La riforma del sistema penitenziario a cavallo tra SSR e riforma degli ordinamenti giudiziari: il caso kosovaro

Nell’ambito della cooperazione allo sviluppo, il processo di Security Sector Reform (SSR) è dedicato prevalentemente alla riforma delle forze armate (marina, aviazione, esercito e agenzie d’intelligence) e alle forze di polizia, sia per quanto riguarda il quadro normativo sia per le relative capacità operative. Di converso, la riforma del sistema penitenziario è generalmente sottostimata, ritardata e, in alcuni casi, completamente elusa. In realtà, pur considerando che le funzioni penitenziarie risultano solitamente di competenza del Ministero della Giustizia ovvero concernenti eventuali riforme giudiziarie, è di tutta evidenza che tali riforme toccano anche aspetti chiave del SSR, in quanto molti aspetti sono correlati e trasversali (in tal caso, si pensi alle gestione delle misure di restrizione/limitazione della libertà personale e alle capacità investigative in materia di terrorismo e criminalità organizzata della Polizia di Stato e del Corpo di Polizia Penitenziaria in Italia). Ciononostante, la gestione degli istituti penitenziari e il supporto alle attività inerenti alla riabilitazione dei detenuti rimango prerogative uniche della polizia penitenziaria nella maggior parte degli ordinamenti statali.

Il quadro normativo. Le norme sulla gestione di misure di restrizione/limitazione della libertà personale, la tutela dei diritti dei detenuti e la loro riabilitazione differiscono da paese a paese e sono enunciate all’interno di diversi strumenti normativi, tra cui le leggi per l’attuazione delle sanzioni penali e i codici di procedura penale. Nonostante vi siano delle differenze da un ordinamento all’altro, una serie di convenzioni internazionali regolano i principi generali del trattamento dei detenuti e gli obblighi delle autorità statali. Il Patto internazionale sui diritti civili e politici, all’Articolo 9, prevede che “qualsiasi individuo privato della propria libertà deve essere trattato con umanità e col rispetto della dignità inerente alla persona umana”, e che i sistemi penitenziari debbano mirare essenzialmente alla riabilitazione sociale dei detenuti. La Convenzione dell’ONU contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, sancisce invece una serie di obblighi in seno alle autorità statali affinché queste esercitino una sistematica sorveglianza sui regolamenti e le pratiche relativi al trattamento delle persone private della libertà personale al fine di evitare ogni caso di tortura (Articolo 11). In aggiunta, l’Articolo 10 sancisce che questi obblighi statali non riguardano soltanto misure preventive e di monitoraggio, ma anche formative e informative per tutto il personale coinvolto nel trattamento di individui privati della libertà personale. In ambito europeo, principi simili sono ribaditi all’interno della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, mentre per quanto riguarda il contesto africano sono enunciati nella Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli. Inoltre, seppur su tematiche più stringenti, altre convenzioni internazionali sanciscono principi aggiuntivi riguardo al trattamento dei detenuti, come la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, per ciò che riguarda i minori, e le Convenzioni di Ginevra in materia di trattamento dei prigionieri di guerra. In merito alle attività di monitoraggio, rimangono di particolare interesse le funzioni svolte dal relatore speciale sulla tortura e dal Comitato Internazionale della Croce Rossa con poteri di visita e ispezione delle prigioni per controllare che queste rispettino gli standard minimi (ad esempio, misura delle celle, ore d’aria, trattamento medico dei detenuti, ecc.).

Per quanto riguarda gli strumenti di soft law, vale a dire dichiarazioni d’intenti e standard internazionali, sono degne di nota le cosiddette Nelson Mandela Rules e, in ambito europeo, le Regole penitenziarie europee. Entrambe sono documenti non vincolanti che mirano a enunciare una serie di principi fondamentali e buone pratiche nel trattamento dei detenuti, soprattutto in materia di gestione dei documenti, alloggio, servizi/trattamenti sanitari, restrizioni e sanzioni. Nonostante la loro importanza, rimangono comunque delle best practices la cui applicabilità varia a seconda dell’ordinamento legislativo e alle condizioni sociali, economiche e geografiche del contesto preso in esame.

Il caso kosovaro. In seguito al conflitto del 1999, in Kosovo si è assistito a un interessante caso di riforma del settore della sicurezza in cui la maggior parte delle istituzioni locali (quelle preesistenti sotto l’amministrazione serba) sono state gestite per un consistente lasso di tempo dalle Nazioni Unite – tramite la missione UNMIK (United Nations Interim Administration Mission in Kosovo) e altre agenzie – prima che queste competenze siano state gradualmente trasferite alle autorità locali. Il trasferimento di competenze è stato finalizzato, con una certa gradualità nel 2008, anno della dichiarazione unilaterale d’indipendenza del Kosovo, sebbene alcune competenze in materia di amministrazione della giustizia siano rimaste di pertinenza della missione europea EULEX (European Union Rule of Law Mission in Kosovo) fino all’estate del 2018. Tale processo di transizione è stato affiancato da una serie di riforme e programmi di capacity building, tutt’ora operanti, implementati da diversi attori internazionali (quali per esempio la missione OSCE e la missione PSDC EULEX) volti a formare il personale delle nuove istituzioni. In ambito SSR e ordinamento giudiziario, la maggioranza dei progetti ha riguardato la polizia, in tutte le sue funzioni, giudici e procuratori, incluso il sistema penitenziario, nonché tutti gli aspetti normativi, gestionali e amministrativi dei due settori.

