguito della guerra dei dazi, potrebbero in futuro far registrare trend negativi.


Note bibliografiche

[1] Si vedano, ad esempio, Callahan, W.A. (2016), “China’s ‘Asia Dream’: The Belt Road Initiative and The New Regional Order”, Asian Journal of Comparative Politics, 1 (3), pp. 226-43; Summers, T. (2016), “China’s ‘New Silk Roads’: Sub-national Regions and Networks of Global Political Economy”, Third World Quarterly, 37 (9), pp. 1628-43.

[2]Cfr. Jones, L. e Zeng, J. (2019), “Understanding China’s ‘Belt and Road Initiative’: Beyond ‘Grand Strategy’ to a State Transformation Analysis”, Third World Quarterly, 40 (8), pp. 1415-39; Jones, L. e Zou, Y. (2017), “Rethinking the Role of State-owned Enterprises in China’s Rise”, New Political Economy, 22 (6), pp. 743-60.

[3] Cfr. East Coast Economic Region Development Council (ECERDC) (2019), “ECER Master plan 2.0. The Next Leap 2018-2025”, disponibile online al link https://www.ecerdc.com.my/en/wp-content/uploads/2020/06/ECER-Master-Plan-2.0-Eng.pdf.

[4] Cfr. ECERDC (2012), “Accelerating Transformation – 2012 Annual Report”, disponibile online al link https://www.ecerdc.com.my/en/wp-content/uploads/2014/05/ECER_AR2012_Eng_2012.compressed.pdf.

[5] Si vedano, Lean, H.H. e Smyth, R. (2016), “The Malaysia-China Economic Relationship at 40: Broadening Ties and Meeting the Challenges for Future Success”, in Y.C. Kim (ed.), “Chinese Global Production Networks in ASEAN”, Heidelberg – New York – Dordrecht – London: Springer e Tham, S.Y., Kam, A.J.Y. e Aziz, N.I.A. (2016), “Moving Up the Value Chain in ICT: ASEAN Trade with China”, Journal of Contemporary Asia, 46 (4), pp.680-99.

[6] Cfr. Hutchinson, F.E. (2018), “Malaysia’s 14th General Elections: Drivers and Agents of Change”, Asian Affairs, 49 (4), 582-605; Ostwald, K., Schuler, P. e Chong, J.M. (2018), “Triple Duel: The Impact of Coalition Fragmentation and Three-corner Fights on the 2018 Malaysian Election”, Journal of Current Southeast Asian Affairs, 37 (3), pp. 31-55; Gomez, E.T. (2016), “Resisting the Fall: The Single Dominant Party, Policies and Elections in Malaysia”, Journal of Contemporary Asia, 46 (4), pp. 570-90.

[7] Cfr. Kuik, C.C. (2020), “Connectivity and Gaps: The Bridging Links and Missed Links of China’s BRI in Southeast Asia”, in Carrai M.A., J.C. DeFraigne J.C. e Wouters J. (a cura di) The Belt and Road and Global Governance, Cheltenham Edward Elgar, I edizione; Kuik, C.C. (2017), “A Tempting Torch? Malaysia Embraces (and Leverages On) BRI Despite Domestic Discontent”, Asian Politics & Policy, 9 (4), pp. 652-54.

[8] Non solo circa il 23% della popolazione della Malaysia è di origine cinese (Department of Statistics Malaysia, 2019), ma i rapporti politici ed economici tra i due Paesi hanno radici storiche antiche e profonde. Cfr., in particolare, Kuik, C.C. (2013), “Making Sense of Malaysia’s China Policy: Asymmetry, Proximity, and Elite’s Domestic Authority”, The Chinese Journal of International Politics, 6 (4), pp. 429-67 e Saravanamuttu, J. (2010), “Malaysia’s Foreign Policy: The First Fifty Years: Alignment, Neutralism, Islamism”, Singapore: Institute of Southeast Asian Studies. Inoltre, dal 2009, la Cina è il primo partner commerciale della Malaysia, rappresentando il 16,7% del commercio malaysiano nel 2018 (MATRADE, 2018), trainato in gran parte dall’export di componenti elettronici (oltre il 50% del totale dei flussi di esportazione diretti in Cina) e di risorse naturali [The Observatory of Economic Complexity (OEC, 2017)]. Quanto agli investimenti esteri, a partire dal 2016, la Cina è diventata il primo investitore nel Paese. Se fino al 2015 gli investimenti si sono generalmente concentrati nei settori del real estate, dell’energia e dei trasporti, dal 2016 la Cina è diventato anche il primo investitore del settore manufatturiero. Cfr., Tham, S.Y. (2018a), “Chinese Investments in Malaysia: Five Years into the BRI”, ISEAS Perspectives, 27 febbraio, n° 11, disponibile online al link https://www.iseas.edu.sg/images/pdf/ISEAS_Perspective_2018_11@50.pdf; Id. (2018b). “China’s Investment in Malaysian Manufacturing in 2017”, ISEAS Commentaries, 13 aprile, n° 41, disponibile online al link https://www.iseas.edu.sg/media/commentaries/chinas-investment-in-malaysian-manufacturing-in-2017-by-tham-siew-yean/; Lim, G. (2019), “China’s Investment in ASEAN: Paradigm Shift or Hot Air?”, GRIPS Discussion Papers, 19 (4), pp. 1-17, disponibile online al link https://www.researchgate.net/publication/334361713_China’s_Investment_in_ASEAN_Paradigm_Shift_or_Hot_Air.

