Spiegare la “Thailandia 4.0” al mondo (e all’Italia)

Qualche mese fa, in uno dei miei viaggi di lavoro di rientro dal Sud-est Asiatico verso l’Europa, sono rimasto colpito dall’enorme cartellone che accoglie i passeggeri in transito per l’hub aeroportuale di Francoforte. Il cartellone è posizionato strategicamente subito di fronte al controllo di sicurezza dei bagagli dove usualmente, nonostante l’efficienza teutonica, si forma una lunga serpentina di viaggiatori. Stanco per il viaggio alle spalle, mi sono incamminato verso l’ennesimo, fastidioso controllo delle valigie, quando lo sguardo mi cade sulla parola Thailand, che campeggia in bianco sullo sfondo scuro di un gigantesco cartellone.

Una delegazione di studenti MBA dell’Università Shinawatra, accompagnati dai loro docenti, tra cui l’autore, visita lo stabilimento thailandese della multinazionale Valeo, che sta promuovendo molte soluzioni incluse nell’Industria 4.0, come ad esempio la guida autonoma o la condivisione di Big data (Immagine: Pietro Borsano).

Se il primo pensiero è di smarrimento – “ma non sono appena sbarcato a Francoforte? Perchè ancora vedo menzionato il Regno di Thailandia?”, proseguo nella lettura del medesimo. Con una elegante veste grafica, in cui si richiamano stabilimenti produttivi e tecnologiche linee di produzione, il cartellone in questione proclama “Imagine Thailand. A strategic location in the heart of Asia”; “Imagine Thailand. Industry 4.0 that fosters intelligent innovation across the value chain”; e, infine, “Think Asia. Invest in EEC, Thailand”. [1] Se agli altri passeggeri in transito il significato può risultare oscuro (considerata la notorietà del Regno soprattutto come meta turistica), io mi ritrovo perfettamente nelle parole d’ordine e nel masterplan che, a partire dal 2015, il governo militare thailandese ha iniziato a promuovere in tutta la nazione. Difatti, dopo aver preso potere con un colpo di stato a fine del 2014, la giunta militare, che annovera tra le sue fila molti ministri “tecnici”, si è prefissata di trasformare la Thailandia in una nazione avanzata entro il 2037.

Il punto è capire quanto il cosiddetto Pease dei Sorrisi (“Land of Smiles”, il celebre slogan che ha reso la Thailandia il decimo Paese al mondo per numero di visite e il primo in Asia possa con successo cambiare il proprio brand in “Thailand 4.0”. Il riferimento è alla Quarta Rivoluzione Industriale, che dovrebbe promuovere lo sviluppo del Paese sulla falsariga di quanto avvenuto in Germania, in Cina e (anche) in Italia. In questi ultimi anni, il governo thailandese ha enfatizzato l’importanza di alcuni settori strategici per lo sviluppo del Paese – dall’industria aerospaziale alla robotica, dall’automotive all’energia solare e agli equipaggiamenti medici. Agli osservatori di lunga data della realtà thailandese, il piano di riforme 4.0 appare ambizioso e stravagante, data la refrattarietà della classe imprenditoriale thailandese a promuovere e adottare soluzioni tecnologiche e innovative. Per di più, la giunta militare non ha sempre indicato chiare direttive in merito alle proprie politiche: basti pensare che le elezioni, in origine previste per il 2015, sono slittate di anno in anno e paiono ora essere confermate per febbraio 2019.

Ciononostante, proprio per l’assenza di scadenze elettorali che, giocoforza, costringono i politici a promettere mirabolanti manovre economiche per puro tornaconto elettorale, l’esecutivo militare (che, si ripete, è in gran parte composto da tecnici) si prefigge di migliorare l’economia del Regno nel lungo periodo. Occorre ricordare che la Thailandia è, ancora, un Paese middle-income, che registra un PIL pro capite pari a 6.500 dollari (contro circa cinque volte tanto dell’Italia, per offrire un riferimento) e che la manifattura si basa ancora su un costo della manodopera non troppo elevato[3]. Al contempo, il Regno si trova a essere crocevia di una regione – quella asiatica – che conta circa 3 miliardi e mezzo di abitanti e oltre 32% del PIL globale. Inoltre, a livello di ASEAN, la Thailandia rappresenta la seconda maggiore economia (subito dopo l’Indonesia), seppur la sua posizione competitiva stia subendo un graduale deterioramento ad opera di alcune nazioni confinanti particolarmente agguerrite. L’Asian Development Bank (ADB) prevede, difatti, che il Vietnam, la Cambogia, il Myanmar, le Filippine ed il Laos cresceranno a un tasso compreso tra il 6.8% ed il 7.1%, mentre la Thailandia dovrebbe attestarsi soltanto su un tasso pari al 4%.

