Pianificazione urbanistica collaborativa: una sfida per la Cina e per l’Europa?

Le pratiche della pianificazione urbanistica, generalmente intese come “azioni di un gruppo sociale volte all’organizzazione dello spazio urbano, o addirittura alla sua trasformazione, con l’obiettivo di generare effetti positivi sulla società” [1], vantano una lunga tradizione in Cina. Le antiche città-fortezza cinesi furono progettate nel rispetto di alcune regole della composizione urbana che si rifacevano alla geomanzia e al fengshui. La contemporaneità fu invece caratterizzata dall’avvento in Cina dei canoni dell’urbanistica occidentale: una dinamica che consacrò “l’Occidente” quale fonte d’ispirazione degli urbanisti cinesi. Negli anni ’20 e ’30 del Novecento, ad esempio, i nazionalisti del Kuomintang adottarono politiche di modernizzazione “d’ispirazione urbana”, rifacendosi proprio a quei canoni di “pianificazione razionale” che avevano permesso lo sviluppo delle città europee, così come di quelle americane. Questa tendenza subì una brusca interruzione dal 1949 in poi, quando le politiche cinesi di pianificazione urbana subirono l’influenza delle teorie socialiste di stampo sovietico, ispirandosi dunque a concetti quali il centralismo, l’urbanesimo monumentale, e l’utilità dei ‘comitati di pianificazione’. A seguito del fallimento del Grande balzo in avanti, la materia stessa della ‘pianificazione’ fu ritenuta responsabile dell’aver motivato gli urbanisti dell’epoca a creare piani irrealizzabili, prontamente scartati con l’arrivo del decennio della Rivoluzione culturale (1966-1976). Fu necessario attendere il 1978 e l’apertura della Cina al resto del mondo per assistere al ritorno (seppur graduale) delle pratiche di pianificazione in Cina.

Le autorità urbane cinesi si rivolgono ai loro cittadini per l’implementazione di piani realizzabili. Nel nuovo distretto di Dalang (Guangzhou), lo Youth Dream Center incoraggia Ong locali, istituzioni di beneficienza, aziende e università a rendere pubblici idee e progetti di pianificazione urbanistica che possano apportare beneficio alla comunità locale.

I processi di urbanizzazione attualmente in corso – con le loro implicazioni economiche, sociali e ambientali – sono una manifestazione spaziale delle trasformazioni della Cina contemporanea. Esiste pertanto una forte relazione tra l’urbanizzazione e la pianificazione dello spazio, poiché l’urbanizzazione è saldamente ancorata alle politiche di pianificazione che tentano di disciplinarne lo sviluppo e, come in un circolo virtuoso, le politiche stesse di urbanizzazione favoriscono l’urbanizzazione[2].

Sotto l’influenza delle strategie di sviluppo occidentali, l’intero sistema di pianificazione in Cina si è adattato al mondo dell’imprenditoria, avendo come obiettivo quello di promuovere la crescita secondo i canoni delle prescrizioni neoliberali. Inoltre, con l’elaborazione del concetto di “urbanizzazione armoniosa” (hexie chengzhenhua, 和谐城镇化)[3], la Cina ha dimostrato come i suoi più recenti indirizzi nel settore della pianificazione urbanistica traggano ispirazione dal concetto di sviluppo sostenibile ormai diffuso in tutto il mondo. Anche la “pianificazione collaborativa” (paradigma dominante tra le teorie “occidentali” di pianificazione, che vede al centro dei processi di pianificazione urbanistica il singolo cittadino) trova spazio nel dibattito in Cina. Tuttavia, così come accade nel mondo occidentale, si riscontra un netto divario tra teoria e pratica. Cina ed Europa hanno ancora parecchia strada da fare per riuscire a rendere maggiormente efficaci le rispettive pratiche di “pianificazione collaborativa” e di coinvolgimento del singolo cittadino nei processi di pianificazione urbanistica.[4]

In Cina le pratiche di pianificazione avvengono nel rispetto di un sistema fortemente gerarchico, ai livelli più alti del quale si registra una concentrazione di potere molto forte. Questa configurazione è riconducibile all’ideologia confuciana e alla centralità che il Partito comunista cinese (Pcc) riveste ancora oggi all’interno della società cinese. Nonostante l’apertura della Cina e la graduale diffusione nel paese delle pratiche di pianificazione, la riflessione sullo sviluppo urbano è spesso responsabilità di una ristretta cerchia di attori pubblici e privati: vertici del Partito comunista, funzionari municipali, imprenditori, investitori che si ritrovano in “coalizioni socialiste pro-crescita” e che discutono di progetti urbani aventi come obiettivo la crescita economica e il giusto riconoscimento del valore dei terreni[5].

