La Cina nel Sud-Est asiatico: le relazioni interstatali, i legami tra gli Stati e il business e i flussi di investimento in Malaysia

Fin dal lancio nel 2013 della Belt and Road Initiative (BRI) da parte del presidente Xi Jinping, si è assistito a un aumento degli investimenti cinesi nel Sud-Est asiatico. Un importante risultato ottenuto dalla BRI è stato l’incremento delle relazioni interstatali tra la Cina e i Paesi della regione, visibile in particolare in Malaysia. Sulla base di tali rapporti, le aziende di proprietà statale dei due governi sono tuttora coinvolti nella predisposizione di progetti comuni attraverso la creazione di partnership tra soggetti pubblici, malgrado anche gli investitori privati ricevano il sostegno governativo. Nel corso di questo processo sono emerse diverse forme di relazioni tra lo Stato e la comunità degli affari, con alcune attività controverse per natura o con riscontrate anomalie, mentre altre hanno ottenuto dei risultati potenzialmente produttivi.

 

Introduzione

Dal 2013, la BRI del presidente Xi Jinping ha incrementato a un ritmo considerevole il fenomeno delle relazioni a livello statale che, a sua volta, ha condotto a importanti cambiamenti nelle “relazioni Stato-impresa”. I principali obiettivi della BRI sono l’utilizzo dell’eccesso di capacità produttiva in Cina per, da una parte, assicurare l’accesso alle risorse naturali ed energetiche della regione e, dall’altra, alimentare una rete di interdipendenza economica che coinvolge Paesi asiatici ed europei. Uno strumento chiave che la Cina sta tuttora adoperando per realizzare la diversa gamma di progetti previsti all’interno della BRI sono le aziende di Stato (le state-owned enterprises, SOEs).

I Paesi del Sud-Est asiatico sono stati i primi beneficiari degli investimenti greenfield[1] della BRI. Al fine di garantire la realizzazione di questi legami economici mutualmente vantaggiosi, incoraggiati attraverso relazioni interstatali efficaci, si ricorre alle SOE multinazionali della Cina e alle aziende di proprietà governativa della regione. Ciò suggerisce come nel Sud-Est asiatico stiano emergendo forme inedite di relazioni Stato-impresa. Un altro fattore che appura la costruzione di legami di questo tipo è il sistema politico di un Paese. In molti Paesi del Sud-Est asiatico, caratterizzati da un ampio intervento statale, le relazioni interstatali hanno reso possibile i flussi di investimento realizzati dalle SOE cinesi nell’ambito della BRI.

 

Evidenza e analisi

La Malaysia è un caso studio interessante. Il Paese ha fin da subito appoggiato la BRI con l’intento di attingere ai fondi di investimento che dovrebbero affluire dalla Cina. Nel 2013 fu particolarmente entusiasta di trovare nuove fonti di investimenti esteri diretti (IDE) per controbilanciare il declino degli investimenti interni[2]. Come indica la Fig. 1, si è assistito a un incremento degli investimenti cinesi in Malaysia a partire dal 2013, in particolare dopo che l’allora primo ministro Najib Razak firmò 14 memoranda of understanding con aziende cinesi al cui interno è stato ufficialmente utilizzato il termine “cooperazione economica”. Nel 2018, sul totale degli IDE della Malaysia, quelli cinesi costituivano il 40%: si tratta della componente maggiore, che ammonta a 19,7 miliardi di renminbi (3,5 miliardi di dollari statunitensi)[3]. Questi fondi furono destinati a realizzare numerosi progetti infrastrutturali e industriali nel Paese, alcuni dei quali sono riportati dal grafico (Fig. 2)[4]. Non poco tempo fa, il presidente Xi aveva descritto le relazioni sino-malaysiane come “al loro picco massimo”[5].

Fig. 1 – L’incremento degli investimenti cinesi in Malaysia dopo il 2013.

Fig. 2 – I principali progetti cinesi in Malaysia (fonte: “The Straits Times”, 7 maggio 2017).

