Fuori dall’ombra: le relazioni tra la Cina e l’Europa centrale e orientale

Traduzione dall’inglese di Simone Dossi

Negli scorsi vent’anni l’Europa centrale e orientale ha avuto un ruolo marginale nella politica estera della Cina, e viceversa. Ciò che mancava era infatti un interesse reciproco. Da un lato, i paesi dell’Europa centrale e orientale erano concentrati sulle proprie trasformazioni politiche ed economiche interne, mentre in politica estera prestavano attenzione in particolare al rafforzamento delle relazioni con i vicini e al processo di adesione a Nato e Unione europea: la Cina, un partner lontano, non era dunque considerata una priorità. Dall’altro lato Pechino, da poco uscita dalla repressione di Tian’anmen, attuava la propria strategia di taoguang yanghui (韬光养晦), concentrandosi sulle questioni interne e mantenendo un basso profilo in politica estera.

La situazione ha cominciato a cambiare con la crisi finanziaria ed economica globale. La vera pietra miliare è stata il 2012, con la visita dell’allora premier Wen Jiabao in Polonia. Oltre a una serie di incontri con la controparte sulle relazioni bilaterali, Wen incontrò allora i leader di 16 paesi dell’Europa centrale, orientale e meridionale. Vennero annunciate da parte cinese le cosiddette “12 misure”, suggello di una nuova strategia di engagement verso la regione. Si trattava di una lista di obiettivi di medio e lungo termine che il governo cinese si impegnava a conseguire per rafforzare la cooperazione con i paesi della regione. Molti di essi erano promesse di carattere economico: per esempio una linea di credito di 10 miliardi di dollari, un fondo di investimento di altri 500 milioni di dollari, l’invio di missioni commerciali cinesi nella regione. Ma erano anche previste iniziative di carattere non strettamente economico, come l’attivazione di borse di studio e di un fondo di ricerca congiunto tra la Cina e i paesi dell’Europa centrale e orientale.

La visita di Wen segnava l’avvio di un nuovo meccanismo di cooperazione, noto come “16+1”: vertici annuali tra i capi di governo della Cina e dei 16 paesi dell’Europa centrale e orientale, ma anche incontri a più basso livello nello stesso formato. Il vertice di Varsavia venne allora percepito come un incontro ad hoc, ma ben presto sarebbero arrivate nuove prove della volontà cinese di promuovere forme di cooperazione istituzionalizzata con i paesi della regione: nel settembre del 2012 veniva istituito all’interno del Ministero degli esteri cinese il Segretariato Cina-Europa centrale e orientale, incaricato di coordinare le istituzioni cinesi coinvolte nel meccanismo 16+1 e di tenere i contatti con i 16 paesi dell’Europa centrale e orientale, mentre alla fine dell’anno successivo si sarebbe tenuto a Bucarest il secondo vertice 16+1. La ragione della preferenza cinese per un meccanismo di cooperazione istituzionalizzata risiedeva nella volontà di rafforzare i legami con i paesi minori della regione. In questo senso il formato 16+1 era un’iniziativa cinese, volta a ottenere l’attenzione dell’Europa centrale e orientale e a raggruppare più paesi, con ciò facilitando la cooperazione.

In effetti questa formula ha sollevato in un primo momento numerose perplessità nell’Europa centrale e orientale e a Bruxelles. I paesi della regione – e in particolare quelli che avevano da poco elevato il proprio livello di cooperazione con la Cina – temevano che il nuovo meccanismo potesse mettere in discussione o quanto meno oscurare le relazioni bilaterali, o che esso potesse innescare forme di rivalità tra paesi vicini per la conquista del favore e dei finanziamenti della Cina. A ciò si aggiunga che la volontà cinese di includere nel meccanismo anche Stati non membri dell’Unione europea aveva sollevato non pochi interrogativi sulle reali intenzioni di Pechino. A questo proposito, molti dubbi venivano avanzati proprio a Bruxelles. Alcuni sostenevano che il coinvolgimento di 11 Stati membri dell’Unione accanto a 5 non membri potesse compromettere la politica dell’Unione verso la Cina o addirittura mettere in discussione le competenze delle istituzioni europee. Vi era cioè la preoccupazione che i 16 paesi coinvolti nel meccanismo potessero elaborare e attuare una propria politica autonoma verso la Cina, arrivando a stabilire istituzioni di coordinamento al di fuori del quadro Ue. Da questo punto di vista il formato 16+1 era visto a Bruxelles come la manifestazione concreta di una politica cinese di “divide et impera”.