La Thailandia, inoltre, sta affrontando una competizione sempre più serrata per quanto riguarda gli investimenti diretti esteri. L’ammontare di investimenti diretti esteri verso il Sud-est asiatico è sceso da una quota del 14% nel 2013, a meno del 6% nel corso del 2017, secondo i dati della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (United Nations Conference on Trade and Development, UNCTAD). Le ambizioni della nuova rivoluzione industriale thailandese raggiungono l’imponente cifra di ben 51 miliardi di dollari di investimenti nel solo Eastern Economic Corridor (il già citato EEC), riguardanti soprattutto nuove infrastrutture a sostegno delle imprese che investono nella regione. Tuttavia, nell’ultimo anno si sono avvertiti i primi segnali di un cambio di paradigma.  Ad esempio, nel mese di giugno 2018 la Thai Airways International ha finalizzato una joint venture con la Airbus per rilanciare l’aeroporto militare di U Tapao, una vecchia base aerea dei tempi della guerra del Vietnam. L’aeroporto di U Tapao è destinato a diventare, in breve tempo, un hub regionale per la manutenzione aeronautica, secondo solo a Singapore.

Ancora prima, a fine del 2017, un’alleanza di imprese cinesi e thailandesi ha lanciato un progetto faraonico (del valore di 2,5 miliardi di dollari) tra Bangkok e l’Eastern Economic Corridor (EEC), Trust City, che è destinato a diventare uno dei maggiori centri di scambio globali e un innovativo hub per start-up e venture capitalist in ambito FinTech. Nel mese di maggio 2018, il Regno ha riportato un’inattesa crescita pari al 4.8% nel primo trimestre dell’anno – per inciso, la miglior performance di crescita economica negli ultimi cinque anni. Il mese successivo, il primo ministro in carica, Generale Prayut Chan-o-Cha, un tempo tenuto a distanza dai principali leader europei, in quanto non legittimato da un’elezione democratica, è stato accolto in Gran Bretagna e in Francia con gli onori che si tributano al capo di un esecutivo alleato. Va, tra l’altro, rimarcato che la visita del Generale Chan-o-cha è stata accompagnata da allettanti opportunità commerciali per le imprese anglo-francesi, che da lungo tempo – a differenza delle società italiane – credono e investono nella nazione asiatica.

In tempi di guerra commerciale e sconvolgimento della supply chain globale, va ricordato il ruolo essenziale svolto dalla Thailandia. È notizia degli ultimi mesi che il decimilionesimo esemplare di auto Toyota è uscito dalle linee di produzione Toyota localizzate in Thailandia. Basti pensare che, proprio durante la celebre crisi finanziaria delle cosiddette Tigri asiatiche del 1997 (tra cui anche la Thailandia), la Toyota ha iniziato a produrre il primo veicolo totalmente sviluppato e costruito in Thailandia, la Toyota Soluna: una svolta epocale, che ha segnato il passaggio della Thailandia da luogo di mero assemblaggio (“completely knocked down vehicles”, CKD) a luogo di produzione automobilistica, con una rete di fornitori e lavorazioni per conto terzi equiparabile a quella dei Paesi industriali più avanzati. Difatti, con circa un milione di veicoli prodotti ogni anno, un indotto esperto e competitivo, la presenza di tutte le maggiori case automobilistiche (tra cui case giapponesi, tedesche e americane), la Thailandia è attualmente il dodicesimo maggiore produttore di autovetture al mondo.