 

Uno studio approfondito sugli investimenti cinesi in Malaysia ha svelato 92 SOE e aziende private che hanno creato diverse tipologie di relazioni tra Stato e business che possono essere classificate secondo quattro diversi legami: “Stato-Stato”, Stato-Stato-privato”, “Stato-privato” e “Stato-privato-privato” (cfr. Fig. 3). In alcuni casi, le aziende private cinesi hanno legato con le loro controparti malaysiane, costituendo joint ventures. In altri casi, invece, le aziende private e le SOE cinesi hanno fondato nuove attività senza la partecipazione delle compagnie malaysiane. Gran parte di questi investimenti sono convogliati verso la costruzione di infrastrutture e progetti architettonici. Queste diverse forme di relazione tra Stato e business hanno generato risultati differenti, alcuni predatori per natura – nei progetti chiave essi riflettono infatti gli elementi tipici della “ricerca di rendita” (rent-seeking) – altri molto più legati allo sviluppo – che hanno determinato la creazione di infrastrutture in grado di favorire il commercio e la fusione di nuove industrie che generano progresso tecnologico.

Un ampio numero di questi progetti è stato realizzato dalle SOE multinazionali con sede in Cina e in collaborazione con compagnie della Malaysia collegate al governo (government-linked companies, GLCs). In alcuni casi, anche le aziende private hanno trovato spazio in queste joint ventures. Anche le aziende private cinesi hanno iniziato a investire in Malaysia, non necessariamente in progetti collegati alla BRI, rafforzando così la credenza che questo piano è stato inaugurato con la finalità di sostenere la politica di lunga data Go Out introdotta dalla Cina nel 1999[6]. Le aziende private cinesi che operano in Malaysia hanno una presenza significativa nei settori industriali e della manifattura tant’è che, in alcuni casi, queste stabiliscono joint ventures con le compagnie malaysiane. Ciò suggerisce che le relazioni interstatali tra la Cina e la Malaysia hanno inaugurato nuove strade che hanno consentito alle imprese private di entrambe i Paesi di arrischiarsi in investimenti in aree di business che possono contribuire a generare ottimi risultati economici come l’aumento dell’occupazione e la produzione di nuovi beni e servizi.

Fig. 3 – La Cina in Malaysia: forme differenti di relazioni “Stato-business”.

 

Nuove relazioni Stato-business, nuove tendenze

Malgrado ciò, questo nuovo trend nella struttura delle relazioni tra lo Stato e il mondo del business attira l’attenzione su una questione cruciale: che succede quando le grandi SOE che operano alla stregua di aziende internazionali intessono legami di affari con aziende governative allo scopo di realizzare i principali progetti concepiti dai governi cinese e malaysiano? Uno dei risultati più evidenti a cui si è assistito è il passaggio da una partnership pubblico-privata a un partenariato che coinvolge le GLC: il mandato affidato dai governi alle aziende di cui sono proprietari prevede la realizzazione di progetti congiunti. In questa tipologia di partenariato, dove i progetti sono attuati dalle SOE e dalle imprese governative, non c’è alcun attrito con le aziende private nel momento in cui i governi decidono di strutturare i progetti. I problemi riguardanti il finanziamento di questi progetti sembrano avere poca rilevanza nel caso delle partnership tra compagnie pubbliche poiché essi sono finanziate principalmente da istituzioni con base in Cina. Ciononostante, se è vero che sono messi a disposizione dalla Cina, i finanziamenti possono ritorcersi contro il Paese che ne ha fatto richiesta: infatti, il rischio è che il prestito contratto non possa essere ripagato qualora il progetto non assicuri i guadagni attesi. Proprio per questo motivo le joint ventures, dove i rischi sono condivisi tra i due Paesi, appaiono la soluzione più conveniente per il Paese ricevente.

I modelli decisionali di investimento entro il quadro delle partnership pubblico-pubblico si differenziano dai partenariati pubblico-privato in quanto i governi possono valutare le opportunità politiche in totale libertà dalle aziende private. In altre parole, essi possono strutturare i progetti a loro piacimento, senza dover temere di ricevere da parte delle aziende private un eventuale rifiuto a investire. In queste partnership, i governi di Cina e Malaysia possono inoltre determinare in che modo – o se – il settore privato deve gestire i progetti da essi finanziati. Normalmente, la scelta delle aziende private è a discrezione del governo sul cui territorio è prevista la realizzazione del progetto e deve tenere sempre in conto le caratteristiche del progetto medesimo.

