La gestione del COVID-19 nelle Filippine: le ripercussioni sulla forza lavoro nel settore sanitario

Il governo di Manila ha sostenuto una consistente battaglia contro la diffusione del contagio da COVID-19 a partire dal marzo scorso. Con i primi casi di infezione riconosciuti nelle isole dell’arcipelago a partire da fine gennaio 2020[1], è iniziata una campagna differenziata di misure di isolamento definite General Community Quarantine (GCQ), che hanno previsto sia misure generali di distanziamento sociale ed Enhanced Community Quarantine (ECQ), sia misure più stringenti di divieto di attività produttive non indispensabili e focalizzate sulla limitazione della libertà di movimento personale. Il primo periodo di misure restrittive è stato imposto a partire dalla metà del mese di marzo fino a fine maggio, con provvedimenti successivi. Un secondo provvedimento legislativo di restrizioni, concentrato nell’area della megalopoli di Manila e che ha coinvolto le circostanti Bulacan, Cavite, Laguna e Rizal, è stato approvato dal governo (dietro la spinta di varie associazioni mediche, fra le quali la Philippine Medical Association e il Philippine College of Physicians) a partire dal 4 agosto, in virtù dell’incremento dei contagi riscontrato nella seconda metà del mese di luglio.

La criticità della situazione del sistema sanitario

Fra le preoccupazioni maggiori del primo impatto con la pandemia – all’interno delle quali rientrano le difficoltà di coordinare le misure di contenimento e isolamento su un territorio suddiviso in vari arcipelaghi di isole spesso di dimensioni ridotte, la scarsità di mezzi sanitari idonei alla cura, il contenimento del contagio e la messa in sicurezza dei lavoratori sanitari – è emerso senza dubbio un problema riguardante la forza lavoro sanitaria. La carenza di infermieri, operatori e medici ha anche portato il governo a bandire l’uscita dal Paese di addetti alla sanità (assieme ad altre professioni) dal mese di aprile sino al termine di agosto con un provvedimento della Philippine Overseas Employment Administration (POEA).

Il quadro di scarsità della forza lavoro sanitaria sul territorio è un problema che per le Filippine è già stato evidenziato in più occasioni anche negli anni Duemila. Una ricerca dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) del 2005 evidenziava che il problema riguardava principalmente infermiere e infermieri, ostetriche, dottori e dottoresse che migravano soprattutto verso l’Arabia Saudita, gli Stati Uniti e il Regno Unito[2]. Le cause del processo di migrazione venivano già individuate come legate direttamente al mercato del lavoro e non a differenti fattori (come, ad esempio, le condizioni di sicurezza): i lavoratori erano alla ricerca di migliori salari e una migliore previdenza (in special modo per infermieri e operatori sanitari). La scarsità dei lavoratori sanitari (in particolar modo gli infermieri) si è senza dubbio evidenziata a livello planetario con l’emergenza pandemica, ma nelle Filippine è salita alla ribalta e posta in relazione con la migrazione e il rallentamento della formazione di operatori sanitari, come statuito, ad esempio, da un rapporto dell’International Council of Nurses (ICN)[3].

Dal territorio di Manila sono emigrati in media diciottomila infermieri l’anno negli ultimi cinque anni e il numero dei nuovi infermieri che hanno avuto titolo ad accedere alla professione è diminuito in maniera rilevante, scendendo sotto i diecimila nel 2018[4]. Nel 2019 gli infermieri e le ostetriche qualificati e attivi sul territorio nazionale erano meno di cinquantamila in totale e la stragrande maggioranza lavorava nel settore privato. Secondo quanto ricavabile dal sito web della Philippines Statistic Authority (PSA)[5], e incrociando i dati con quelli ottenuti dalla Philippines Nurses Association (PNA), sono riportati nella seguente tabella (Tab. 1) le cifre esatte relative ai lavoratori sanitari in servizio nei presidii governativi:

Tab. 1 – I lavoratori sanitari filippini in servizio per il governo (fonte: dati incrociati tra quanto ricavato sul sito della PSA e PNA)

Emerge dalla tabella un’endemica scarsezza degli operatori sanitari nei presidi pubblici, che si ripercuote sulle classi meno abbienti, i quali non possono permettersi assicurazioni sanitarie che permettano di rivolgersi alla sanità privata.

Il quadro che emerge è altalenante e instabile per quasi tutte le categorie, ma in particolare per gli infermieri, senza dubbio di primaria importanza nella gestione della pandemia. Il numero di infermieri e ostetriche per persona in servizio in totale nel 2018 era di poco inferiore a cinque ogni mille abitanti. Se si pensa che la media dei Paesi OCSE, di soli infermieri, è di 8,9 ogni mille abitanti[6], si comprende come il fenomeno sia rilevante, soprattutto per un Paese che esporta un elevato numero di lavoratori sanitari.

