Le ambizioni di Pechino nell’Artico

Nel gennaio 2011 la superficie occupata dai ghiacci nel Mar Glaciale Artico è stata in media di 13,55 milioni di chilometri quadrati. Si tratta della minore estensione misurata da quando hanno avuto inizio le rilevazioni satellitari nel 1979, secondo l’Arctic Sea Ice News & Analysis del National Snow and Ice Data Center USA. Non è un dato inatteso: da tempo i ghiacci intorno al Polo Nord sono in ritirata, e il trend si è consolidato al punto da indurre vari analisti a prevedere che tra il 2013 e il 2060 vi possano essere ampi tratti di mare navigabili durante la stagione estiva.

Al di là delle valutazioni sull’impatto ambientale che questa dinamica lascia presumere, la fruibilità del Passaggio a Nord- Ovest è una prospettiva molto attraente per armatori e imprese. Questa rotta, infatti, mette in comunicazione gli oceani Pacifico e Atlantico assai più rapidamente di quanto accada con il tragitto ordinario, che transita per lo Stretto di Malacca e il Canale di Suez. In termini geopolitici, inoltre, si tratta di una rotta ben più sicura e stabile dell’attuale: costeggiando la Russia e i paesi del nord Europa non si è vincolati a colli di bottiglia che espongono le navi cargo a rischi di pirateria (Malacca e corno d’Africa) o a forzose richieste d’autorizzazione al transito (Suez). Una conseguenza diretta è la prevedibile, forte contrazione dei premi assicurativi, e quindi del costo complessivo del trasferimento delle merci.

Contrariamente a quanto ci si potrebbe attendere, non essendo geograficamente vicina all’Artico, la Cina manifesta da tempo un forte interesse per l’area. Secondo uno studio condotto per lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) da Linda Jakobson, Pechino dispone già di uno dei programmi più importanti al mondo per la ricerca sul Polo nord e guarda con interesse alle ripercussioni commerciali dello scioglimento dei ghiacci, giacché si stima che quasi metà del Pil cinese sia in qualche modo dipendente da trasferimenti di beni per via marittima. Anche per questo le autorità cinesi avevano presentato domanda per l’ammissione della Rpc al Consiglio Artico in qualità di osservatore, vedendosela però respingere nel 2008. Italia e Corea del Sud hanno ricevuto analogo rifiuto. Le medesime domande, a cui si aggiunge quella del Giappone, saranno nuovamente oggetto di valutazione nel prossimo mese di maggio al vertice di Nuuk (Groenlandia).

Come si legge in un recente “Strategic Comment” dell’International Institute for Strategic Studies (Iss), il coinvolgimento delle tre nazioni asiatiche è un chiaro sintomo della crescente importanza strategica dello spazio polare. Mentre l’Europa appare ancora poco coinvolta – l’Unione Europea attende anch’essa maggio per un’eventuale ammissione come osservatore al Consiglio Artico, mentre la Nato ha dibattuto la questione, ma lasciandola fuori dal suo più recente Concetto strategico – la Cina ha rafforzato i propri legami bilaterali con l’Islanda, ampliando la propria ambasciata a Reykjavik al punto di renderla tra le più grandi nel paese. Secondo Robert Wade, docente alla London School of Economics, l’isola presenterebbe infatti una posizione ideale per fungere da stazione di trasferimento delle merci da grandi navi portacontainer capaci di solcare le acque artiche (navi a prova di iceberg, ma ingestibili per i normali porti commerciali) alle normali flotte commerciali, dirette ai porti nord-americani e a quelli europei.

In questa strategia sembra rientrare anche l’accordo per uno scambio triennale di valuta da 415 milioni di euro che Pechino ha concluso con la banca centrale islandese. Sebbene l’iniziativa abbia una valenza principalmente simbolica – l’effetto più diretto riguarda la possibilità per l’Islanda di commerciare con la Rpc direttamente in valuta cinese – gli islandesi hanno apprezzato la disponibilità di Pechino a sostenere Reykjavik dopo il collasso finanziario del 2008. Secondo l’Ufficio statistico nazionale, tra il 2005 e il 2009 le esportazioni islandesi verso la Cina sono passate da meno dell’1% al 2,2% del totale. Nel 2009 l’Islanda ha fatto domanda di adesione all’Unione Europea e, dopo l’opinione positiva della Commissione Europea del febbraio 2010, sembra avviata a divenire il 28° stato membro in tempi brevi. Per l’UE potrebbe trattarsi di tutt’altro che una periferia geopolitica, almeno d’estate.

Published in:

  • Events & Training Programs

Copyright © 2024. Torino World Affairs Institute All rights reserved

  • Privacy Policy
  • Cookie Policy