Di recente, tuttavia, per garantire che i progetti di pianificazione urbanistica possano godere di sostegno sociale, le autorità si orientano a rispondere alle istanze dei cittadini, i quali chiedono di essere inclusi nei processi decisionali che riguardano le pratiche di pianificazione. Questo è ad esempio il caso dei Nimby (acronimo inglese per “not in my backyard”, lett.: “Non nel mio cortile”) e delle loro rimostranze contro la realizzazione d’imponenti progetti infrastrutturali. La partecipazione della società civile ai processi di pianificazione urbanistica ha dunque attirato l’attenzione delle autorità cinesi, specialmente a livello locale.

Ad oggi, tramite diverse piattaforme online, i cittadini sono incoraggiati a fornire suggerimenti sulla pianificazione alle autorità locali. Anche le gallerie espositive dedicate alla pianificazione urbanistica sono spesso disponibili a ricevere commenti e consigli da parte dei visitatori. In questo contesto, uno degli esempi di maggior successo è rappresentato dalla città di Chengdu, capitale della provincia del Sichuan, il cui governo locale ha lanciato l’idea di un “bilancio partecipativo” per la realizzazione di progetti di pianificazione urbanistica. Tramite questo meccanismo, si stima che l’amministrazione di Chengdu sia riuscita a sostenere finanziariamente 40.000 progetti tra il 2009 e il 2012.

La richiesta di partecipazione da parte dei singoli cittadini, tuttavia, spesso si limita alla richiesta di informazioni di base (poco rilevanti ai fini della pianificazione urbanistica, ndt), secondo modalità che non permettono ai cittadini di incidere sui processi decisionali. La partecipazione della società civile in questi processi, infatti, è pur sempre parte di meccanismi istituzionali controllati da attori specifici: viene focalizzata su questioni limitate e condotta da una data organizzazione secondo precisi dispositivi tecnici e amministrativi. Questo è vero nella Repubblica popolare cinese, così come lo è a Hong Kong, Macao, o in Europa. La partecipazione dei cittadini ai processi di pianificazione urbanistica è ancora considerata materia di carattere prevalentemente tecnico, nonostante anche le decisioni cosiddette “tecniche” abbiano, nell’ambito della pianificazione urbanistica, un carattere intrinsecamente politico. Nei fatti l’organizzazione e gli strumenti atti a favorire la partecipazione pubblica finiscono spesso per orientarla eccessivamente, e così limitandola. È quindi necessario ricordare come questi processi partecipativi bottom-up non possano mai essere completamente aperti, data la necessità di “organizzarli” a livello centrale, come nel caso dell’esperienza del “budget partecipativo” vissuta da Chengdu o da Parigi.

Il caso della Cina illustra come la natura del suo regime politico sia un elemento chiave per comprendere come questa nuova fase “collaborativa” della pianificazione urbanistica possa prendere forma nella Repubblica popolare. Al contrario di quanto generalmente si crede, il Partito comunista cinese (Pcc) ha sempre prestato grande attenzione al coinvolgimento del cittadino, dimostrandosi resiliente a circostanze sociali in continuo mutamento, oltre che deciso a investire in innovazione e riforme[6]. Tuttavia, dietro questa immagine di apertura e questa capacità di adattamento, il potere del Pcc resta inalterato. Le riforme, incluse quelle relative alla partecipazione pubblica, appaiono funzionali alla difesa e al rafforzamento dell’autorità, della legittimità e del controllo del Partito. In conclusione, è ragionevole ritenere che la messa in opera in Cina di progetti di pianificazione collaborativa non sarà viatico per lo sviluppo di nuovi processi democratici. Ossia rimarrà una narrazione, più che tradursi in realtà concreta.

Traduzione dall’inglese a cura di Carlotta Clivio.

[1] Frédéric Santamaria, “Aménagement”, Hypergéo (2004), http://www.hypergeo.eu/spip.php?article474 [trad. dell’A.].

[2] Fulong Wu, Planning for Growth. Urban and Regional Planning in China (New York/London: Routledge, 2015).

[3] Nicolas Douay, “Shanghai: urban planning styles in evolution. emergence of a ‘harmonious urbanisation’?”, China Perspectives (2008) 4: 16-25.

[4] Chunyu Shi, La participation des habitants dans les grandes villes chinoises – le cas Guangzhou, tesi di dottorato in Scienze politiche, Université Paris 2, 2012, http://www.theses.fr/2012PA020017.

[5] Tinwei Zhang, “Urban Development and a Socialist Pro-growth Coalition in Shanghai”, Urban Affairs Review 37 (2002) 4: 475-499.

[6] È da annoverarsi fra queste tendenze la recente sostituzione nei documenti pianificatori cinesi dell’espressione “gestione sociale” (Shehui guanli, 社会管理) con “governance sociale” (Shehui zhili, 社会治理), presupponendo almeno sulla carta processi decisionali più inclusivi (nda).

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