L’Afghanistan e la “Cintura economica della via della seta”

Traduzione dall’inglese di Simone Dossi

Nel 2013 il presidente cinese Xi Jinping proponeva la creazione di una “Cintura economica della via della seta” e di una “Via della seta marittima” attraverso gli sforzi internazionali di diversi attori. Queste due ambiziose iniziative sono tra loro collegate e nel discorso diplomatico cinese vengono definite insieme come “Una cintura e una via” (yidai yilu, 一带一路). In un mondo che è sempre più interdipendente, questa iniziativa intende promuovere la connettività in termini di infrastrutture, commerci, valuta e cultura tra la Cina e i paesi collocati lungo le direttrici della nuova via. Si propone di ampliare le prospettive di sviluppo per i paesi che vi parteciperanno e di massimizzare le potenziali sinergie. Fa affidamento sulla capacità della Cina di tradurre la propria forza economica in influenza reale sulle questioni regionali.

“Una cintura e una via” è un concetto inclusivo con programmi a più livelli, relativi alla costruzione di infrastrutture, agli investimenti nel settore dell’energia, alla liberalizzazione dei commerci e altro ancora. Sulla carta, il progetto ha implicazioni significative per l’integrazione eurasiatica: in particolare, esso ha il potenziale per tradurre la partnership strategica tra Cina e Unione europea dalla carta alla realtà, dato che garantire la stabilità della grande regione eurasiatica è un interesse condiviso da entrambi gli attori. Tuttavia, il progetto deve affrontare anche numerose sfide: conquistare l’appoggio di giganti regionali come la Russia e l’India; sviluppare coalizioni che bilancino eventuali rischi di sicurezza; risolvere il problema di quei numerosi paesi che sono oggi poveri, deboli ma cruciali dal punto di vista strategico – come appunto l’Afghanistan.

L’Afghanistan è, dal punto di vista geografico, un grande hub che connette l’Asia centrale, meridionale e occidentale. È noto come la “tomba degli imperi”, come dimostrato – da ultimo – dai costosi e fallimentari tentativi di nation-building intrapresi dagli Stati Uniti negli ultimi 14 anni. Washington ha investito più di 104 miliardi di dollari nel paese dal 2001 e l’amministrazione Obama ha posto ufficialmente fine alla guerra nel dicembre del 2014. Tuttavia l’Afghanistan è ben lungi dall’essere politicamente stabile ed economicamente autonomo. Resta tuttora privo di un governo funzionante, la gente comune continua a patire l’insicurezza prodotta da una ingarbugliata rete di insorti, signori della guerra e potentati locali. Nel 2014 le entrate dello Stato sono state pari a soli 1,91 miliardi di dollari, in calo dell’8% rispetto al 2013. Le forze di sicurezza afgane mancano di addestramento ed equipaggiamento adeguati, e risentono delle tensioni etniche e tribali. Dato il ritiro delle forze militari americane e Nato nel periodo successivo al 2014, un eventuale fallimento nel garantire la sicurezza e lo sviluppo del paese potrebbe avere un notevole impatto strategico sulla Cina e sulla regione nel suo complesso.

Gli interessi cinesi nel paese sono di triplice natura. In primo luogo, Pechino intende evitare che il terrorismo e l’estremismo religioso si espandano dall’Afghanistan al proprio territorio nazionale. La Regione autonoma dello Xinjiang confina con l’Afghanistan attraverso lo stretto corridoio del Wakhan. Terroristi e gruppi separatisti dello Xinjiang vengono attualmente addestrati nella regione al confine tra Afghanistan e Pakistan. Alcuni di loro hanno fatto esperienza nel condurre attacchi violenti durante la guerra in Afghanistan. In secondo luogo, la Cina è esposta al traffico di stupefacenti e ad altre forme di criminalità organizzata transnazionale attive in Afghanistan e nelle regioni adiacenti. Con la sua vasta produzione di oppio, l’Afghanistan è diventato una vera e propria “mezzaluna d’oro”. In terzo luogo, la Cina detiene fondamentali interessi economici nel paese. In particolare, la China Metallurgical Group Corporation sta ora gestendo un progetto nella miniera di rame di Aynak, mentre la China National Petroleum Corporation sta lavorando al progetto Amu Darya. Molte imprese cinesi – come Huawei e Sinohydro – figurano tra i maggiori investitori nei progetti infrastrutturali afgani. Un deterioramento della situazione all’interno del paese avrebbe un impatto negativo sui piani cinesi nella regione, inclusi il corridoio economico tra Cina e Pakistan e la stessa “Cintura economica della via della seta”.

Il governo afgano in carica ha espresso il proprio sostegno alla “Cintura economica della via della seta” e all’iniziativa “Una cintura e una via”, un gesto accolto positivamente in Cina. Come affermato dal presidente afgano Ashraf Ghani durante una visita in Cina nell’ottobre del 2014, per l’Afghanistan la Cina è “un partner strategico nel breve, medio e lunghissimo termine”. È stata questa la sua prima visita all’estero in seguito all’entrata in carica a fine settembre. È chiaro che nel breve termine l’Afghanistan non sarà per Pechino un partner particolarmente attraente nella costruzione della “Cintura economica della via della seta”, se confrontato con Mongolia, Russia, Kazakistan, Turchia e Germania. Ma non sarebbe saggio, da parte cinese, sottovalutarne il grande potenziale. Nel 2010 prospezioni statunitensi hanno scoperto nel paese giacimenti non sfruttati di minerali per un valore di circa 1.000 miliardi di dollari, inclusi giacimenti di alcuni cruciali minerali d’impiego industriale. Per esempio, l’Afghanistan è considerato l’“Arabia saudita del litio”. Inoltre si ritiene che l’Afghanistan detenga riserve di petrolio e gas naturale del valore di 220 miliardi di dollari. Secondo statistiche delle Nazioni unite, il 63% della popolazione afgana ha meno di 25 anni. Se i giovani ricevono formazione e competenze adeguate, l’Afghanistan potrebbe beneficiare enormemente di questo dividendo demografico. Nonostante l’arretratezza delle condizioni dell’agricoltura, inoltre, gli agricoltori afgani possono puntare su prodotti ad alto valore, incluso il miglior zafferano al mondo – l’oro rosso dell’Afghanistan.

