[ThinkINChina] La dottrina Deng e la politica estera cinese

ThinkINChina è un’“open academic-café community” attiva a Pechino, luogo di dibattito tra giovani ricercatori e professionisti di varia provenienza impegnati nello studio della Cina contemporanea.

 

Ad aprile ThinkINChina ha ospitato il Professor Zhang Qingmin, esperto di politica estera e diplomazia cinese e docente della School of International Studies della Peking University.

Il Professor Zhang ha discusso con il pubblico di ThinkINChina della strategia di politica estera cinese introdotta da Deng Xiaoping all’inizio degli anni ’90 e generalmente interpretata in Occidente come la dottrina del “mantenere un profilo basso e attendere il momento giusto per ottenere dei risultati”(taoguang yanghui).

Sebbene le traduzioni più o meno letterali di taoguang yanghui possano essere molteplici, il cuore della strategia denghista viene articolato nei cosiddetti “4 no e 2 oltre” (sibu, lianggechaotuo) così sintetizzabili: “non sostenere di essere il paese modello del socialismo, non assumere la leadership formale dei paesi in via di sviluppo, non entrare in conflitto diretto con le potenze occidentali, non crearsi nemici tra i paesi ex-socialisti; andare oltre le considerazioni ideologiche e evitare tutte quelle questioni che non riguardano direttamente l’interesse nazionale del paese”.

La prudenza suggerita da questa strategia, di segno opposto rispetto allo spirito rivoluzionario e antagonista del maoismo, era funzionale alla cooperazione con l’Occidente, ritenuta da Deng essenziale per il successo delle riforme economiche. Essa era anche il portato dei nuovi equilibri internazionali dopo la caduta dell’Unione Sovietica. I comunisti cinesi seppero imparare dagli errori di Mosca e riuscirono con successo non solo a evitare un analogo destino, ma anche a sfruttare le possibilità offerte dalla globalizzazione per sviluppare l’economia e la legittimazione del Pcc all’interno del paese.

Le teorie che in Occidente davano per imminente il “crollo” del regime di Pechino all’alba degli anni ’90 furono progressivamente sostituite da quelle sulla “minaccia cinese” evocata dai successi economici di Pechino. La formula taoguang yanghui peraltro, con i suoi richiami all’antico racconto dei Tre Regni (sanguoshidai) e l’allusione a una possibile rivalsa futura della Cina, era volutamente ambigua: serviva all’ala moderata del Partito per placare i maoisti più combattivi e nazionalisti.

L’emergere del dibattito sulla “minaccia” cinese spinse Zheng Bijian, vicedirettore della Scuola Centrale del Partito, a presentare alla fine del 2002 il nuovo concetto di “ascesa pacifica” (heping jueqi) – derubricato nel 2004 nell’ancora più rassicurante – almeno nelle intenzioni – “sviluppo pacifico” (heping fazhan). Secondo questa dottrina, fatta propria dalla leadership del paese, l’ascesa di una nuova grande potenza non implica ipso facto un conflitto con la potenza egemone, come sostenuto da eminenti pensatori occidentali. Al contrario, secondo Zheng, lo sviluppo cinese non solo trae forza dalla pace internazionale, ma contribuisce ad alimentarla. La dottrina dello “sviluppo pacifico” si aggiunge dunque alla strategia denghista della taoguang yanghui e ne corregge gli aspetti più ambigui, presentando lo sviluppo cinese come strutturalmente compatibile con la realtà del sistema internazionale.

La crisi finanziaria del 2008-9 ha profondamente cambiato questa realtà. Ridimensionando la supremazia economica americana, essa ha posto la Cina in una situazione particolarmente favorevole dal punto di vista comparativo. In meno di due anni Pechino ha superato la Germania come primo esportatore mondiale e nel 2010 il suo Pil ha sorpassato quello del Giappone facendola assurgere – sulla base di questi parametri – al rango di seconda economia più grande del pianeta.

L’entusiasmo per i successi conseguiti ha acceso un dibattito in Cina tra quanti propongono di continuare a seguire la linea prudente della taoguang yanghui e quanti invece spingono per una politica estera più decisa ed assertiva. Le posizioni ufficiali del governo cinese e alcuni tra i pensatori più eminenti del paese continuano a ritenere la Cina un paese in via di sviluppo e pensano che sia opportuno continuare a praticare la strategia denghista, cercando al contempo sempre più attivamente di conseguire dei risultati (jianchi taoguang yanghui, jiji yousuozuowei). Cresce d’influenza la voce di coloro che incitano il governo ad assumere un ruolo più deciso in politica, consono al ritrovato status di grande potenza. Come ha di recente sostenuto in un articolo sul New York Times Yan Xuetong, docente della Tsinghua University, questo gruppo, al quale egli dichiara peraltro di appartenere, trae ispirazione dall’antica filosofia cinese che considera la possibilità materiale e la moralità come condizioni necessarie per la creazione di una leadership globale forte e duratura. Secondo Yan, la Cina, per far sì che la sua ascesa venga accettata dal resto del mondo e migliorare la sua reputazione, deve assumersi più responsabilità a livello internazionale. Secondo Zhang Qingmin, sebbene diversi segnali suggeriscano un superamento della dottrina taoguang yanghui da parte del governo – si pensi alla dura posizione assunta da Pechino nel caso della crisi con il Giappone nel settembre scorso – la discontinuità è più nei toni che nella sostanza.

La posizione del professor Zhang non è frutto di mera prudenza retorica. Non sono infatti pochi i vantaggi che Pechino trae dagli attuali assetti globali e regionali. Come ha di recente sottolineato su Asia Times Francesco Sisci, la globalizzazione promossa da Washington ha consentito alla Cina di prosperare, mentre la presenza americana in Asia, ostacolando una pericolosa corsa alle armi (che peraltro è in atto, sottotraccia), le ha permesso di concentrare le proprie risorse nella promozione della crescita economica. La dottrina della taoguang yanghui è stata concepita per questo contesto. Finché quest’ultimo non evolverà in modo sostanziale, difficilmente verrà abbandonata.

Published in:

  • Events & Training Programs

Copyright © 2024. Torino World Affairs Institute All rights reserved

  • Privacy Policy
  • Cookie Policy