Sebbene i legami tra SOE e GLC, che costituiscono la proprietà economica congiunta estero-domestica, siano comuni nelle relazioni interstatali, nei rapporti Stato-Stato-privato e in quelli Stato-privato, il potere non è equamente distribuito tra queste imprese. La decisione finale spetta anzitutto alla grande SOE multinazionale, il che suggerisce uno spostamento nel “potere strutturale” dalle aziende private al governo cinese. Una ragione per spiegare ciò sta nel fatto che la Cina ha uno straordinario sostegno nelle e un impatto potenzialmente vasto sulle economie in via di sviluppo, grazie ai finanziamenti di numerosi progetti realizzati dalle SOE con tecnologia e know-how in grado di restituire risultati di grande valore. Un aspetto parimenti importante nelle partnership pubblico-pubblico è che le SOE possono fare il loro ingresso in numerosi settori chiave delle economie in via di sviluppo.

Nondimeno, esistono importanti variazioni in termini di modelli di investimento attuati dalle imprese cinesi, come indica il grafico a torta (Fig. 3), le aziende private cinesi eseguono progetti assieme alle GLC malaysiane. Un buon numero di aziende cinesi, sia aziende di Stato sia private, opera in Malaysia anche in maniera autonoma, in una vasta gamma di settori. Nonostante non ci si trovi sempre in presenza di gestori di capitali, affari succulenti si registrano tra le imprese cinesi, in particolare nel settore dell’economia digitale. Quando detengono una vasta conoscenza tecnica in questo campo, le aziende private possono esercitare la loro grande influenza per decidere se i governi stranieri debbano investire o meno. Ciò è evidente nel caso di aziende come Alibaba, Tencent e Huawei. Alibaba, per esempio, è stata molto corteggiata dal governo malaysiano per lo sviluppo di una Digital Free Trade Zone (DFTZ). Nel settore industriale, un legame tra imprese private di cui la Malaysia ha beneficiato si è concretizzato allorché la casa automobilistica cinese Geely ha deciso di collaborare con la DRB-Hicom per rilanciare il progetto dell’auto malaysiana Proton, da tempo decadente.

Una caratteristica principale di queste diverse forme di relazioni tra Stato e business è data dai legami tra la finanza e l’industria, grazie a finanziamenti delle SOE cinesi. La scoperta sorprendente è che i fondi dei progetti, inclusi quelli rientranti nella BRI, non hanno origine da una istituzione multilaterale quale l’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), ma da policy-bank come l’Export-Import Bank of China, la China Development Bank e la China Construction Bank. Il ruolo giocato da queste banche indica il tentativo di questo governo di assicurare la buona riuscita dei suoi progetti di sviluppo all’estero.

L’architettura istituzionale che in questi progetti influenza la programmazione politica è importante perché fornisce un’idea di come il governo – e in alcuni casi, entrambi i governi – modella o rimodella il modo in cui vengono create le reti di produzione e le catene dei fornitori, un esito che ci si attende dai progetti di vasta scala. Sia le reti sia la supply chain, guidate dalle SOE cinesi e che in Malaysia vedono coinvolte le piccole e medie imprese (small-and-medium-scale enterprises, SMEs) possono essere rilevanti nella misura in cui riescono a trasferire tecnologia nei settori chiave dell’economia. Nei progetti diretti dalle SOE, rinfrancate dal consistente sostegno governativo che permette loro di spendere e investire in ricerca e sviluppo (R&D), questo può condurre a un’importante trasformazione strutturale. Le compagnie malaysiane potrebbero sfruttare meglio le conoscenze appena acquisite per sviluppare le proprie competenze in settori economici chiave, che consentirebbero loro di risalire la catena tecnologica.

