Una panoramica sulle “due sessioni”

Le “due sessioni” (liang hui, 两会) – ovvero le sedute annuali dell’Assemblea nazionale del popolo e della Conferenza nazionale politico-consultiva, rispettivamente il supremo organo legislativo e il supremo organo consultivo della Repubblica popolare cinese (Rpc) – si sono tenute quest’anno tra il 3 e il 13 marzo, con la partecipazione di oltre 5.000 delegati.

Seconde per importanza soltanto alle sessioni plenarie del Comitato centrale del Partito comunista cinese (Pcc), le due sessioni – in particolar modo quella dell’Assemblea – sono di norma attese con vivo interesse dagli osservatori internazionali, in quanto vi vengono definite le politiche legislative, economiche e giudiziarie che determineranno il concreto funzionamento del sistema-paese. L’esito quest’anno ha, almeno in parte, deluso: mentre ci si aspettava il varo di un robusto pacchetto di riforme economiche e giuridiche, al centro delle assise sono stati l’annuncio dell’adozione di un modello di crescita economica basato sul concetto di “nuova normalità” e la revisione della Legge sulla legislazione e di quella sulla tutela ambientale. Tuttavia, le due sessioni di quest’anno non sono state, in realtà, di minore importanza rispetto a quelle del passato.

Le due sessioni servono essenzialmente alla formazione ed espressione del consenso riguardo alle scelte di governo già predefinite in sede politica, ovvero in seno al Partito. Il 2015 è stato presentato come l’anno chiave per realizzare i piani di riforma fissati nel terzo Plenum del XVIII Comitato centrale del Pcc, oltre che per attuare il piano di riforma giudiziaria varato nell’ottobre dello scorso anno, e per portare a termine gli obiettivi di sviluppo definiti dal XII Piano di sviluppo nazionale. In effetti, le due sessioni hanno confermato le scelte politiche della leadership di Xi Jinping, specificando le misure necessarie per porle in atto. Le scelte del terzo Plenum sono di notevole importanza, anche alla luce degli slogan dei “quattro complessivi” (sige quanmian, 四个全面), lanciato dal presidente Xi Jinping nel febbraio di quest’anno, e del “sogno cinese” (Zhongguo meng, 中国梦).

Con lo slogan del “sogno cinese” si evoca l’obiettivo di trasformare la Cina in una grande potenza, restituendo al paese lo status di grandezza – culturale ma non solo – che gli è stato proprio in passato, e che, anche in virtù di tale passato, ancora oggi ritiene di meritare. I “quattro complessivi” sono una teoria strategica (zhanlüe sixiang, 战略思想) (in cinese), da applicare al sistema economico, alla società nel suo complesso, al sistema giuridico, e alle istituzioni pubbliche, siano esse il Partito o l’apparato di Stato. Stabilire una società moderatamente prospera (quanmian jiancheng xiaokang shehui, 全面建成小康社会), approfondire complessivamente il processo di riforma (quanmian shenhua gaige, 全面深化 改革), governare complessivamente la nazione secondo la legge (quanmian tuijin yifa zhiguo, 全面推进依法治国), governare complessivamente il Partito con severità (quanmian congyan zhidang, 全面从严治党) sono le quattro locuzioni-chiave che riassumono questa strategia, e che rinviano a tutta una serie di riforme economiche, sociali, giuridiche e politiche da realizzare nei prossimi cinque anni.

Sia la stampa internazionale che quella italiana hanno espresso un certo scetticismo sul “sogno cinese” e sui “quattro complessivi”, considerandoli slogan ideologici privi di significato: un’operazione di facciata per celare, con richiami a principi socialisti, un corso economico che socialista non è né vuole essere. Alternativamente, tanto il “sogno cinese” quanto i “quattro complessivi” sono stati visti come slogan per imprimere all’attuale leadership politica il marchio personale di Xi Jinping. Così, se la leadership di Deng è stata associata, tra i molti motti, al “cercare la verità nei fatti” (shishi qiushi, 实 事求是), quella di Jiang Zemin alla dottrina delle “tre rappresentatività” (sange daibiao, 三个代表) e quella di Hu Jintao al concetto di “sviluppo scientifico” (kexue fazhanguan, 科学发展观), Xi Jinping si proporrebbe di consolidare il proprio potere politico anche mediante lo slogan del “sogno cinese”.

