[LA RECENSIONE] Italia e Cina, 60 anni tra passato e futuro

Mario Filippo Pini Italia e Cina, 60 anni tra passato e futuro L’Asino d’oro, Roma 2011

Il risvolto in terza di copertina del libro che segnaliamo questo mese ci informa che “Mario Filippo Pini è stato l’unico membro della carriera diplomatica a essere entrato alla Farnesina a seguito di un concorso che includeva anche un esame scritto di cinese. Ha prestato servizio in Cina quattro volte, per un totale di 16 anni, ed è stato ambasciatore in Bangladesh”.

In effetti, l’autore si dimostra un profondo conoscitore della Cina e della Repubblica popolare cinese, e in particolare dei suoi rapporti con l’Italia, divisi nel libro in sei periodi storici: 1949-63 (“Il lento avvicinamento”); 1964-70 (“Il rapido avvicinamento”); 1971-76 (“Le relazioni ufficiali all’ombra del maoismo”); 1977-88 (“Prima di Tian’anmen”); 1989-99 (“Durante e dopo Tian’anmen”); dopo il 2000. C’è spazio anche per un capitolo iniziale che guarda al passato imperiale, e per un capitolo conclusivo sul futuro.

Il libro ha una duplice valenza: da un lato, è un diario storico-diplomatico ricco di ricordi e aneddoti personali, e di citazioni; dall’altro, è una lettura personale di molti eventi storici assai noti agli specialisti, ma ancora abbastanza misteriosi per il pubblico in generale. Non c’è dubbio che è nella prima parte che l’autore, Mario Filippo Pini (docente all’Università “La Sapienza” di Roma e ad Harvard) ottiene i risultati migliori, raccontandoci dell’esperienza cinese di Edda Mussolini e Galeazzo Ciano, illustrando un ritratto di Mao, analizzando i rapporti della Cina con il Pci e ricordando Arnaldo Forlani e Huang Hua, Sandro Pertini, il viaggio di Craxi, la campagna contro Michelangelo Antonioni, i figli dei dirigenti dell’internazionale comunista a scuola a Ivanovo (Russia) e tante altre piccole grandi storie di italiani in Cina. Non mancano riferimenti ai progetti più o meno riusciti, frutto della collaborazione italo-cinese.

Nelle ultime pagine traspare un’evidente malinconica disillusione per il declino dell’Europa che non sa parlare con una voce sola e per l’incapacità dei governanti italiani di affrontare le sfide che la Cina e gli altri grandi Paesi emergenti pongono ai nostri sistemi economici e politici: “[Essi] mostrano un senso di superiorità nei confronti della Cina non solo perché hanno un grosso ego (altrimenti non potrebbero fare il mestiere che fanno), ma anche perché sono condizionati dal fatto che la civiltà occidentale ha primeggiato nel mondo intero per alcune centinaia di anni e hanno difficoltà ad adeguare il proprio modo di essere a una scena internazionale che non appartiene più esclusivamente all’Occidente” (pag. 261).

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