 

Implicazioni politiche e raccomandazioni

L’aumento delle relazioni tra SOE e GLC, che a loro volta hanno avuto origine da un incremento dei finanziamenti cinesi nel Sud-Est asiatico a seguito del lancio della BRI, attira l’attenzione sul cambiamento che ha segnato le forme di intervento governativo, manifestatosi chiaramente nei nuovi sistemi di relazione tra Stato e mondo imprenditoriale. Ci sono risultati positivi che è possibile trarre dai legami interstatali e dalla riconfigurazione delle relazioni tra Stato e business. Alcuni di questi sono:

  1. la costruzione di infrastrutture cruciali può favorire il commercio;
  2. la promozione di settori industriali strategici per accelerare l’industrializzazione, in particolare nella regione indocinese sottosviluppata;
  3. lo sviluppo delle SME nel Sud-Est asiatico, uno sforzo estremamente necessario in quanto costituiscono il più grande segmento del settore corporate nella regione. In Malaysia, ad esempio, le SME costituiscono il 98% del settore;
  4. la spesa in attività di R&D e nelle costose e potenzialmente rischiose industrie del settore tecnologico, in cui i privati sono restii ad addentrarsi;
  5. la creazione di una supply chain globale e di una rete di produzione che potenzia le imprese domestiche.

Tuttavia, nelle nuove relazioni tra Stato e business, non mancano timori di rilievo a livello politico. I confini tra i governi di Cina e Malaysia e le rispettive SOE e GLC non sono chiari e, in più, vi sono poche prove che la relazione bilaterale sia equa e basata su prezzi concorrenziali (il principio, cosiddetto, “arm’s-length”).

L’emergente regione del Sud-Est asiatico potrebbe non disporre in futuro di un’architettura istituzionale ben congegnata che incanali i flussi di investimento ricorrendo a un’impostazione istituzionale appropriata e definita per assicurare un effettivo sviluppo industriale. Ciò costituisce un problema sia per la Malaysia sia, nell’eventualità non remota, per i Paesi della regione indocinese, l’Indonesia e le Filippine.

Traduzione a cura di Raimondo Neironi

[1] Gli investimenti diretti esteri sono definiti greenfield quando l’impresa crea una nuova attività produttiva all’estero (che sia uno stabilimento o una filiale). Si distinguono da quelli cosiddetti brownfield, ovvero gli investimenti esteri diretti eseguiti per ottenere il controllo di un’impresa estera già esistente [N.d.T.].

[2] Una possibile motivazione è da rintracciare nei risultati elettorali delle elezioni politiche del 2013, che registrarono una caduta di consensi della coalizione al potere Barisan Nasional (Fronte nazionale). In risposta, il governo introdusse una politica discriminatoria su base etnica per chiamare a raccolta la propria base politica prevalentemente formata dai malay, il principale gruppo etnico del Paese. Questa politica basata – tra le altre cose – sulla “discriminazione positiva” (in inglese, “affirmative action”) nell’ambito del business ha minato la fiducia degli investitori interni. Per un’analisi più accurata sul tema, cfr. Gomez E.T. e Mohamed Nawab, M.O. (a cura di) (2020), Malaysia’s 14th General Election and UMNO’s Fall: Intra-Elite Feuding and the Pursuit of Power, Londra: Routledge.

[3] Fong. K., “Second meeting brings better understanding”, The Edge Markets, 13 maggio 2019.

[4] Questo report si basa sulla valutazione dei dati raccolti da circa 90 aziende cinesi che hanno investito in Malaysia. Quest’analisi è stata presentata la prima volta alla conferenza di divulgazione organizzata dal CRISEA-EU a Kuala Lumpur il 9 luglio 2019, dal titolo “Development & Transformation in Southeast Asia: The Political Economy of Equitable Growth”. Per un report dei risultati della ricerca, cfr. Sukumaran T., “Beware of ‘grabbing hands’ in Chinese projects, says Malaysian economist Terence Gomez”, The South China Morning Post, 9 luglio 2019.

[5] Lau R., “China’s Belt and Road: What’s in it for Malaysia?”, Borneo Post, 3 settembre 2017.

[6] La Go Out policy è stata una politica promossa dal governo cinese per favorire l’apertura economica, la modernizzazione del Paese e l’espansione delle aziende cinesi all’estero. Fu ufficialmente formalizzata all’interno del X Piano quinquennale, in occasione del Terzo Plenum della IX Assemblea nazionale del Popolo cinese, tenutasi nel marzo 2000 [N.d.T.].

[7] In International Political Economy, il “potere strutturale” è un concetto elaborato da Susan Strange [N.d.T.].

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