Nel momento in cui si passano a esaminare i dati della pandemia e si analizza la curva dei contagi dalla fine del mese di marzo al 22 novembre 2020 si nota che il periodo più critico per il sistema sanitario filippino è stato dall’inizio del mese di agosto alla prima decade di settembre. Nei tre grafici sotto riportati sono tracciate le curve dei contagi per settimana a partire dalla settimana 23-29 marzo (poco prima che venisse adottato il provvedimento di blocco dei lavoratori sanitari) sino al 22 novembre.

Tab. 2 – La curva dei contagi nel periodo 23 marzo-28 giugno (elaborazione dell’autore sui dati ufficiali del servizio sanitario filippino consultabili anche online all’indirizzo: https://ncovtracker.doh.gov.ph/)

Tab. 3 – La curva dei contagi nel periodo 29 giugno-4 ottobre (elaborazione dell’autore sui dati ufficiali del servizio sanitario filippino consultabili anche online all’indirizzo: https://ncovtracker.doh.gov.ph/)

Tab. 4 – La curva dei contagi nel periodo 5-22 novembre (fonte: elaborazione dell’autore sui dati ufficiali del servizio sanitario filippino consultabili anche online all’indirizzo: https://ncovtracker.doh.gov.ph/)

Dopo le prime fasi di propagazione (v. Tab. 2) si può notare il picco verificatosi ad agosto (v. Tab. 3), che ha costretto il governo, piuttosto prontamente, a imporre la seconda serie di restrizioni concentrata solo nell’area di Manila. Se si considerano sia i grafici appena riportati, incrociandoli con la mortalità causata dal virus (espressa in media settimanale), sia i report sulle condizioni e sull’operatività degli ospedali, si può provare a tracciare un’analisi del peso della scarsità del personale sanitario nella prima fase dell’emergenza. Il grafico successivo (Tab. 5) riporta la mortalità media settimanale per l’infezione da COVID-19 nel Paese partendo dalla settimana 23-29 marzo sino alla settimana 16-22 novembre 2020.

Tab. 5 – La curva della mortalità media settimanale tra il 23 marzo e il 22 novembre 2020 (fonte: elaborazione dell’autore sui dati ufficiali del servizio sanitario filippino consultabili anche online all’indirizzo: https://ncovtracker.doh.gov.ph/)

Dopo il primo periodo si nota un picco della mortalità nelle settimane 16 e 17 (ovvero 6-12 luglio e 13-19 luglio), dopodiché la mortalità sale (a causa del maggior numero di contagi) e ha inizio un andamento di saliscendi pur non degenerando in una salita senza controllo. Il sistema sanitario quindi, nella seconda fase, è riuscito a non collassare nonostante i contagi e alcune incertezze nel mese di luglio, che potrebbero essere legate sia a fattori correlati al contagio sia a fattori contingenti al sistema sanitario.

Varie istanze e studi hanno denunciato al contempo la carenza di infermieri e operatori sanitari e la situazione lavorativa di infermieri e medici durante le prime fasi dell’emergenza sanitaria, sottolineando la scarsità di capitale umano e, al tempo stesso, la carenza di misure di sicurezza che avrebbero dovuto proteggere i lavoratori dal contagio. Ad esempio, nel rapporto stilato dalla giornalista Lorela U. Sandoval emerge chiaramente come la situazione nei primi giorni della pandemia fosse disastrosa dal punto di vista della diffusione e distribuzione dei mezzi di protezione individuale fra i lavoratori della sanità[7]. Molto spesso i primi a essere colpiti dal virus sono stati proprio infermieri e medici che, fino ai primi giorni di giugno, sono stati vittime della carenza di misure protettive.

La gestione dei malati in generale (non solo quella dei degenti) è andata quindi migliorando, non solo grazie all’aumento del numero di infermieri e dottori che sono rientrati nel Paese o non sono potuti uscire a causa delle disposizioni dell’amministrazione di Rodrigo Duterte, ma anche grazie all’aumento della disponibilità di misure protettive, importate dai Paesi dell’Association of South-East Asian Nations (ASEAN) e dalla Cina.

