[LA RECENSIONE] La Cina e le Nazioni Unite. Dall’esclusione al potere di veto

Pietro Paolo Masina La Cina e le Nazioni Unite. Dall’esclusione al potere di veto Carocci, Roma 2012

 

Prendete un manuale di storia del ‘900 in un liceo degli anni ‘80 e cercate quanto spazio viene dedicato alla guerra di Corea (1950-1953). L’esito della vostra ricerca vi dirà: l’equivalente di qualche riga. Un eccellente contributo per colmare questo vuoto è il volume di Pietro Paolo Masina, docente di storia e istituzioni dell’Asia all’Orientale di Napoli, che OrizzonteCina consiglia questo mese ai propri lettori. La Cina e le Nazioni Unite ripercorre la storia del rapporto tra la Repubblica popolare cinese (Rpc) e l’Onu tra il 1949 e il 1972, anno che sancisce la fine ufficiale dell’isolamento della Rpc dall’Occidente, dando inizio a un percorso di riavvicinamento che avrebbe cambiato il mondo.

La questione centrale riguarda il riconoscimento del regime comunista quale governo legittimo della Cina, e la sua eventuale ammissione alle Nazioni Unite. Come noto, il problema sarà risolto solamente nel 1971, quando il mutato contesto internazionale permetterà l’approvazione di una mozione (presentata dall’Albania) di accettazione della Rpc come membro permanente con potere di veto del Consiglio di Sicurezza in sostituzione della Cina nazionalista (Taiwan), che viene espulsa dall’organizzazione.

Fino allo scoppio della guerra di Corea non era scontato che Pechino avrebbe dovuto attendere più di vent’anni per entrare al Palazzo di vetro: se è vero che il governo di Taipei fece di tutto per screditare i comunisti appena giunti al potere nella Cina continentale (arrivando a denunciare come il regime maoista fosse stato instaurato da un intervento sovietico, e quindi fosse illegittimo), gli Stati Uniti sembrarono all’inizio avere una posizione attendista, temendo di dovere accettare alla fine l’inevitabilità di una disfatta di Chiang Kai-shek a Taiwan. La guerra di Corea rivoluziona la politica asiatica degli Stati Uniti, guidati dal repubblicano Eisenhower, che entra alla Casa Bianca rivolgendo pesanti accuse alla precedente amministrazione democratica proprio per aver “perso la Cina”. Sostenuto dall’alleanza tra la “China lobby” (anticomunista) e il senatore McCarthy, il presidente dà avvio a una serie di iniziative di contenimento e di isolamento della Rpc: viene costituita la Southeast Asia Treaty Organization (Seato), inizialmente intesa come omologo della Nato nel Pacifico; iniziano le azioni sotto copertura in un Vietnam che sta per essere abbandonato dalla Francia; viene firmato il trattato di alleanza e mutua difesa tra Stati Uniti e Taiwan. Mentre negli anni ’60 la cristallizzazione del mondo bipolare rende asfittico e retorico il dibattito in sede Onu sulla rappresentanza della Cina, lo scenario internazionale fuori dai due blocchi cambia radicalmente: la decolonizzazione, infatti, porterà in Assemblea Generale nuovi membri, molti dei quali si sarebbero presto espressi a favore della Rpc.

Attraverso una puntuale ricostruzione degli eventi, sostenuta da un’accurata indagine documentale, Masina esamina tutti i passaggi diplomatici che porteranno alla svolta del 1971, mettendo in evidenza i collegamenti tra politica interna e politica estera delle grandi potenze: il sostanziale conservatorismo di Kennedy nelle periferie del mondo; il riconoscimento della Francia nel 1964; gli scontri di frontiera e i difficili rapporti con l’India e la Russia; la critica di Pechino all’Onu in quanto tale dopo l’abbandono dell’organizzazione da parte dell’Indonesia nel 1965 e il tentativo (abortito) di creare un forum alternativo; “l’invasione” delle guardie rosse al ministero degli esteri cinese nel maggio del 1966; l’iniziativa (fallimentare) dell’Italia per uscire dall’impasse; gli incontri sino-americani a Varsavia; l’invito al giornalista Edgar Snow a Pechino nel 1970; la diplomazia del ping-pong; i viaggi di Kissinger (1971) e di Nixon (1972) a Pechino.

Sarà infatti proprio il nuovo rapporto instaurato con la Rpc a permettere a Kissinger e Nixon di disimpegnarsi dal Vietnam, ora che abbandonare l’Indocina non significa più “perdere l’Asia”, un timore evidente negli anni della presidenza Johnson. Tuttavia, per non rinnegare l’attivo ostracismo condotto all’interno dell’Onu per un ventennio, gli Stati Uniti saranno costretti a votare contro la mozione albanese, con ciò perdendo l’occasione di uscire dalle ambiguità della politica americana nei confronti di Taiwan, che ancora oggi perdura (come la divisione della Corea), gettando un’ombra sinistra sulle relazioni internazionali dell’Asia-Pacifico.

Mentre le pagine dedicate alla minuziosa ricostruzione della storia diplomatica potranno interessare soprattutto gli studiosi della materia, il pubblico dei non specialisti avrà modo di apprezzare i più ampi orizzonti analitici in altre parti del libro. Pur trattando di avvenimenti che risalgono a mezzo secolo fa, il libro evidenzia snodi politici e architetture istituzionali complessi che ci riconducono sovente all’attualità: se vogliamo comprendere come le nuove e vecchie potenze potrebbero rimodellare i regimi internazionali fissati alla fine della Seconda Guerra mondiale, ripercorrere la storia del rapporto tra Cina e Nazioni Unite è uno degli esercizi obbligatori.

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