Le ambizioni del nuovo piano quinquennale

L’Assemblea Nazionale del Popolo ha approvato il dodicesimo piano quinquennale (2011-2015), che mira al raggiungimento di ambiziosi obiettivi di crescita e di ristrutturazione dell’economia per assicurarne stabilità e sostenibilità. Il piano quinquennale, che è basato sul concetto di “crescita inclusiva”, di cui abbiamo già scritto su OrizzonteCina (n. 6/2010, p. 6), muove da due considerazioni fondamentali, sottolineate continuamente dal governo e dal partito cinesi dall’inizio delle riforme di Deng Xiaoping: la Cina si trova nella fase primaria del socialismo; ed è ancora un paese in via di sviluppo. Bisogna quindi utilizzare gli incentivi di mercato e gli strumenti di controllo dello stato per assicurare alla nazione una “moderata prosperità”, in un clima internazionale pacifico.

Questo concetto è stato utilizzato anche dal Primo Ministro Wen Jiabao nel “Rapporto sul lavoro del governo” che è stato presentato all’Assemblea. Wen parte da due considerazioni: sul piano internazionale, “la multipolarizzazione del mondo e la globalizzazione economica si stanno approfondendo” e ciò rafforza le economie emergenti; sul piano interno, “i fattori che favoriscono lo sviluppo della Cina e il positivo trend di lungo periodo dello sviluppo non sono cambiati”. Perciò, Wen conclude che “lo sviluppo della Cina si trova ancora in un importante periodo di opportunità strategiche”, anche se l’esperienza cinese non può essere considerata un “modello”. Il dodicesimo piano, quindi, dovrà sfruttare tali opportunità e ovviare agli squilibri. Non più quindi solo obiettivi di crescita del Pil, fissati comunque a un realistico 7% annuo (55.000 miliardi l’atteso valore del PIL nel 2015), a vantaggio di una popolazione che si prevede sempre più urbanizzata (dal 47,5 al 51,5%).

Nel piano, si sottolinea l’importanza dell’innovazione per lo sviluppo dell’economia cinese: è previsto che il livello di spesa in ricerca e sviluppo raggiunga il 2,2% al Pil. Sul fronte ambientale, il consumo di energia e le emissioni di CO2 per unità di Pil saranno ridotte del 16% e del 17% rispettivamente; il rilascio nell’atmosfera e nell’acqua dei maggiori agenti inquinanti sarà ridotto dell’8%, e l’area coperta da foreste dovrebbe raggiungere il 21,6% del territorio.

Per quanto riguarda le politiche sociali, si promettono 45 milioni di nuovi posti di lavoro, e per la prima volta si stabilisce per il reddito pro-capite disponibile dei residenti rurali e per quello dei residenti urbani una crescita superiore al 7% in termini reali. L’obiettivo è far sì che che la crescita del Pil si trasformi in crescita della ricchezza privata. Il piano vuole anche assicurare l’assistenza medica di base universale, garantendo la copertura assicurativa del 70% delle spese mediche, e case popolari al 20% delle famiglie urbane.

Si tratta di obiettivi ambiziosi, che non sarà facile raggiungere. Una cosa è certa: il governo ha bisogno di un ambiente internazionale non conflittuale, e il rapporto sottolinea come la Cina intenda sostenere i propri interessi cooperando con i partner per la soluzione delle grandi questioni sul tavolo, a cominciare dal commercio e dall’apprezzamento della valuta nazionale (senza però assumere impegni specifici, tranne quello di lottare contro la rinascita del protezionismo, una posizione abbastanza scontata ora che la Cina ha superato gli Stati Uniti come prima potenza manifatturiera).

In un recente intervento su Il Sole24ore Zheng Bijian, presentato come l’ideologo di Hu Jintao, ha sottolineato come i concetti di “espansione e approfondimento della convergenza di interessi” e di “costruzione delle comunità di interessi” siano entrati a pieno titolo nel quadro di riferimento ufficiale del piano. È un orientamento che lascia ben sperare: un approccio all’ordine internazionale basato sull’inestricabile intreccio tra interessi economici pubblici e privati può attenuare le voci di quanti, in Cina, propugnano una visione della politica internazionale come gioco a somma zero.

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