[LA RECENSIONE] La democrazia in Cina. Le diverse formulazioni dagli anni ’80 ad oggi – La Cina dopo il 2012. Dal centenario della prima repubblica al XVIII Congresso del Partito comunista

Marina Miranda La democrazia in Cina. Le diverse formulazioni dagli anni ’80 ad oggi Roma Editrice Orientalia, 2013

Marina Miranda (a cura di) La Cina dopo il 2012. Dal centenario della prima repubblica al XVIII Congresso del Partito comunista Roma, L’asino d’oro, 2013

 

Uno spettro si aggira per l’Asia: il controllo politico della storia. La mancanza della condivisione di una comune lettura dei tumultuosi eventi del XX secolo nella regione non solamente, come noto, impedisce al Giappone di fare i conti con la sua passata proiezione imperiale, ma rappresenta anche per la Cina un ostacolo sul percorso di sviluppo economico e istituzionale, benché allo stesso tempo la lotta per il possesso della verità storica dia vita internamente a un dibattito intellettuale e politico ricco, vigoroso e affascinante. Di tale fermento di idee nella storia recente del Paese danno conto i due volumi che accomuniamo nella recensione di questo mese, l’uno scritto e l’altro curato da Marina Miranda, sinologa dell’Università di Roma-La Sapienza tra le più attive sui temi storico-politici della Cina contemporanea. Se il primo testo cerca di fare luce sul concetto di democrazia in Cina, così come si è venuto evolvendo (al di fuori e dentro il Partito) dagli anni ’80 a oggi, La Cina dopo il 2012 trae in realtà spunto da una serie di importanti anniversari tra il 2011 e il 2013 per delineare interessanti radici storiche dell’attuale situazione politica cinese, e tentando di enuclearne possibili direzioni future.

L’autrice, che dedica il primo volume “alle generazioni di cinesi sconosciuti che hanno lottato e lottano per una Cina più libera”, non nutre facili illusioni sulla capacità del regime di auto-riformarsi in senso democratico: in tal senso, la tanto sbandierata “democrazia all’interno del partito” sarebbe soltanto un espediente per preservare il potere (p. 34). All’interno del libro si ode distintamente l’eco di Tian’anmen, se è vero che “qualsiasi riforma che sia reale e non pilotata dal Partito (…) non può non passare per una rettifica del giudizio sulla strage del 4 giugno e per l’assunzione di tale responsabilità morale e politica da parte del Partito comunista cinese (Pcc) nei confronti dei cittadini cinesi” (p. 36). Fu sulla piazza Tian’anmen che si infransero le speranze di un’intera generazione di intellettuali che, partendo dall’antica concezione del minben (mettere il popolo al centro), elaborarono dapprima, sul Muro della democrazia del 1978-79, l’idea di una democrazia socialista sull’esempio della Comune di Parigi, e vi aggiunsero poi un’attenzione ai diritti individuali purché al servizio degli interessi generali, in un contesto di crescente pluralismo politico.

Tutti questi movimenti erano “concordi su di un punto: ribadire la necessità che la Cina rigetti il modello occidentale ed elabori un percorso specifico verso la democrazia, distinto da ogni altro, unico” (p. 80). Con “l’oblio di Stato su Tian’anmen” questo fermento cessa, ma è da queste ceneri che di tanto in tanto spuntano le braci di un fuoco mai completamente sopito: che si tratti di esercizi di retorica (Wen Jiabao), istanze radicali (Liu Xiaobo), tentativi di ripristinare la verità storica di quel 1989 (le memorie di Zhao Ziyang), o elaborazioni teoriche dall’interno del sistema (gli accademici Yu Keping e Pan Wei), queste braci vengono annacquate con minore o maggiore intensità dalla presenza di un partito che, non essendo disposto per ora a rivedere il proprio giudizio su Deng Xiaoping e sul 4 giugno, è costretto a difendere l’amnesia collettiva che soffoca nella società un dibattito franco e aperto sulle riforme politiche in senso democratico.

Il secondo volume proposto presenta “il tracciato dell’ideologia” (p. 10) attraverso l’analisi, basata su fonti primarie, di alcuni anniversari di eventi fondamentali per la storia della Repubblica popolare cinese (Rpc): il centenario della rivoluzione del 1911 (cui è dedicata l’intera prima parte), i novant’anni della fondazione del Pcc (1921), e i vent’anni dal viaggio a Sud (nanxun) di Deng nel 1992.

Se Guido Samarani ripercorre lo sviluppo del pensiero politico nazionalista dal 1905 alla morte di Sun Yat-Sen (1925), mettendo in luce le origini ibride ed eclettiche dei “Tre principi del popolo”, Miranda traccia le linee del dibattito attorno al revisionismo storiografico di cui la prima celebrazione ufficiale di quella rivoluzione (non a caso contrastata dagli intellettuali della Nuova sinistra) evidenzia un certo successo. In un certo senso la rivoluzione del 1911 ha rappresentato l’ingresso della Cina nella modernità, ma anche una sorta di riforma incompiuta – un evento pienamente sfruttabile a fini politici, perché “dotato di infinita malleabilità, svincolato da qualsiasi tipo di giudizio storico definito, che dipende dall’agenda e dalle priorità di chi lo interpreta” (p. 50). Lo spettro di Sun Yat-Sen può così diventare un angelo custode della Cina post-imperiale.

Nella seconda parte del testo, l’attenzione si rivolge al XVIII Congresso del Pcc e alle possibili evoluzioni delle politiche governative: la stessa Miranda scrive sull’ascesa e declino di Bo Xilai, e osserva come la grande sconfitta di Hu Jintao al congresso (testimoniata dalle sue precoci dimissioni dall’incarico al vertice della Commissione militare centrale) possa preludere alla mobilitazione del campo liberale del partito a sostegno delle riforme che Xi Jinping dovrebbe poter attuare, stando ai suoi primi gesti politici e simbolici quali il viaggio a sud, sulle orme di Deng, nel dicembre 2012.

Completano il volume gli interessanti saggi di Edoardo Gagliardi sul cinema di rievocazione storica, di Simone Dossi (Research associate di T.wai e coordinatore della redazione di OrizzonteCina) sullo stato dei rapporti tra Rpc e Taiwan sullo sfondo del pivot americano verso l’Asia, e di Davide Vacatello sul profilo politico – filtrato dal web – di Xi Jinping e Li Keqiang. Infine, il volume è arricchito da due testi di Ma Guochuan e Zhou Ruijin tradotti in italiano da Tania Di Muzio.

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