Peacebuilding: nascita e sviluppo in ambito onusiano. Il punto di vista di Mariangela Zappia, Rappresentante Permanente italiana presso le Nazioni Unite a New York

Il peacebuilding nasce in ambito ONU dalla constatazione dell’insufficienza di un approccio concentrato sulla sola gestione dei conflitti, in scenari di crisi resi sempre più complessi dalla natura differenziata e interconnessa dei fattori di instabilità: fragilità delle istituzioni, intervento di attori non statuali, criminalità organizzata e traffici illeciti, terrorismo ed estremismo violento, povertà e disuguaglianze, impatto del cambiamento climatico, flussi migratori. Il concetto si è andato evolvendo, coincidendo in misura sempre maggiore con uno sforzo di messa a sistema degli strumenti e delle attività dell’ONU a sostegno dei processi di consolidamento della pace (peacekeeping) e di ricostruzione post-bellica. Nel solco di tale evoluzione va collocata anche la comparsa, nell’architettura del peacebuilding, del concetto di “sustaining peace” (2015) che completa questo sforzo di sistematizzazione volto a incidere efficacemente sulle cause profonde del conflitto.

Tra i corollari di maggiore impatto operativo dello sviluppo del peacebuilding onusiano si annovera la creazione della Commissione per il Peacebuilding, organo istituito con due risoluzioni gemelle dell’Assemblea Generale e del Consiglio di Sicurezza nel 2005 (A/RES/60/180 e S/RES/1645) e che costituisce l’unico raccordo tra i tre organi principali dell’ONU, nei confronti dei quali ha un ruolo consultivo e di raccomandazione: il Consiglio di Sicurezza, responsabile per la pace e la sicurezza internazionali e mandatario delle operazioni di peacekeeping, l’Assemblea Generale e il Consiglio Economico e Sociale, istanze d’indirizzo nei pilastri dello sviluppo e dei diritti umani.

La Commissione ha accresciuto negli ultimi 15 anni il suo ruolo di piattaforma di dialogo con stakeholder interni ed esterni al sistema ONU, a sostegno dell’elaborazione di strategie integrate in grado di porre le basi, in contesti di crisi, per la transizione dalla fase emergenziale a quella di sviluppo. La particolare collocazione della Commissione l’ha resa sempre più un abile “convener” dei numerosi attori coinvolti nel peacebuilding: sistema onusiano, organizzazioni internazionali, regionali e sub-regionali, donatori, da un lato, e dall’altro le istanze nazionali – istituzioni, società civile, settore privato, donne, giovani. L’ownership nazionale è, infatti, ritenuta la chiave di volta dei processi di peacebuilding e sustaining peace.

In attuazione degli obiettivi della riforma del sistema delle Nazioni Unite delineata dal Segretario Generale António Guterres – riassumibili nelle formule “surge in diplomacy” e “whole-of-UN approach” – e che compenetrano peacekeeping, peacebuilding e sustaining peace, anche il ruolo della Commissione per il Peacebuilding è andato ulteriormente profilandosi. Pur riunendosi, in linea con quanto previsto dal suo mandato, a livello di Comitato Organizzativo e in cinque Configurazioni Paese (Burundi, Repubblica Centrafricana, Liberia, Guinea Bissau, Sierra Leone), a partire dal 2017 il Comitato Organizzativo ha sempre più spesso offerto importanti occasioni per discutere situazioni di respiro regionale, come quella del Sahel e della regione dei Grandi Laghi, e tematiche trasversali, come le politiche di genere e per la gioventù.

L’attenzione riservata al peacebuilding ha trovato una conferma, anche plastica, nel riformato Dipartimento per gli Affari Politici e il Peacebuilding (DPPA), al fine di integrare capacità di analisi strategica e indirizzo politico e sviluppare sinergie e complementarità tra i capitoli finanziari disponibili, ivi incluso il Peacebuilding Fund (PBF), strumento collegato alla Commissione per il Peacebuilding.

