Un Premio Nobel in nome dell’umanesimo

Lo scorso 8 ottobre il comitato norvegese per l’assegnazione del Premio Nobel per la pace ha reso pubblico il nome del vincitore: Liu Xiaobo, critico letterario e politico, attualmente in carcere a Pechino per “incitamento alla sovversione”.

Nonostante la selezione avvenga a cura di un comitato indipendente di saggi e non sia quindi espressione di alcuna istituzione governativa, l‟attribuzione dell’onorificenza a Liu è stato uno sonoro schiaffo all‟immagine internazionale della Cina che le autorità di Pechino si sono sforzati accuratamente di costruire negli ultimi vent’anni. Era dai tempi dell’isolamento diplomatico successivo al massacro di Tienanmen e del contestuale Nobel a Tenzin Gyatso, il Dalai Lama, nel 1989, che la Cina non finiva sotto i riflettori come paese autoritario e repressivo. Il Premio Nobel per la letteratura vinto da Gao Xingjian nel 2000 – il solo altro ad essere stato attribuito a un cinese – aveva avuto un significato politico molto più sfumato.

Sebbene Liu Xiaobo sia stato insignito del premio “per la sua lunga militanza non-violenta a favore dei diritti umani in Cina”, egli diviene una figura pubblica fin dalla seconda metà degli anni ’80 per meriti principalmente letterari. I suoi saggi si collocano nel solco del Movimento del 4 Maggio, la scintilla socio-politica e intellettuale che nel 1919 infiammò le piazze di Pechino con radicali idee di rinnovamento dell’organizzazione sociale – ancor prima che politica – dopo la fine dell’Impero nel 1912. Sostenitore appassionato della “soggettualità” dell’individuo, Liu appartiene a un filone di pensiero che è in polemica tanto con il passato modello di stabilità sociale in chiave gerarchica propugnato dalla dottrina neoconfuciana degli ultimi secoli dell’Impero, quanto con l’attuale pretesa del Partito comunista cinese di comprimere gli spazi di libertà degli individui per consentire lo sviluppo della società nel suo complesso.

Gli eventi della contestazione studentesca del 1989 portano Liu a confrontarsi per la prima volta sul campo con le autorità: nelle ore drammatiche della repressione militare il 4 giugno egli riesce a negoziare con i soldati la pacifica fuoriuscita degli studenti dalla Piazza Tienanmen, evitando che il massacro coinvolga un numero assai maggiore di giovani. In seguito, la sua vita pubblica in Cina si complica notevolmente: incarcerato ripetutamente e costretto a periodi di “rieducazione attraverso il lavoro”, i suoi testi vengono censurati nella Repubblica popolare, con l’obiettivo di attenuarne il più possibile l’impatto nel dibattito culturale. Gli è però consentito pubblicare all‟estero e nel corso del ventennio successivo Liu si dimostra capace di esercitare un’influenza non indifferente sugli ambienti intellettuali cinesi anche attraverso questo canale indiretto.

Il caso ultimo e più evidente risale al 2008, quando Liu è tra gli attivisti che promuovono un documento noto come “Carta 08”, contenente un’argomentata richiesta per riforme strutturali nella vita politica in Cina. Il testo dell’appello, diffuso per mezzo di internet, ha una vasta risonanza nella Repubblica popolare e all’estero, e spinge le autorità cinesi a un intervento drastico: l’anno scorso, nel giorno di Natale, Liu Xiaobo è stato condannato a 11 anni di reclusione per incitamento alla sovversione dei poteri dello Stato, avendo richiesto la fine del monopolio del potere da parte del Partito comunista cinese e la graduale trasformazione della Cina in una federazione democratica.

Carta 08 s’ispira solo in parte a “Carta 77”, redatta da un gruppo di intellettuali cecoslovacchi nel 1977 per chiedere riforme al regime filo-sovietico di Praga. Analogamente a quest’ultima, il documento cinese si apre con un riferimento alle tappe storiche nell’avanzamento della tutela dei diritti dei cittadini, citando i 100 anni dalla stesura della prima Costituzione cinese, i 60 anni della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, i 30 anni dall’apparizione del Muro della democrazia a Pechino e i 10 anni dalla firma, da parte di Pechino, del “Patto internazionale dei diritti civili e politici” dell’Onu. Tuttavia, mentre le richieste del movimento cecoslovacco non attaccavano frontalmente la cornice costituzionale della Repubblica socialista cecoslovacca, limitandosi ad auspicare l’applicazione sostanziale delle norme previste dall’ordinamento, nel caso di Carta 08 l’opposizione all’assetto costituzionale e politico della Repubblica popolare è netta.

Quella promossa da Liu e dagli altri firmatari della Carta è una lettura giusnaturalistica dei diritti umani: essi non sono concessi dall’autorità politica, ma sono consustanziali a ogni essere umano, così come previsto dal summenzionato Patto internazionale dell’Onu. La Costituzione della Rpc viene descritta come in contraddizione con questo principio, dal momento che, al di là della retorica “tutela dei diritti umani” (emendamento all’art. 33 risalente al 2004), essa circoscrive i diritti previsti per ogni cittadino entro una cornice assai stretta di doveri che questi è tenuto a svolgere a norma della Costituzione e delle leggi dello Stato.

Al centro di Carta 08 c’è la richiesta di una revisione complessiva della Costituzione in nome dell’universalità dei diritti umani: un principio oggi oggetto di un dibattito quanto mai vivace in Cina, anche in ambito pubblico (sebbene senza riferimenti diretti a Liu Xiaobo). Accusati di “umanesimo universalista o astratto” – come già negli anni ’80 – i propugnatori dell’idea che esista un irriducibile spazio di libertà per ogni essere umano sono oggi strumentalmente collocati nella schiera dei “neoliberali”, e così screditati in quanto conniventi con le pratiche economiche fallimentari dell’Occidente.

La linea ufficiale a Pechino è che l’attribuzione del Nobel a Liu Xiaobo sia offensiva per il popolo cinese, che ha fatto grandi progressi nel campo dei diritti umani, a partire da quelli definiti davvero fondamentali, legati al sostentamento e al benessere economico delle famiglie. Sulla fiducia che la dirigenza cinese ripone in questa linea argomentativa, tuttavia, è lecito dubitare alla luce della severa censura imposta alla notizia del conferimento del premio a Liu Xiaobo. BBC, CNN e altri canali sono stati occasionalmente oscurati e la carta stampata ha taciuto, rafforzando l’impressione che a Pechino si tema che la figura e le idee di Liu possano suscitare curiosità e interesse in milioni di cinesi, superando il limitato cerchio di giovani, intellettuali e attivisti finora a conoscenza di Carta 08 e dei relativi dibattiti.

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