Pechino era però consapevole di queste preoccupazioni e per questo motivo ha modificato il proprio approccio prima del secondo vertice, attraverso consultazioni con la Commissione europea e con i paesi dell’Europa centrale e orientale. Le Linee-guida di Bucarest, adottate durante il secondo vertice 16+1, affermano così che la cooperazione deve essere condotta in accordo con il diritto dell’Unione europea e che il dialogo 16+1 è elemento indispensabile della partnership strategica Cina-Ue. A differenza delle 12 misure, le Linee-guida vennero inoltre adottate da tutti e 17 i paesi coinvolti e non dalla sola Cina. Vi si delineava un’agenda più corposa rispetto al precedente documento, con numerose attività congiunte in capo non solo alla Cina ma anche ai paesi della regione. Veniva inoltre introdotto uno schema di cooperazione a tre livelli: iniziative ad hoc (quali i vertici ministeriali per la promozione del commercio e degli investimenti), eventi periodici (il dialogo tra leader una volta ogni due anni) e meccanismi fissi (le associazioni).

La stesso percorso è stato seguito in vista del terzo vertice 16+1, tenutosi a Belgrado lo scorso dicembre, al fine di evitare proposte contrarie al diritto comunitario e di mitigare per questa via le preoccupazioni di Bruxelles. Le Linee-guida di Belgrado – più lunghe e articolate di quelle di Bucarest – riaffermano così che la cooperazione è condotta in accordo con il diritto comunitario e che il formato 16+1 non mette a repentaglio la politica dell’Ue verso la Cina, né tanto meno la coesione interna dell’Unione.

Tanto le preoccupazioni dell’Europa centrale e orientale quanto quelle dell’Unione europea paiono essersi da allora ridimensionate, almeno ufficialmente. I paesi della regione percepiscono la formula 16+1 come la somma di 16 dialoghi bilaterali con la Cina: un sistema vantaggioso soprattutto per i paesi più piccoli, che ottengono in questo modo la possibilità di un incontro con il primo ministro cinese ogni anno. I paesi dell’Europa centrale e orientale sono consapevoli di non poter trascurare le relazioni con la Cina e sanno che la cooperazione, se condotta in modo attento, può essere di beneficio per entrambe le parti. Si aggiunga che il carattere diversificato ed eterogeneo dei 16 paesi rappresenta un vantaggio per la cooperazione nel suo complesso, poiché i tipi di investimento richiesti alla Cina sono diversi da paese a paese: per esempio, i paesi dei Balcani necessitano principalmente di investimenti nelle infrastrutture mentre i paesi membri dell’Ue necessitano soprattutto di investimenti greenfield, brownfield e di capitale.

Per parte sua, la Cina è interessata a entrare nei paesi della regione con investimenti che le consentano di diversificare le proprie riserve in valuta estera e di accedere alle basi di produzione e ai canali di distribuzione nella regione. Pechino sta infatti cercando di rilanciare le proprie politiche di “going out” (zouchuqu, 走出 去) e “apertura della [Cina] occidentale” (xibu da kaifa, 西部大开发) attraverso la riscoperta delle relazioni con regioni sinora trascurate. L’Europa centrale e orientale, dal canto suo, accoglie positivamente investimenti cinesi che potrebbero aiutare a creare posti di lavoro e a sostenere il trasferimento di tecnologia e lo sviluppo regionale. La Cina intende inoltre espandere i collegamenti stradali e ferroviari con l’estero (per esempio al fine di garantirsi canali di esportazione per le capacità produttive in eccesso), rafforzare i propri investimenti nel settore delle infrastrutture (con impiego di proprie tecnologie e manodopera) e istituire zone economiche e centri di distribuzione, all’interno del progetto della “Via della seta” che costituisce parte integrante delle politiche di sviluppo della Cina occidentale. Dal canto loro i paesi dell’Europa centrale e orientale, come per esempio la Polonia, desiderano rafforzare la competitività dei collegamenti ferroviari diretti con la Cina (le linee Lodz-Chengdu e Varsavia-Suzhou), creando logistica multimodale e centri di distribuzione per i collegamenti tra la Cina e l’Europa.

Va tuttavia detto che – nonostante i vari meccanismi attivati all’interno della cornice 16+1 – i risultati della cooperazione non sono del tutto soddisfacenti, specialmente per i paesi membri dell’Ue. Sembra infatti che molto dipenda dalle capacità di negoziazione di ciascun singolo Stato con la Cina, oltre che dalla capacità di indicare chiaramente che cosa la regione nel suo complesso vuole dalla Cina e dall’esistenza di un consenso politico in favore di più solide relazioni con Pechino. Ora che il meccanismo si è consolidato resta da vedere in particolare se i paesi dell’Europa centrale e orientale che sono membri dell’Ue avranno la determinazione necessaria a utilizzare questo loro particolare status per perseguire i propri interessi nelle relazioni con la Cina, come i “vecchi” membri dell’Ue hanno già da tempo imparato a fare. Del resto, il “pivot” dell’Europa centrale e orientale verso la Cina è finalizzato principalmente a limitare le vulnerabilità prodotte dai cambiamenti in corso in Europa. È tempo per i paesi della regione di globalizzare la propria politica economica: le relazioni con la Cina – attraverso il formato 16+1 – rappresentano in questo senso una grande opportunità.

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