La Via della seta nei Balcani: contesto e prospettive

Traduzione dall’inglese a cura di Simone Dossi

Nel 2012 la Cina ha lanciato una nuova piattaforma per la cooperazione con i sedici paesi dell’Europa centrale, orientale e sud-orientale, denominata cooperazione 16+1: Albania, Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Estonia, Lettonia, Lituania, Macedonia, Montenegro, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Serbia, Slovacchia, Slovenia e Ungheria. In seguito all’avvio della Belt & Road Initiative (Bri), nel 2013 il raggruppamento 16+1 è stato riformulato come uno dei meccanismi per l’attuazione della nuova iniziativa. Le visite del Presidente Xi Jinping a Praga, Belgrado e Varsavia nel 2016 hanno rafforzato la convinzione che la Cina attribuisca ai paesi della regione un ruolo significativo ai fini del nuovo progetto.

In Europa, il principale interrogativo attorno alla cooperazione 16+1 riguarda i suoi potenziali effetti sulle relazioni fra Unione europea e Cina: undici dei sedici paesi interessati sono infatti membri dell’Ue. Interrogativi altrettanto importanti – con ricadute sulle stesse relazioni Ue-Cina – suscita i anche la cooperazione fra la Cina e i rimanenti cinque paesi: Albania, Bosnia Erzegovina, Macedonia, Montenegro e Serbia. Per comprendere appieno le prospettive delle relazioni tra la Cina e i Balcani e della Bri nella regione, è necessario anzitutto cogliere il contesto in cui si inseriscono.

Le guerre degli anni Novanta e il conseguente declino politico ed economico della regione hanno privato i paesi balcanici di buona parte del loro peso internazionale. Negli ultimi 25 anni l’agenda regionale è stata di fatto dettata dalla “comunità internazionale”, vale a dire in primis dalla Ue e dagli Stati Uniti. Questi hanno dato la priorità al peace building, allo state building e alla democratizzazione, e all’attuazione di politiche economiche neoliberiste mediante una complessiva riforma – attentamente monitorata dall’esterno – dei sistemi politici ed economici interessati.

Benché oggi la regione abbia trovato una certa stabilità (ma molti potrebbero pensarla diversamente), le tensioni politiche e le pulsioni antidemocratiche restano radicate. Vista in passato come portatrice di cambiamenti positivi, l’Ue è oggi considerata sempre più come parte del problema. Ancora peggiore è il bilancio sul piano delle trasformazioni economiche: le riforme neoliberiste hanno prodotto devastazione economica. Così, la crisi finanziaria globale ha finito per consolidare la posizione dei Balcani quale “super-periferia” dell’Europa, se è vero che proprio i paesi della regione “hanno sofferto maggiormente della recessione globale del 2008-2009”. Se i settori ad alta intensità di lavoro prosperano nella regione, è perché qui il lavoro manuale costa ancora meno che in Cina.

La Bri approda quindi nei Balcani proprio nel momento in cui a dominare è l’insoddisfazione per i paradigmi prevalenti negli ultimi 25 anni. I principi su cui si basa l’iniziativa sono assai differenti da quelli sinora promossi dall’Occidente. La parola-chiave della Cina è infatti “potenziale economico non sfruttato”: la cooperazione interessa cioè diversi ambiti, ma viene qualificata come “pragmatica”, nel senso che le questioni politiche vengono lasciate al di fuori del perimetro delle discussioni. L’attenzione si concentra piuttosto sull’elaborazione e sull’attuazione di progetti concreti, in alcuni settori prioritari: le reti infrastrutturali di trasporto ed energia, la “cooperazione in materia di capacità industriale” e il potenziamento di commercio e investimenti. Lentamente ma con costanza, la Cina ha saputo garantire risultati concreti: autostrade, centrali elettriche e stabilimenti siderurgici sono in fase di realizzazione o sono già stati completati, mentre un numero sempre maggiore di progetti è oggetto di discussione in svariate sedi politiche e accademiche.