Gli slogan e le formule dell’ideologia sono elementi del linguaggio, che è a sua volta un sistema di simboli condiviso da una comunità in grado di comprendere la lingua, parlata o scritta. La natura simbolica del linguaggio dovrebbe essere ancora più evidente nel caso del cinese, lingua che usa un sistema ideografico, ove il segno grafico non rinvia ad un suono, ma rimanda direttamente a un contenuto mentale – le idee espresse dal “sogno cinese” – o si pone in relazione con oggetti esistenti nel mondo reale.

Il “sogno cinese” e i “quattro complessivi” non sono formule vuote, ma hanno significati determinati dagli ideologi di Partito. Perdono il significato che è loro proprio se estrapolate dal contesto in cui sono state create. Un pubblico non attrezzato ha difficoltà a decodificarle. Il contesto del “sogno cinese” e dei “quattro complessivi” è quello dello Stato-Partito cinese e del suo sistema ideologico. Ad onta delle apparenze, e delle tesi spesso sostenute in ambito sinologico, il sistema ideologico cinese è vivo, soggetto a continue interpretazioni e reinterpretazioni. È proprio l’opera di continua reinterpretazione ideologica che consente di sortire effetti reali tanto sul sistema economico quanto sul sistema politico – benché i cambiamenti in atto in quest’ultimo seguano una traiettoria diversa dalla democrazia liberale.

Il “sogno cinese” ed i “quattro complessivi”, come rilevato sia dal premier Li Keqiang che da Zhang Dejiang, presidente dell’Assemblea, sono parole in codice, che operano in due sensi. Da un lato, esse letteralmente “invocano” una strategia politica tanto di lungo periodo (il “sogno cinese”) che di medio termine (i “quattro complessivi”), ben compresa da chi pronuncia lo slogan. Dall’altro, essi indicano il novero delle misure di governance compatibili con la realizzazione di tali strategie ed escludono misure di governance che operano in senso contrario.

Nel linguaggio politico cinese, l’idea di una strategia politica di medio termine, attuabile nel medio periodo e dalla portata globale è riassunta dalla parola in codice “teoria” (sixiang, 思想), a volte tradotta in italiano come “pensiero”. Il Pcc, unico soggetto detentore del potere politico, ha la capacità di definire tanto l’indirizzo di massima delle riforme quanto i loro contenuti, ma non procede direttamente alla loro attuazione. Se il Partito si facesse carico della responsabilità di attuare direttamente le riforme economiche, giuridiche, sociali e politiche sarebbe – almeno dal punto di vista del Partito – un fallimento. La definizione delle misure concrete di riforma va affidata a tecnici piuttosto che a politici di professione.

È qui che entrano in gioco l’Assemblea nazionale del popolo, il Consiglio degli affari di Stato, ovvero l’organo del potere esecutivo, gli organi del potere giudiziario e la Conferenza politico-consultiva, e soprattutto le due sessioni. Le due sessioni di quest’anno hanno mosso un primo passo verso l’adozione di un approccio di governance a tutto tondo, che coinvolge qualsiasi organo del potere dello Stato e del Partito, nonché i vari ambiti del sistema economico e giuridico (esplorati da Elisa Nesossi, Dini Sejko e Susan Finder negli articoli successivi). È un approccio applicato sia nelle aree urbane che in quelle rurali, a ogni livello della gerarchia dello Stato-Partito.