[9] Cfr. Ngeow, C.B. (2019a), “Economic Cooperation and Infrastructure Linkage between Malaysia and China under the Belt and Road Initiative”, in. Cheung F.M. e Hong, Y.Y. (a cura di), Regional Connection under the Belt and Road Initiative: The Prospects for Economic and Financial Cooperation, New York e Londra: Routledge, I edizione.

[10] Cfr. Tham, S. Y. (2019), “The Belt and Road Initiative in Malaysia: Case of the Kuantan Port”, ISEAS Perspectives, 15 gennaio, n° 3, disponibile online al link https://www.iseas.edu.sg/images/pdf/ISEAS_Perspective_2019_3.pdf.

[11] Per un’analisi dettagliata, cfr. Malgeri, G. (2019), “Malaysia and the Belt and Road Initiative: An Agency Perspective of the ECRL Renegotiation Process”, MSc final dissertation, University of Birmingham, disponibile online al link https://www.researchgate.net/publication/335724748_Malaysia_and_the_Belt_and_Road_Initiative_an_agency_perspective_of_the_East_Coast_Rail_Link_ECRL_renegotiation_process e Lim, G. (2017), “Cina, Malaysia e l’iniziativa ‘Belt & Road’: il caso dell’East Coast Rail Link, RISE – Relazioni Internazionali e International Political Economy del Sud-Est asiatico, 2 (4), disponibile online al link https://www.twai.it/articles/cina-malaysia-e-liniziativa-belt-road-il-caso-delleast-coast-rail-link/.

[12] Si veda, ad esempio, Lim, G. (2015), “China’s Investments in Malaysia: Choosing the ‘Right” Partners’, International Journal of China Studies, 6, (1), pp. 1-30.

[13] Cfr. Mahli, A. (2018), “Race, Debt and Sovereignty – The ‘China Factor’ in Malaysia’s GE14”, The Round Table, 107 (6), pp. 717-28.

[14] Si pensi a Forest City, un progetto edilizio privato rientrante all’interno del corridoio economico di Iskandar Malaysia. Su questo, cfr. Lim, G. Liu, H. e Lim, G. (2019), “The Political Economy of Rising China in Southeast Asia: Malaysia’s Response to the Belt and Road Initiative”, Journal of Contemporary China, 28 (116), pp. 216-31.

[15] Tale società è stata oggetto di critiche da parte di Mahathir, dovute forse a un’errata informazione, relativa alla costruzione di un muro di recinzione. Su questo punto, cfr. Hee, Y.J. (2017), “The Mistery behind Kuantan’s Great Wall of China”, Malaysiakini, 9 ottobre.

[16] Sull’importanza cruciale della ECRL per la risoluzione del cosiddetto “dilemma del Malacca”, vedi Lim, G. (2018), “Resolving the Malacca Dilemma: Malaysia’s Role in the Belt and Road Initiative”, in Arduino, A. e Xue, G. (a cura di), Securing the Belt and Road Initiative. Risk Assessment, Private Security and Special Insurances along the New Wave of Chinese Outbound Investments”, Singapore: Palgrave Macmillan, I edizione.

[17] È da non sottovalutare, infatti, che durante questi mesi di intense trattative molti attori locali, a diversi livelli, abbiano più volte fatto pressione affinché il progetto riprendesse. Si pensi, in particolare, agli stati maggiormente beneficiari della ferrovia (Kelantan, Terengganu e Pahang), ai tempi in capo all’opposizione, spesso critici verso l’azione di governo ed espressisi pubblicamente in favore del ripristino dell’opera. Cfr. Malgeri, G., “Malaysia and the Belt and Road Initiative”, cit.

[18] Cfr. Ngeow, C.B. (2019a), “Economic Cooperation”, cit.

[19] Su questo punto la Malaysia ha fatto passi da gigante. Si pensi che, nel 2020, essa si è classificata dodicesima, su 190 Paesi, nella classifica internazionale Doing Business 2020 della Banca Mondiale, con un balzo di ben tre posizioni rispetto all’anno precedente. Cfr. World Bank (2020), “Doing Business Report 2020”, disponibile online al link https://www.doingbusiness.org/en/reports/global-reports/doing-business-2020.

[20] Per un’analisi dettagliata del pacchetto di incentivi ECER, cfr. ECERDC (2019), “ECER Master plan 2.0…”, cit., p. 26; ECERDC (2013), “Due East – An Investment Guide to the ECER”, disponibile online al sito https://www.ecerdc.com.my/en/wp-content/uploads/2014/05/DUE_EAST_2013_hi-res.compressed.pdf e il sito ufficiale ECER, disponibile online al link https://www.ecerdc.com.my/en/investment-opportunities/why-ecer/.

[21] Si veda, ECERDC (2019), “ECER Master plan 2.0”, cit. e il sito ufficiale del porto di Kuantan, disponibile online al link http://www.kuantanport.com.my/en_GB/industrial-area/pekan-automotive-park-2/.

[22] Ibidem.


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