[ThinkINChina] La Cina può imparare dal passato?

ThinkINChina è un’“open academic-café community” attiva a Pechino, luogo di dibattito tra giovani ricercatori e professionisti di varia provenienza impegnati nello studio della Cina contemporanea.

 

Il ruolo attribuito da Cicerone alla Storia come maestra di vita sembra essere molto popolare anche in Cina. I richiami al passato dinastico hanno sempre avuto rilievo nella coscienza del popolo cinese, ma, come ha fatto notare l’eminente politologo Francis Fukuyama in un recente intervento sul Financial Times, oggi nel dibattito politico in Cina sembra essere accentuata la tendenza a rintracciare nella storia antica del paese insegnamenti utili per il presente. L’osservazione di Fukuyama potrebbe essere poco interessante se non riguardasse uno dei centri focali del sistema internazionale, una realtà nella quale il dibattito politico “ferisce” i suoi protagonisti, spezza amicizie e divide nell’intimo la società.

L’esito di questo dibattito avrà influenze determinanti sul modo in cui la Cina interagirà con il resto del mondo, ed è per questo che europei e americani dovrebbero interessarsene. “Se i nazionalisti trionferanno a Pechino”, ha scritto il Direttore del Centro per la riforma europea Charles Grant, “il nuovo ordine mondiale potrebbe non essere né liberale né multilaterale.”

Sulla base di queste premesse, ThinkIn China, questo mese, ha presentato Ancient Chinese Thought, Modern Chinese Power, la pubblicazione, curata dalla Princeton University Press, delle ricerche del Professor Yan Xuetong (阎学通), Direttore dell’Istituto di Studi Internazionali della Tsinghua University e figura di primo piano dell’intellighenzia cinese (nel 2008 Foreign Policy lo ha inserito tra i cento intellettuali più influenti al mondo).

Yan propone un’accurata sistematizzazione del pensiero politico pre-Qin – ossia antecedente all’unificazione della Cina da parte della dinastia Qin nel 221 a.C. – per rintracciare, in una fase di competizione tra stati in un sistema internazionale frammentato simile a quello contemporaneo, insegnamenti utili per il presente. Due sono i punti chiave che emergono dai sui studi: l’importanza della leadership “morale” per la costruzione del potere di una nazione e la visione gerarchica del sistema internazionale.

Secondo i pensatori pre-Qin il potere economico e militare, seppur importante, è secondario per una leadership politica che fonda la sua legittimazione e il suo potere sull’autorità morale. Yan la definisce con il termine di human authority (仁, rén) e la pone al centro del concetto di “dominio”. Secondo Yan, ispirato in particolare dagli scritti di Xunzi, il sistema internazionale è destinato a superare l’attuale principio di eguaglianza tra stati e a configurarsi in senso gerarchico. In tale struttura gerarchica alcuni paesi dominanti, per poter godere di maggiori diritti rispetto ad altri paesi più deboli e meno influenti, devono assumersi maggiori responsabilità per il mantenimento dell’ordine. Il dominio di questi paesi, tuttavia, non potrà essere raggiunto solo attraverso il potere materiale fondato sulla ricchezza economica o la forza militare bensì tramite una leadership politica moralmente ispirata. In questo risiede la differenza sostanziale tra un potere egemonico e un potere dominante ispirato dalla human authority. Nel primo caso è necessario possedere un forte hard power per potersi garantire la fiducia e il rispetto dei propri sudditi e alleati mentre nel secondo esse derivano dalla suprema autorità morale della leadership.

A differenza delle principali scuole di relazioni internazionali occidentali, quali liberalismo e realismo, i pensatori pre-Qin ritenevano, dunque, che i principali cambiamenti nei rapporti di potere a livello internazionale fossero determinati più dalle idee che dal benessere materiale o dal potere militare. Per garantirsi un’egemonia solida sul sistema internazionale, secondo tali pensatori, un paese deve puntare le sue energie sulla selezione della propria leadership, poiché da ciò dipende la qualità morale del paese stesso e, di conseguenza, la sua capacità di proporsi e imporsi come potenza dominante.

Quali sono le implicazioni di un tale sistema di pensiero per la Cina contemporanea? Secondo Yan, la Cina non deve solo puntare a ridurre le differenze che la separano in termini di potere materiale dagli Stati Uniti, ma deve proporre un modello sociale migliore e più attraente di quello americano attraverso un rafforzamento della selezione meritocratica della sua leadership e processi politici più democratici.

Con i suoi studi sui pensatori pre-Qin, Yan ha provato a influenzare il dibattito teorico sulle relazioni internazionali finora monopolizzato dall’Occidente. Lo sforzo teorico è senza dubbio ammirevole sebbene sia ancora difficile farne un bilancio. Non c’e’ dubbio tuttavia che la parte più coraggiosa della sua riflessione, ossia l’ardito passaggio dall’analisi teorica del pensiero politico della Cina antica alla sua applicazione pratica per la Cina contemporanea, lo abbia esposto a notevoli rischi metodologici, fra cui quello di trascurare le peculiarità dei vari periodi storici, come non hanno mancato di notare vari studiosi di cultura tradizionale cinese come Yang Qianru, della Renimn University.

Al di là delle opinioni tecniche sul libro di Yan, la sua ricerca è una manifestazione eloquente della crescente attenzione degli intellettuali cinesi per il pensiero degli antichi filosofi. Resta da capire se questo fenomeno sia un’altra breve tappa nella ricerca di un collante ideologico per il paese o il prodromo di un reale “Rinascimento” cinese che, come accadde in Italia nel Trecento, sappia ritrovare nei classici una potente fonte di ispirazione.

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