L’annuncio di un rallentamento della crescita economica – con tassi di crescita del prodotto interno lordo (Pil) programmati intorno al 7%, e un tasso di disoccupazione urbana fissato al 4,5% – implica una riforma strutturale del sistema economico. Il modello attuale, fondato su un massiccio utilizzo di fonti energetiche non rinnovabili e sull’espansione quantitativa della produzione, non è sostenibile e rischia di relegare la Cina al mal gradito ruolo di “fabbrica del mondo”, frenandone il potenziale egemonico. Una strategia di sviluppo economico guidata dall’innovazione tecnologica e dalle tecnologie dell’informazione, incentrata su ricerca e sviluppo, ma anche sul terziario avanzato, risponde meglio all’obiettivo di “costruire una società moderatamente prospera”.

Se le riforme strutturali devono avere luogo in maniera complessiva – non trascurando cioè alcun settore dell’economia, fascia della popolazione o area geografica – si comprende perché la leadership abbia deciso di lanciare un piano di stimolo della domanda interna, incentrato su un massiccio piano di edilizia residenziale pubblica e investimenti infrastrutturali, sullo sviluppo di nuove aree di crescita economica, e sul miglioramento del sistema previdenziale. Tali piani di crescita e sviluppo verranno sostenuti da una politica fiscale proattiva, che prevede un aumento del deficit di bilancio, mediante l’emissione di bond da parte dei governi locali, l’erogazione di maggiori finanziamenti diretti da parte del sistema bancario, e un aumento della massa monetaria.

“Approfondire complessivamente il processo di riforma” riassume l’idea che profonde quanto lente trasformazioni del sistema economico vadano agevolate, rimuovendo una serie di ostacoli allo sviluppo. Tali ostacoli vanno dal sistema di registrazione della residenza, che sarà ulteriormente alleggerito, a provvedimenti tesi a rilanciare le aree rurali e a favorire l’inurbamento della forza-lavoro, ma anche a rendere più dinamiche le famigerate imprese di Stato, che ancora giocano un importante ruolo nell’economia cinese. Un’altra misura indispensabile a garantire una crescita sostenuta nel tempo è la riduzione degli altissimi livelli di inquinamento ambientale – da cui l’importanza di un provvedimento a torto giudicato “minore” quale la revisione della Legge sulla tutela ambientale, e la previsione di più intensi controlli nelle aree maggiormente industrializzate. Il diritto costituisce ancora lo strumento preferito per la realizzazione di obiettivi vari, ma interdipendenti, e per la regolamentazione delle condotte tanto dei soggetti pubblici quanto di quelli privati. Uno degli obiettivi chiave è limitare gli atti arbitrari delle pubbliche amministrazioni, che hanno ricadute negative sia sul sistema economico che su quello sociale. Tali funzioni di regolamentazione si esercitano con maggiore efficacia intervenendo a monte, ai livelli supremi della gerarchia delle fonti di diritto interno, piuttosto che a valle. La Costituzione della Rpc e la Legge sulla legislazione sono le due fonti da cui promana ogni potere e indirettamente ogni atto legislativo e regolamentare. Si comprende pertanto l’estrema importanza della revisione della Legge sulla legislazione.

Un altro tassello importante di questa strategia di riforme sarà la revisione della legge di bilancio, che rientra nel tentativo di portare sotto controllo le entrate e le uscite di bilancio soprattutto dei governi locali, ma anche di conferire loro maggiori poteri in materia di bilancio. Alcune delle riforme legislative sono analizzate da Elisa Nesossi e da Susan Finder nelle pagine che seguono. Si tratta di provvedimenti paralleli alla riforma della pubblica amministrazione di cui la campagna anticorruzione che ha segnato l’inizio della leadership di Xi Jinping è la parte più visibile. Una maggiore capacità e credibilità della pubblica amministrazione attraverso modernizzazione, informatizzazione e snellimento delle procedure, è decisiva per realizzare tutti gli altri pacchetti di riforma cui fanno riferimento i “quattro complessivi”, e che sono esplorati in maggiore dettaglio di seguito.

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