Nonostante Pechino riconosca la differenza esistente fra paesi membri e non dell’Ue – e anzi attribuisca ai secondi una maggiore “flessibilità” nella cooperazione con la Cina – l’approccio sinora seguito dalla Cina rifugge dall’orientalizzazione dei Balcani o dei “Balcani occidentali” come gruppo strutturalmente distinto per specificità storiche e culturali (spesso negative): al contrario, Pechino guarda ai paesi balcanici come parte di una regione più ampia, definita sulla base di somiglianze strutturali e prossimità geografiche. Allo stesso modo, la geografia mentale della Cina non vede nei Balcani il retroterra dell’Europa, bensì un ponte fra regioni diverse, secondo una prospettiva che viene applicata anche ai singoli paesi coinvolti. È su queste basi che sono stati inclusi nella Bri progetti infrastrutturali su vasta scala, come la cosiddetta China-Europe Land-Sea Express Railway, che collega Budapest al porto del Pireo (ora posseduto al 67% dalla cinese Cosco) attraverso la Serbia e la Macedonia, coinvolgendo paesi Ue e non Ue. Si mira così a superare le distinzioni e le contrapposizioni storiche attraverso una cooperazione intra-regionale che appare oggi imprescindibile. Ciò dovrebbe permettere ai Balcani di ritrovare un proprio ruolo internazionale e di esercitare un certo livello di ownership sulla propria agenda di sviluppo.

La cooperazione all’interno della Bri si presenta come un processo aperto e senza condizionalità, con risultati facilmente visibili e misurabili in termini di investimenti infrastrutturali e di flussi commerciali. L’iniziativa è ancora allo stadio iniziale e avrà bisogno di tempo per crescere ed espandersi. Assumendo che la tendenza attuale continui, quali potranno esserne i risultati? La Cina non intende sostituire l’Ue e gli Stati Uniti quale principale attore esterno nella regione; non ne avrebbe peraltro il potenziale. Né può fare miracoli, come spera qualcuno. L’esperienza di altre regioni mostra tuttavia che a un intensificarsi della diplomazia economica cinese corrispondono migliori performance economiche. Anche se ciò ha un prezzo: per esempio, la Cina influenza indirettamente il dibattito locale sui modelli politici, offrendo spesso ispirazione ai fautori di militarismo e liberalizzazione economica.

Quale sarà la risposta degli altri attori globali – e dell’Ue in particolare – alla Bri nei Balcani? Nel 2014 Bruxelles ha avviato il cosiddetto Processo di Berlino sui Balcani occidentali e nel 2015 la Balkan connectivity agenda (Bca), mettendo per la prima volta l’accento sullo sviluppo economico – connettività, potenziamento delle infrastrutture, rilancio economico. Dati il cambiamento di approccio e la somiglianza con quanto la Cina sta facendo nella regione, la Bca è stata vista da alcuni come la risposta europea alla Bri. Ma Cina e Ue restano dopo tutto partner strategici: così come hanno individuato forme di coordinamento fra il Piano Juncker e la Bri, potrebbero riuscire a a creare sinergie tra la Bca e la componente balcanica della Bri.

La sfida principale, secondo gli studiosi cinesi, sarà quella di rendere la Bri, e progetti quali la Bca, vantaggiosi per “la maggioranza della popolazione” nei Balcani. Nei documenti ufficiali, la Bri viene presentata come mezzo per contribuire alla rinascita economica della regione dopo la crisi del 2008 e per attenuare le diseguaglianze interne. L’obiettivo dichiarato della Bri è però anche il rafforzamento dell’attuale sistema economico mondiale che ha prodotto crescenti diseguaglianze. Come si possano conciliare questi due obiettivi non è chiaro e la penisola balcanica potrà fungere da laboratorio per verificarlo.

Infine, che cosa significa per l’Italia il crescente coinvolgimento della Cina nei Balcani? Tramite il Mare Adriatico e il porto di Trieste l’Italia è fisicamente connessa ai Balcani, i suoi legami storici e culturali con la regione sono profondi e Roma resta tuttora uno dei principali partner economici dei paesi balcanici. Le nuove vie di comunicazione terrestri e marittime delineate dalla Bri non potranno che rafforzare tali legami, mentre il rilancio di un’agenda economica per i Balcani creerà nuove opportunità per la cooperazione economica con l’Italia. Sono questi, di per sé, incentivi sufficienti per mettere a frutto l’esperienza che l’Italia ha maturato nella cooperazione tanto con la Cina quanto con i Balcani.

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