Al contempo, il Regno ha anche sviluppato il comparto dei veicoli industriali e commerciali (ad esempio, l’italo-americana CNH Industrial ha un ufficio a Bangkok) e quello motociclistico, che annovera grandi produttori di apparecchiature originali (Original Equipment Manufacturer, OEM) e una fitta rete di fornitori e subfornitori. Va segnalata, ad esempio, la presenza di uno stabilimento produttivo del costruttore italo-tedesco Ducati, che ha adottato un modello virtuoso di coinvolgimento e localizzazione di fornitori italiani, come la Bianchi Coating Thailand, specializzata in verniciature industriali. Sempre in ambito automotive, il piano strategico “Thailand 4.0” enfatizza il ruolo dell’elettrificazione delle gamme di prodotto, con numerosi incentivi – anche di natura fiscale – per attirare investimenti esteri. A tal proposito, nel corso del 2018, cinque maggiori costruttori automobilistici hanno investito in totale 900 milioni di dollari nello sviluppo di auto elettriche nel Regno. Tuttavia, non solo di automotive vive la “Thailandia” 4.0. Tra i settori che l’hanno vista protagonista della supply chain globale, ricordo anche quello del cibo, grazie al conglomerato di origine sino-thailandese Charoen Pokphand Group (CP Group), il quale possiede, tra l’altro, uno stabilimento del tutto robotizzato.

Per sviluppare l’EEC, il governo thailandese ha considerato l’opzione di partenariato pubblico-privato (public-private partnership, PPP) al fine di trovare adeguati finanziamenti per coprire il considerevole investimento richiesto. Il primo progetto PPP riguarderà lo sviluppo di un collegamento ferroviario ad alta velocità, da Bangkok sino alla provincia di Rayong, e che in particolare connetterà i due aeroporti internazionali di Bangkok (Suvarnabhumi e Don Mueang) con il nuovo scalo aeroportuale di U Tapao. Il progetto richiede un investimento di circa 7 miliardi di dollari (6,76 per l’esattezza), per una lunghezza complessiva pari a circa 220 chilometri e un tempo di percorrenza media, una volta in funzione, inferiore a un’ora. Nel mese di giugno 2018, trentuno società thailandesi ed estere hanno espresso il proprio interesse per aggiudicarsi il contratto di appalto per la costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità. Quattordici società thailandesi hanno manifestato il proprio interesse (tra cui il già citato CP Group) unitamente a sette società cinesi, quattro giapponesi, due francesi, due malaysiane, una italiana (la Salini Impregilo S.p.A.), e un consorzio sudcoreano. La scadenza entro cui sottoporre le manifestazioni di interesse è stata fissata al 12 novembre 2018, mentre il vincitore verrà reso noto nel mese di dicembre 2018. Secondo le Ferrovie di Stato della Thailandia (State Railway of Thailand), i lavori inizieranno nel primo trimestre del 2019. Nel mese di novembre 2018, sono infine stati presentati due progetti rivali, un consorzio guidato dal thailandese CP Group (tra cui va segnalata la presenza di Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A.), e un altro sotto la direzione del BTS Group Holdings PLC, uno dei maggiori operatori di sistemi di trasporto di massa del Regno (incluso il celebre skytrain di Bangkok).

Si può quindi ritenere che molteplici azioni siano state di recente intraprese per aumentare la competitività del sistema Thailandia. Per quanto non sia detto che l’obiettivo di diventare una nazione avanzata entro il 2037 possa essere del tutto raggiunto, i progressi fatti negli ultimi anni sono ragguardevoli e promettenti per un innalzamento della qualità dell’output creato nel Paese. Senz’altro, sarà difficile per la Thailandia competere con le nazioni vicine (come il Vietnam) in termini di costi, soprattutto nell’odierna congiuntura economica; al contempo, la Thailandia dovrà affrontare la sfida di un precoce invecchiamento della popolazione e di un tasso di fertilità alquanto basso. Tuttavia, se si guarda al lungo periodo e alla portata della rivoluzione tecnologica ora in corso, il Regno di Thailandia ha intrapreso le mosse necessarie per affrontare la sfida di un mondo in continua evoluzione. Sta ora agli investitori esteri e alle imprese locali essere all’altezza di questa sfida.

 

 

[1] EEC è l’abbreviazione di Eastern Economic Corridor, un piano di sviluppo economico contenuto nella strategia Thailand 4.0 per la crescita della regione orientale della Thailandia (si veda il sito di riferimento, online: https://www.eeco.or.th/en).

[2] Tutti i dati statistici relativi agli arrivi in Thailandia sono consultabili sul sito del Ministero del Turismo e dello Sport (online: https://www.mots.go.th/more_news.php?cid=414).

[3] Il costo mensile di un operaio manifatturiero è di circa 400 dollari, che pero’ vanno confrontati con un costo di 250 dollari in Vietnam e di circa 100 dollari in Myanmar (fonti: PwC Myanmar Business Guide 2017 e Advising Asia – Business & Legal Consulting database).

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