L’Italia e il peacebuilding

Il contributo dell’Italia al peacebuilding è multidimensionale e trasversale agli ambiti del mandato delle Nazioni Unite, proprio a fronte della necessità di agire sulle cause profonde dell’instabilità. Questo impegno include, tra l’altro, una rafforzata azione di sostegno alle attività dell’ONU nel settore del consolidamento della pace, che ha trovato riconoscimento nella decisione del Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite a favore del reingresso del nostro paese nella Commissione per il Peacebuilding per il 2018 (il precedente mandato italiano nella Commissione si era concluso nel dicembre 2016). Dal 2019 l’Italia partecipa attivamente alle Configurazioni Paese della Commissione su Burundi, Repubblica Centrafricana e Guinea Bissau. Il nostro paese sostiene in maniera proattiva la Commissione, promuovendone lo sviluppo quale snodo privilegiato per una maggiore coerenza tra i tre pilastri dell’ONU (pace, sviluppo e diritti umani) e un’efficace interazione sinergica tra Agenda per il Sustaining Peace, Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e Agende “Donne, pace e sicurezza” e “Giovani, pace e sicurezza”. Con questo spirito, il contributo italiano al Peacebuilding Fund, al Dipartimento per gli Affari Politici e per il Peacebuilding e all’Ufficio di Supporto per il Peacebuilding del Segretariato (PBSO) ha registrato un incremento progressivo nell’ultimo triennio.

L’operato delle missioni di peacekeeping anche sotto il profilo della costruzione e del sostegno alla pace (peacebuilding e sustaining peace) ha assunto ormai una dimensione centrale: il sostegno allo stato di diritto, alla giustizia transizionale, ai processi di riconciliazione e partecipazione delle comunità locali, così come il monitoraggio dei diritti umani, sono componenti sempre più presenti nei mandati delle operazioni di pace definiti dal Consiglio di Sicurezza. L’Italia è un partner di primo piano per l’ONU lungo l’intero ciclo del conflitto: è il settimo contributore al bilancio ordinario delle Nazioni Unite e al bilancio delle operazioni di pace; primo contributore di truppe e polizia al peacekeeping tra i paesi occidentali; paese ospite del Global Service Centre di Brindisi, hub di sostegno logistico di riferimento per tutte le missioni sul campo dell’Organizzazione. Il nostro paese è anche un attore propositivo e pioniere nell’approfondimento della multidimensionalità del ruolo dei peacekeeper, come dimostrato dal programma dei caschi blu della cultura avviato nel 2016 in raccordo con l’iniziativa UNESCO Unite4Heritage. La particolare attenzione per i diritti umani, l’Agenda “Donne, pace e sicurezza” e la prospettiva di genere, che contraddistingue le attività di formazione specializzata e addestramento condotte da centri di eccellenza come il CoESPU – Center of Excellence for Stability Police Units di Vicenza, il NATO Security Force Assistance Centre of Excellence (SFA COE) di Cesano, il Centro Studi per le Post-Conflict Operations (CSPCO) di Torino, a beneficio dei caschi blu italiani e stranieri, si iscrive nel solco della nostra tradizionale impostazione olistica nei confronti della costruzione della pace.

L’Italia è inoltre tra i principali sostenitori della riforma avviata da Guterres per rendere il peacekeeping onusiano più agile, flessibile e performante, sotto l’ombrello dell’iniziativa Action for Peacekeping (A4P), lanciata nel marzo 2018. Oltre a essere tra i primi paesi ad aderire, l’Italia è oggi un “Campione A4P” impegnato nella promozione dell’avanzamento della riforma in quattro ambiti: performance e responsabilità, attuazione dell’Agenda “Donne, pace e sicurezza”, codici di condotta dei caschi blu e partnership. A questi filoni, si aggiunge l’adesione italiana alla campagna del Segretario Generale di “tolleranza zero” nei confronti di abusi e violenze sessuali perpetrate nell’ambito delle operazioni di pace, tema che vede il nostro paese anche tra i primi finanziatori del Fondo Fiduciario dell’ONU per l’assistenza alle vittime di questi crimini.

Con l’obiettivo di assicurare la sostenibilità delle missioni ONU e metterle in condizione di minimizzare il loro impatto sulle condizioni sociali e ambientali delle comunità ospitanti, durante il suo ultimo mandato in Consiglio di Sicurezza (2017), l’Italia ha promosso la prima storica pronuncia dell’organo sulla gestione dell’impronta ambientale delle missioni. Nel febbraio 2018, in partenariato con il Bangladesh, ha poi instituito un Gruppo di Amici ad hoc su questo tema (Group of Friends on Leading on Environmental Management on the ground) per accompagnare e promuovere gli sforzi dell’ONU in direzione di una maggiore sostenibilità delle attività dell’Organizzazione sul terreno.

