Il Libro Bianco cinese su Internet

Lo scorso 8 giugno l’Ufficio di informazione del Consiglio di stato – il governo nella Repubblica popolare cinese (Rpc) – ha pubblicato il primo Libro bianco su internet in Cina. Un buon punto di partenza per analizzare questo documento è soffermarsi sulla natura dell’ente che ne ha curato la pubblicazione. L’Ufficio di informazione è una peculiare articolazione dell’amministrazione cinese: funge al contempo da interfaccia pubblica dello Stato, e da vertice organizzativo del capillare sistema di propaganda che fa capo al Partito comunista cinese (Pcc). I Libri bianchi – pubblicati sin dal 1991 – sono quindi documenti significativi, ma non si prestano a letture affrettate.

Non può stupire, quindi, che oltre a fornire dati impressionanti sull’utilizzo di internet in Cina, il Libro bianco reiteri la logica alla base della politica di controllo “sovrano” della rete da parte delle autorità. La straordinaria dinamica di diffusione di internet sul territorio cinese emerge confrontando i numeri presentati nel Libro bianco con quelli del 24° Rapporto statistico sullo sviluppo di internet in Cina, a cura del China Internet Network Information Center. Gli utenti censiti, che erano circa 338 milioni al 30 giugno 2009, avevano superato i 384 milioni all’inizio del 2010. Il numero di accessi a banda larga sono passati da 320 a 346 milioni nello stesso arco di tempo, e ancora maggiore è il tasso di crescita degli accessi attraverso supporti mobili, passati da 155 milioni a 233 in sei mesi. Di fatto, a 16 anni di distanza da quando la Cina ha acquisito la piena connessione a internet, quasi il 30% dell’intera popolazione cinese naviga in rete.

La presenza di un mezzo di comunicazione facilmente accessibile e caratterizzato da un elevato grado di partecipazione (a partire dal microblogging) è al contempo agente e specchio di un profondo cambiamento sociale della Cina contemporanea. La “cultura digitale” che si va sviluppando nella Rpc è famosa tra gli osservatori dei media globali per lo humour, l’irriverenza, e la straordinaria creatività necessaria per superare la censura imposta dalle autorità. Il contrasto con la Tv e la carta stampata – compassati e servili nei confronti dell’autorità – è stridente.

Il Libro Bianco chiarisce che di tale creatività continuerà ad esserci bisogno in futuro: confermando una posizione destinata ad avere notevole peso nel dibattito globale sulla governance del mondo digitale, Pechino ribadisce però che “nel territorio cinese Internet rimane sottoposta alla sovranità della Rpc”, con l’obiettivo di preservare la stabilità sociale e tutelare la sicurezza degli utenti. Lo Stato manterrà dunque la sua politica di “armonizzazione” (censura) dei messaggi pubblicati dagli utenti, sia attraverso il gran numero di giovani da “50 cent” – volontari pagati piccole cifre per postare messaggi anonimi che appoggiano la linea del Partito – sia per mezzo dell’autocensura delle imprese, di intimidazioni, e di incriminazioni a norma di legge. Recenti casi legali confermano la difficoltà di impostare un’eventuale difesa in giudizio chiamando in causa le norme costituzionali che garantiscono la libertà di espressione (art. 35): quando l’accusa è di istigare alla sovversione, il crimine è di fatto di natura politica e i giudici non prendono neanche in considerazione i diritti dei cittadini.

A questa azione capillare di censura non sfuggono neanche le principali imprese multinazionali: dopo un attacco informatico patito da una ventina di queste nel gennaio scorso, Google aveva deciso di dichiarare la propria indisponibilità a proseguire nella collaborazione con il Great China Firewall, il sistema di filtraggio che oscura migliaia di siti sgraditi alle autorità. Dopo una querelle durata diverse settimane e che aveva visto una dura presa di posizione del Segretario di Stato Usa Hillary Clinton, Google aveva preso atto della fermezza del governo cinese e sembrava orientata a chiudere definitivamente i propri servizi in Cina, dirottando il traffico proveniente dal paese su un sito di Hong Kong non soggetto a filtri. Poi però ci ha ripensato, annunciando che il trasferimento sul sito di Hong Kong non sarebbe stato automatico. Pechino ha quindi deciso di rinnovare a Google la licenza per operare in Cina. Un esito positivo per entrambe le parti e per i rapporti tra Usa e Cina, ma il problema della censura governativa rimane e non è escluso che la disputa torni a riproporsi nei prossimi mesi.

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