L’enigma della Cina: revisionista o conservatrice?

Il peso crescente assunto dalla Cina nella comunità internazionale si riflette in una serie di percezioni degli altri paesi sugli orientamenti attuali e le aspirazioni di Pechino a livello globale. La varietà delle opinioni in merito indica la difficoltà di comprendere appieno la Cina: è questo ciò che possiamo definire il “complesso cinese”.

In definitiva, il complesso cinese altro non è che il riflesso del lungo dibattito sulla natura della Cina quale potenza revisionista o conservatrice: la Cina come minaccia che si staglia all’orizzonte o come fonte di opportunità. Ad alimentare il complesso sono inoltre le contrastanti identità della Cina stessa, che proietta all’esterno volti diversi di sé: quello di grande potenza, quello di attore regionale, o quello di paese in via di sviluppo.

L’ambiguità di fondo è data dalla contraddizione tra la mentalità da grande potenza e la persistente percezione di inferiorità che sembrano informare l’atteggiamento cinese sul proscenio internazionale. La prima deriva dall’asserito status di “Paese al centro” nella storia pre-moderna e dal desiderio di trovare rispetto nella comunità internazionale per i propri successi economici così come per la propria unicità quale potenza emergente. A questa mentalità si accompagna però un complesso di inferiorità, legato alla percezione di sé come nazione vittima dell’aggressione giapponese e occidentale, obiettivo di una strategia di contenimento attuata dagli Stati Uniti e da altri paesi, e infine paese in via di sviluppo alle prese con innumerevoli problemi interni.

Il complesso cinese ha suscitato un intenso dibattito nella comunità internazionale, frutto della varietà di prospettive da cui gli altri paesi osservano l’ascesa della Cina. Ne deriva una spiccata tendenza ad attribuire etichette e a muovere da assunti preconfezionati. Alcuni definiscono il paese come un partner o un amico, altri come un rivale: queste diverse definizioni implicano prescrizioni differenti, in favore di politiche di cooperazione, di interazione o – per contro – di contenimento. Ciò non fa che contribuire a errori di calcolo, alimentando la sfiducia, i sospetti e le delusioni ogniqualvolta il comportamento reale della Cina non corrisponde alle aspettative. In ultima istanza, tutto ciò riduce lo spazio per una positiva interazione e alimenta la sfiducia reciproca.

Per affrontare il complesso cinese si deve quindi partire da ciò che della Cina si può conoscere. Quel che è chiaro è il fermo perseguimento da parte cinese degli interessi nazionali irrinunciabili, così come definiti dai suoi dirigenti politici. Questi interessi toccano tre differenti componenti: 1) il sistema politico cinese e la sicurezza nazionale del paese; 2) la sovranità nazionale e l’integrità territoriale; 3) il persistente e stabile sviluppo dell’economia del paese.

In anni recenti tale catalogo di interessi è stato richiamato dai dirigenti cinesi anche con riferimento a questioni controverse, come la vendita di armi a Taiwan da parte degli Stati Uniti, gli incontri di alto livello tra leader stranieri e il Dalai Lama e le controversie territoriali nel Mar cinese meridionale. In prospettiva la comunità internazionale dovrà prestare attenzione alla possibilità che una Cina più forte estenda portata e definizione dei propri interessi irrinunciabili. La Cina considera tali interessi come non negoziabili per loro natura e assume pertanto una posizione di intransigenza al riguardo, talvolta corredata dall’esibizione delle proprie capacità militari. Al tempo stesso, gli interlocutori devono tener presenti gli altri interessi su cui la Cina è disposta a trattare e che possono quindi diventare oggetto di cooperazione bilaterale e multilaterale: dalla riduzione della povertà alla protezione dell’ambiente, ad altre questioni di sicurezza non tradizionale.

È partendo dagli interessi della Cina che si possono ricostruire con maggior sicurezza i tratti identitari del paese. Per esempio, la Cina si considera un paese in via di sviluppo, in particolare in materia di cambiamenti climatici; agisce invece da potenza regionale nelle controversie con il Giappone sulle isole Diaoyu/Senkaku – e le sofferenze subite per mano giapponese durante la guerra spiegano in effetti la maggiore intransigenza della Cina a questo riguardo.

Riconoscere gli interessi della Cina riduce inoltre il senso di frustrazione che deriva dal contrasto tra parole e azioni. Nel caso del Mar cinese meridionale, il governo cinese da un lato esprime il proprio sostegno a una “soluzione pacifica” delle questioni territoriali, ma dall’altro continua a sconfinare nelle zone economiche esclusive di Filippine e Vietnam, rafforzando così la percezione i questi due paesi che essa rappresenti una minaccia. Questa discrepanza evidenzia come – per quanto la Cina desideri essere percepita come una potenza regionale responsabile – le preoccupazioni per la tutela della propria sovranità territoriale abbiano in effetti la priorità. È quindi fondamentale capire che vi sono interessi che la Cina – come ogni altro paese – intende difendere risolutamente. Solo in questo modo si può leggere tra le righe della retorica ufficiale e comprendere – pur senza necessariamente condividere – il comportamento di Pechino. È questa la via per affrontare le ambiguità e le contraddizioni del complesso cinese e adottare le politiche più opportune per fronteggiarlo.

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