L’impegno della Cooperazione Italiana a sostegno dei paesi in via di sviluppo rappresenta un altro pilastro del nostro contributo al consolidamento della pace e della stabilità nel mondo, con un approccio centrato sulla persona e sull’ownership locale, pienamente in armonia con quello onusiano. La metà dei paesi prioritari della Cooperazione Italiana è situato in Africa, nelle regioni più instabili e afflitte da fragilità sistemiche, in cui è dispiegata la maggior parte delle missioni di pace. Salute, ambiente, sicurezza alimentare, pace e stabilizzazione figurano tra i settori prevalenti delle attività e dei programmi di cooperazione allo sviluppo. Merita inoltre ricordare come l’Unione Europea e i suoi stati membri si posizionino, complessivamente, quali principali donatori del sistema delle Nazioni Unite sotto il profilo umanitario e del sostegno allo sviluppo.

Un punto di forza e qualificante dell’apporto italiano al peacebuilding è infine rappresentato dal tradizionale dinamismo della società civile italiana e del settore privato a favore dei paesi in via di sviluppo e a sostegno dei processi di prevenzione dei conflitti, mediazione, riconciliazione, ricostruzione e consolidamento della pace.

L’emergenza COVID-19

La pandemia da COVID-19 rischia di avere un impatto devastante sui paesi in via di sviluppo e nelle regioni più vulnerabili, già affette da crisi pre-esistenti. Le Nazioni Unite hanno invocato una risposta globale coordinata e solidale, soprattutto nei confronti di questi paesi. Il Segretario Generale dell’ONU ha immediatamente lanciato un appello per un cessate il fuoco globale umanitario, per concentrare energie e risorse nella lotta al virus, e ha articolato l’architettura della risposta alla pandemia in tre fasi: 1) Risposta globale coordinata e solidale all’emergenza sanitaria; 2) Piano di assistenza umanitaria per i paesi più vulnerabili e istituzione di un fondo fiduciario per mitigarvi l’impatto socioeconomico; 3) Promozione di una ripresa globale improntata a standard di maggiore resilienza, sostenibilità e inclusività, che colga appieno le opportunità di “ricostruire meglio” offerte dalla crisi.

In questo contesto, le missioni ONU sul terreno si sono attivate per contenere il contagio, assistere i paesi ospite nella risposta all’emergenza sanitaria e assicurare, nel contempo, continuità all’attuazione dei loro mandati. Il Dipartimento per gli Affari Politici e il Peacebuilding ha proseguito e adattato le sue attività di analisi strategica, mediazione, assistenza elettorale, imprimendo un nuovo slancio all’azione diplomatica per consentire una rafforzata assistenza umanitaria e aprire nuovi spazi al dialogo politico nei teatri di conflitto. È inoltre impegnato in un’analisi ad ampio raggio per comprendere e mitigare gli effetti multidimensionali della pandemia sulla stabilità e la sicurezza internazionale e sui processi di consolidamento della pace, ed è coadiuvato in questo sforzo dall’intensificato dinamismo della Commissione per il Peacebuilding.

L’Italia, fin dal principio della crisi, ha invocato una risposta internazionale alla pandemia fondata sui valori di unità e solidarietà, appoggiando prontamente l’appello onusiano per un cessate il fuoco umanitario e ponendosi tra i paesi guida per la creazione di un’alleanza internazionale per lo sviluppo, la produzione e l’equa distribuzione del vaccino e dei trattamenti anti-COVID-19. Il nostro paese ha inoltre avviato un’azione di sensibilizzazione e mobilitazione internazionale a fronte del rischio che, in molte regioni vulnerabili del mondo, la crisi sanitaria possa trasformarsi in una crisi alimentare, generata dai potenziali ostacoli posti all’accesso al cibo e alla funzionalità delle catene di approvvigionamento dalle misure di contenimento del contagio.

Una risposta efficace e coordinata a livello internazionale alla crisi pandemica passa per un impegno rafforzato a favore del multilateralismo e del ruolo centrale delle Nazioni Unite, valori cui è ancorata la politica estera italiana e oggi quanto mai attuali. In questo frangente, l’esigenza di identificare soluzioni adeguate alla sfida del tutto nuova e multidimensionale posta dal COVID-19 sottende a ogni dimensione e attività dell’ONU, ivi incluse quelle di peacebuilding e sustaining peace, rese ancora più cruciali dall’impatto della pandemia, soprattutto nell’ottica di una ripresa improntata a standard di maggiore resilienza e sostenibilità.

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