L’economia cinese in bilico

L’economia cinese ha chiuso il 2011 con una crescita del del 9,2% del Pil rispetto all’anno precedente. Nonostante questa solida base di partenza, il 2012 è iniziato con qualche incertezza a causa dell’andamento ondivago della produzione industriale, del deficit commerciale registrato lo scorso mese di febbraio e della revisione al ribasso del target di crescita economica al 7,5% annunciato recentemente dal premier Wen Jiabao. Proliferano in questi mesi analisi molto divergenti sulle reali prospettive dell’economia cinese, anche alla luce dell’incerta ripresa internazionale.

In questo delicato contesto – reso più problematico dalla transizione ai vertici della Repubblica popolare cinese (Rpc) – e in attesa di verificare i prossimi dati congiunturali, può essere utile ricordare la dinamica storica che ha caratterizzato lo sviluppo dell’economia negli ultimi 30 anni, per poi illustrare alcune previsioni di breve e medio periodo. I prossimi numeri di OrizzonteCina offriranno riflessioni più puntuali sulle diverse dinamiche economiche in atto.

Nella prima fase del percorso di riforme, avviato nel 1978, la Rpc ha beneficiato di una crescita rapida ma relativamente equilibrata e inclusiva. I dati riportati nella Tabella 1* illustrano bene questa situazione, mostrando gli indici di crescita di ricchezza e occupazione dall’inizio delle riforme. Ancora nel 1995, sebbene i livelli di ricchezza reale totali e pro-capite fossero rispettivamente cinque e quattro volte superiori a quelli registrati nel 1978, lo sviluppo del paese è stato segnato da una forte capacità di assorbimento della forza lavoro, come segnalato dai tassi di crescita pressoché identici dell’indice di popolazione attiva e dell’occupazione. La Figura 1* mostra in modo evidente come, durante questa fase, la Cina abbia potuto sostenere un modello produttivo ad alta intensità di lavoro beneficiando del forte trasferimento di forza lavoro non qualificata dal settore rurale ai settori moderni dell’economia.

A partire dagli anni ’90, con l’intensificarsi delle riforme ed il maggiore accento posto su settori economici a più elevata intensità di capitale, si è registrato un aumento della produttività del lavoro e i tassi di assorbimento della forza lavoro sono cresciuti in modo meno rapido rispetto al passato (Tabella 1*). I tassi di crescita del Pil e del Pil pro capite, d’altra parte, sono stati più elevati rispetto al quindicennio precedente beneficiando dei forti investimenti nell’industria. Dalla seconda metà degli anni ’90 si osserva inoltre un relativo scollamento dei livelli di crescita della forza lavoro e dell’occupazione, segno di un incremento della disoccupazione ma anche di maggiori tassi di partecipazione scolastica. Sono anni fondamentali per il processo di ristrutturazione del settore industriale. Durante questa fase le imprese a proprietà o a partecipazione statale e quelle collettive perdono la loro posizione dominante sia in termini numerici che, come evidenziato dalla Figura 2*, in termini di occupazione totale in favore delle più efficienti imprese private, per lo meno nelle aree urbane.

È proprio durante questa fase, com’è possibile constatare osservando la Figura 3*, che l’economia cinese passa da un modello basato sulla crescita dei consumi ad uno basato sugli investimenti. Si tratta di un mutamento significativo perché pone la Cina in una condizione inusuale rispetto ad altri paesi – sia avanzati, sia emergenti – la cui crescita è fondamentalmente sostenuta da elevati livelli di consumi privati. Il protrarsi di questa tendenza sta acuendo i dubbi sulla prospettiva di sostenibilità dell’economia cinese, la cui crescita nel lungo periodo non può continuare ad essere basata sulle esportazioni e sugli investimenti del settore industriale, specialmente in un contesto economico internazionale così instabile.

Venendo all’attualità, la Figura 4* riporta le proiezioni sulla crescita cinese secondo tre autorevoli fonti. Come si è detto, il governo cinese ha rivisto al ribasso la sua previsione, ma anche il Fondo monetario internazionale nell’edizione di gennaio del World Economic Outlook ha rivisto le stime sull’economia cinese, ipotizzando una crescita intorno all’8,2% nel 2012 e all’8,8% nel 2013, circa 0,8 punti in meno rispetto a quanto previsto a settembre 2011. Ma l’analisi più interessante sul futuro dell’economia cinese è certamente quella contenuta nel recente rapporto curato dalla Banca mondiale e dal Development Research Centre del Consiglio di Stato cinese – China 2030 –, che stimano un rallentamento graduale dell’economia, fino a raggiungere una crescita media del 5% nel 2030, quando la Cina potrebbe essere già diventata la prima economia mondiale, superando gli Stati Uniti. Secondo il rapporto, le cui proiezioni più significative sono riportate nella Tabella 2*, il modello di crescita della Cina si modificherà nei prossimi anni anche a causa del progressivo esaurirsi della forza lavoro in eccesso delle campagne, dell’innalzamento dell’età media della popolazione – con incrementi significativi nei tassi di dipendenza – e dell’inevitabile riduzione del ruolo di industria, investimenti ed esportazioni come traino della crescita, a favore dei servizi e dei consumi privati.

Riforme incrementali e modeste come quelle che si sono registrate negli ultimi anni non saranno tuttavia sufficienti a portare l’economia cinese verso un nuovo assetto. Servono interventi strutturali come la liberalizzazione dei tassi d’interesse sui depositi bancari (attualmente negativi, in media), la creazione di un più compiuto sistema di assistenza sociale e pensionistica, la convertibilità della valuta nazionale e la cessazione delle sovvenzioni a vari fattori di produzione (a partire dall’energia). Si tratta di riforme che non potranno che ledere i poderosi interessi di quanti beneficiano dell’attuale conformazione della politica economica della Rpc. Le grandi industrie, soprattutto di Stato, che competono nell’import- export, i principali gruppi nel settore edile e una parte dell’universo bancario esercitano oggi una grande influenza sul processo decisionale a livello centrale e provinciale ed è tutto da dimostrare che la leadership entrante a Pechino disponga nel breve periodo del capitale politico necessario per introdurre cambiamenti sostanziali.

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