Per quanto riguarda il quadro normativo di riferimento, la formazione degli agenti e dei quadri dirigenziali, e l’organizzazione e le strutture degli istituti penitenziari, il Kosovo sembrerebbe rispecchiare le necessità del territorio e rispettare gli standard minimi internazionali in materia di trattamento dei detenuti (vista la questione di legittimità e le difficoltà nell’essere segnatario di convenzioni e trattati internazionali, tali norme trovano attuazione sul territorio tramite l’Articolo 22 della Costituzione kosovara). Dal punto di vista storico, subito dopo il conflitto, il sistema penitenziario (Kosovo Correctional Service, KCS) è stato inizialmente amministrato dal personale della missione KFOR, a guida NATO, e dalla UNMIK CIVPOL, per poi essere trasferito all’amministrazione penitenziaria UNMIK (Penal Managment Division). Il KCS è incardinato nel Ministero della Giustizia kosovaro e le sue competenze sono enunciate all’interno di strumenti normativi quali il codice di procedura penale, il codice penale e la legge sull’esecuzione delle sanzioni penali. Dal punto di vista formativo, il personale e i quadri dirigenziali sono stati e vengono formati presso l’accademia di Vushtrri/Vučitrn (l’attuale Kosovo Academy for Public Safety, dove viene formato tutto il personale della polizia). In passato, durante l’amministrazione ONU, i quadri dirigenziali e i vertici di alcune istituzioni penitenziarie sono stati affiancati da personale internazionale (cosiddetto job-shadowing), tra cui anche personale del Corpo di Polizia Penitenziaria italiana, nel tentativo di migliorare la gestione degli istituti e detenuti, soprattutto quelli considerati ad alta pericolosità. L’odierno curriculum di studi degli agenti prevede circa 900 ore addestrative di base ripartite in diversi corsi, alcuni specificatamente concepiti per la polizia penitenziaria e il lavoro nelle prigioni (esecuzione delle sanzioni penali, reintegrazione dei detenuti, ecc.), altri relativi a funzioni generali di polizia (etica, abilitazione al porto e uso di arma da fuoco, primo soccorso, ecc.). Al termine del periodo didattico, gli agenti vanno incontro a un tirocinio formativo presso gli istituti penitenziari e hanno la possibilità di attendere dei moduli formativi aggiuntivi in base al loro grado e specialità.

Nonostante gli sviluppi positivi in merito alle capacità delle istituzioni penitenziarie e al trattamento dei detenuti – ritenute soddisfacenti e in linea con gli standard minimi internazionali come evidenziato nel 2019 Kosovo Report della Commissione Europea) – rimangono ancora delle aree in cui misure aggiuntive sembrerebbero necessarie. In particolare, le maggiori lacune si riscontrano nell’implementazione di programmi di riabilitazione, nella fornitura di assistenza sanitaria adeguata all’interno delle strutture penitenziarie e nella classificazione dei detenuti. Laddove le prime due lacune sono prevalentemente originate dalla mancanza di sufficienti investimenti, la classificazione dei detenuti appare più complessa e solo in parte legata alla necessità di ulteriore formazione per il personale delle strutture penitenziarie. Tale strumento, infatti, risulta essenziale nell’aggredire la criminalità organizzata e la radicalizzazione. Pertanto, è possibile constatare ingerenze politiche, dirette o indirette, durante il processo di classificazione consentendo così ai detenuti di alto profilo di ricevere trattamenti preferenziali e abusare di prerogative quali ricoveri ospedalieri e periodi al di fuori degli istituti penitenziari. Parimenti, quando un’impropria classificazione viene fatta per individui coinvolti nel crimine organizzato o in estremismi di natura violenta, il rischio che questi individui continuino le loro attività dalla struttura carceraria rimane più alto. Inoltre, per ciò che riguarda individui radicalizzati, i programmi di de-radicalizzazione attuali non sembrerebbero corrispondere alle esigenze kosovare anche se, nuovi protocolli di cooperazione tra il sistema penitenziario, il Ministero dell’Interno e la comunità islamica kosovara sono stati da poco istituiti.

*Tutti i riferimenti al Kosovo presenti nell’articolo vanno intesi nel pieno rispetto della risoluzione S/RES/1244 (1999).

Tutti i contenuti, i punti di vista, le opinioni, i risultati, le interpretazioni e le conclusioni qui espresse sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione ufficiale dell’OSCE, dei suoi stati membri, dell’ONU e/o di nessun’altra organizzazione citata.

 

Per saperne di più

EC (2019) Kosovo 2019 Report. Disponibile su: https://ec.europa.eu/neighbourhood-enlargement/sites/near/files/20190529-kosovo-report.pdf

ICPA (2019) Kosovo Correctional Service – A brief overview. Disponibile su: https://icpa.org/kosovo-correctional-service-a-brief-overview/

ONU (2015) The Nelson Mandela Rules: The UN standard minimum rules for the treatment of prisoners. Disponibili su: https://www.un.org/en/events/mandeladay/mandela_rules.shtml

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