 Cause concorrenti alla rarefazione dei lavoratori sanitari

Che le Filippine siano state almeno negli ultimi vent’anni serbatoio di lavoratori della salute, in particolare infermieri qualificati per molti Paesi occidentali e mediorientali, è dovuto a fattori tecnici legati alla formazione dei professionisti, a fattori storici – data la grande tradizione di formazione di lavoratori sanitari- e infine a fattori sociali. Ad esempio, lo studio di Cassandra Samuelsson e Qlindamaria Thach fornisce un quadro dell’istruzione filippina di base e i fattori sociali che spingono una gran parte dei lavoratori ad affrontare la carriera sanitaria e quindi ad aspirare alle professioni di infermiere, ostetrica, dottore o dentista[8]. La grande maggioranza degli autori sostiene la predilezione dei cittadini delle Filippine per le professioni sanitarie, contestualizzando l’importanza della componente sociale che va a costituire una componente strutturale del lavoro e quindi dell’economia filippina: in poche parole è molto più probabile che un cittadino delle Filippine intraprenda la carriera del lavoratore sanitario (in particolare, quella dell’infermiere) di quanto accada nell’Unione Europea o negli Stati Uniti. Questo avviene per fattori afferenti alla formazione sociale e culturale cui vengono avviati i giovani filippini, oltre che per motivazioni squisitamente economiche. All’ingresso nel mercato del lavoro si palesa un vantaggio comparato notevole per i lavoratori che emigrano verso determinati Paesi rispetto al prestare servizio nel proprio. Di conseguenza, il numero di coloro che intraprendono la via dell’emigrazione è considerevole.

Le Filippine formano lavoratori sanitari secondo un modello già proiettato all’esportazione del lavoro all’estero, in special modo nei Paesi anglofoni, perché il governo è ben consapevole dell’opportunità di acquisire la ricchezza prodotta dai propri cittadini emigrati, sotto forma di tassazione (se i cittadini rimangono residenti nella Filippine), o dei risparmi inviati in patria[9]. Ma al di là di questo interesse diretto, le amministrazioni succedutesi a Manila non sono riuscite, apparentemente, a indirizzare la formazione e la gestione dei lavoratori sanitari e ne sono dimostrazione la carenza manifestatasi nell’emergenza e le condizioni di lavoro contingenti. Il governo filippino, considerando anche il teorema di Heckscher-Ohlin, secondo cui “un Paese […] esporterà il bene la cui produzione richiede l’utilizzo intensivo del fattore produttivo che nel Paese è relativamente abbondante”, ha – come si è detto – tratto vantaggio dai numerosi filippini emigrati all’estero, ma non ha saputo organizzare l’apparato sanitario interno, rimanendo vittima della sua stessa strategia.

Conclusioni

La carenza del lavoratore sanitario nelle Filippine ha sicuramente compromesso la gestione della pandemia nell’immediato, ma soprattutto ha intaccato l’immagine del governo che, oltre a essere carente nella pianificazione, è stato costretto dagli eventi a bloccare la fuoriuscita dal Paese dei lavoratori sanitari.

Oltre a gettare un’ombra sulla gestione governativa, il provvedimento di blocco dell’uscita dei lavoratori dal Paese porterà un danno economico diretto per il governo con la perdita delle rendite estere dei cittadini filippini lavoratori sanitari all’estero (ovvero, le rimesse) e indiretto, impoverendo tutti coloro che sono stati colpiti dal blocco. Se quindi il blocco dei lavoratori sanitari è stato un fattore positivo nella gestione immediata, si profilano degli effetti negativi, che si sarebbero potuti evitare interpretando più oculatamente la programmazione dei flussi del lavoro.


Note bibliografiche

[1] Cfr. Edrada, E. et al. (2020), “First COVID-19 Infections in the Philippines: A Case Report”, Tropical Medicine and Health, (48) 21, pp. 1-7.

[2] Cfr. Lorenzo, F.E.F. (2005), “Migration of Health Workers: Country Case Study Philippines”, International Labour Organisation, Working Paper n. 236.

[3] Buchan, J. (2020), “COVID-19 and the International Supply of Nurses”, Geneva, International Council of Nurses, disponibile online al link https://www.icn.ch/system/files/documents/2020-07/COVID19_internationalsupplyofnurses_Report_FINAL.pdf.

[4] Ibi, p. 3.

[5] I dati sono disponibili online al link https://openstat.psa.gov.ph/.

[6] Cfr. i dati OCSE 2019 disponibili online al link https://data.oecd.org/healthres/nurses.htm.

[7] Cfr. Sandoval, L.U. (2020), “Panic In The Philippines As The Nation’s Healthcare Falters Amid COVID-19”, Inside Over 15 aprile, disponibile online al link https://www.insideover.com/society/panic-in-the-philippines-as-the-nations-healthcare-falters-amid-covid-19.html.

[8] Cfr. Samuelsson, C. e Thach, Q. (2018), “Nurses Experiences on Work-related Health in the Philippines”, Jonkoping, Jonkoping University.

[9] Cfr. Kanchan, M., Quimson, G. e Short, S.D. (2014), “Source Country Perception, Experiences and Recommendations Regarding Health Workforce Migration: A Case Study from the Philippines”, Human Resources for Health, 12 (62), pp. 1-15.


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