A ciò si aggiunga che l’Afghanistan sta facendo grandi sforzi per rafforzare i propri collegamenti con i paesi confinanti, con l’obiettivo di sfruttare al meglio il proprio potenziale geo-economico. A questo fine, Kabul ha firmato numerosi accordi commerciali di transito. Il presidente Ghani ha promesso di sviluppare nel 2014-15 una nuova strada (la “strada azzurra”), che attraverserà Asia centrale e Turchia e verrà impiegata per l’80% del commercio afgano con l’Europa. Si prevede che a fine 2016 l’utilizzo del porto iraniano di Chabahar consentirà all’Afghanistan di aumentare il volume del commercio con l’India da 600 milioni di dollari a 5 miliardi entro cinque anni. Grazie a questo porto l’India potrà avere accesso diretto all’Asia centrale. Inoltre, a fine 2015 verrà tracciato il percorso della progettata ferrovia tra Tagikistan, Afghanistan e Turkmenistan, finanziata dalla Banca di sviluppo asiatica e dalla Banca di sviluppo islamica. È poi in discussione un corridoio di trasporto e di transito tra Afghanistan, Turkmenistan, Azerbaigian e Georgia. Tutti questi sviluppi confermano la forte aspirazione di Kabul a interagire con i paesi della regione al fine di rafforzarne le reti di cooperazione economica.

Va sottolineato che la “Cintura economica della via della seta” è stata lanciata dalla Cina, ma non verrà realizzata esclusivamente da Pechino. Sono anzi proprio l’interazione con reti a più livelli, l’espansione di interessi comuni e la massimizzazione delle sinergie a rendere il progetto assai differente dai precedenti programmi cinesi di cooperazione allo sviluppo. Ne consegue che l’Afghanistan è un importante tassello non solo per il suo potenziale, ma anche per la posizione di Kabul come hub degli sviluppi regionali. Sostenendo le aspirazioni economiche dell’Afghanistan, la Cina potrebbe cioè trarre beneficio dai crescenti legami commerciali e finanziari del paese con altri attori emergenti in Asia centrale e meridionale. Ciò vale per esempio nel caso dell’integrazione tra la “Cintura economica” cinese e l’Unione economica eurasiatica o l’iniziativa Trans-Eurasian Belt Development proposte dalla Russia, così come la “Via della prateria” proposta dalla Mongolia e la “Via luminosa” proposta dal Kazakistan.

Per tutti questi motivi, negli ultimi anni la Cina ha considerevolmente rafforzato il proprio ruolo alla ricerca di una soluzione per la questione afgana. Nell’ottobre del 2014, la IV Conferenza ministeriale del Processo di Istanbul sull’Afghanistan si è tenuta a Pechino e si è conclusa con la predisposizione di 64 programmi di aiuto per l’Afghanistan. A febbraio di quest’anno si è tenuto a Kabul il I Dialogo strategico trilaterale Cina-Afghanistan-Pakistan, a testimonianza dell’impegno della Cina per il miglioramento delle relazioni tra Afghanistan e Pakistan grazie alla speciale amicizia che lega Pechino a Islamabad. È stato inoltre riportato sui media che a inizio 2005 Pechino avrebbe ospitato una delegazione di Taliban. Questi ultimi restano una componente cruciale della complessa equazione politica afgana, differenziandosi da al-Qaeda e altre organizzazioni terroristiche.

Per quanto riguarda invece lo sviluppo economico del paese, nell’ottobre del 2014 la Cina ha promesso di fornire all’Afghanistan aiuti allo sviluppo del valore di 327 miliardi di dollari entro il 2017. Il governo cinese ha inviato propri esperti, che lavoreranno assieme alla controparte afgana nella pianificazione della nuova rete infrastrutturale e nel miglioramento dell’efficacia nell’impiego degli aiuti. Su richiesta dell’Afghanistan, la cooperazione bilaterale ha dato priorità alla costruzione di strade e ferrovie, agli impianti idrici, al settore dell’energia e a quello agricolo. Nei prossimi cinque anni la Cina fornirà inoltre assistenza nell’addestramento di 3.000 professionisti afgani nei settori dell’antiterrorismo, del contrasto al traffico di stupefacenti, e nei settori dell’agricoltura e della diplomazia.

L’iniziativa della “Nuova via della seta” lanciata nel 2011 dall’ex Segretario di Stato americano Hillary Clinton puntava a far leva sulle risorse naturali di cui l’Afghanistan è ricco e sulla sua favorevole posizione geografica per rilanciarne l’economia, ma non ha compiuto significativi progressi. Ma neanche la Cina ha una formula magica per l’Afghanistan. Non è al momento chiaro come Kabul possa contribuire alla “Cintura economica della via della seta” e trarne a sua volta beneficio. Quel che è certo, però, è che, se l’Afghanistan torna a essere un porto franco per il terrorismo islamico e per l’estremismo e se la sua grave crisi economica persiste, allora il progetto intero di “Cintura economica della via della seta” ne sarà negativamente influenzato. Affrontare la questione afgana in modo lungimirante è dunque un nuovo importante test per la diplomazia cinese.

* Il presente articolo esprime le opinioni personali dell’autore.

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