La Legge sulle organizzazioni caritatevoli: opportunità, ma solo per i lungimiranti

La Legge sulle organizzazioni caritatevoli, che entrerà in vigore il prossimo 1° settembre, ha ricevuto minore attenzione in ambito sia italiano che internazionale rispetto alla proposta di Legge sull’amministrazione delle ong finanziate dall’estero. La minore attenzione è resa evidente dalla scarsa opera di commento alla Legge sulle organizzazioni caritatevoli e nella sua scarsa visibilità mediatica, almeno da parte “occidentale”. Vi è, soprattutto da parte anglo-americana, la convinzione che la porta della cooperazione tra la Cina e l’Occidente si stia chiudendo in maniera definitiva, e che tanto la Legge sulle organizzazioni caritatevoli, quanto quella sulle ong servano ad attuare tale sbarramento.

Si tratta di una convinzione confortata solo in parte dai fatti. Qui è opportuno operare una distinzione tra realtà “sociali”, ovvero le dinamiche concretamente in atto nel settore della cooperazione internazionale in Cina, e questioni legislative. Le prime, cui spesso la stampa e i critici di oltreoceano si richiamano, sono ben note al pubblico e non verranno richiamate in questo breve commento. Tali dinamiche si stanno sviluppando in assenza di un organico e ben definito quadro legislativo del settore no profit.

Per questo la Legge sulle organizzazioni caritatevoli rappresenta in realtà un importantissimo sviluppo che rafforzerà tanto la cooperazione internazionale, quanto la società civile globale. Molte delle difficoltà sperimentate tanto dalle ong cinesi quanto dalle controparti occidentali derivano in buona parte da un quadro normativo frammentato, e in alcuni casi incoerente e incompleto. La frammentarietà, incoerenza e incompletezza del quadro normativo non derivavano da una volontà politica tesa a frenare lo sviluppo del settore della cooperazione, bensì dalla sostanziale novità del settore no profit e dalla mancanza di esperienza legislativa e regolamentare in materia.

Malgrado l’associazionismo in quanto tale vanti una lunga storia, il settore no profit è un fenomeno storicamente recente, nato e sviluppatosi negli ultimi quattro decenni. La comparsa di entità situate al crocevia tra lo Stato, il mercato e la società ha creato non poche difficoltà al legislatore, che in molti casi si è ritrovato a regolamentare queste entità in un momento successivo alla loro creazione. La necessità di fornire una risposta legislativa ad hoc è alla base della frammentarietà del quadro normativo cinese. D’altra parte una simile frammentarietà, l’esistenza di incoerenze, e la differenziazione tra ong locali e internazionali non sono caratteristiche esclusive del diritto cinese. Anche la legislazione italiana impone l’obbligo di registrazione, e il suo periodico rinnovo, alle ong locali e a quelle internazionali o che ricevono finanziamenti comunitari o extra-comunitari.

Tali obblighi sono accettati dalle ong cinesi per ovvi motivi. I principi della legalità e dello Stato di diritto richiedono la regolamentazione, a volte anche stringente, di un settore che crea nuova occupazione e che, a causa della sua natura fortemente transnazionale, potrebbe facilmente essere infiltrato da attività criminose. Finora il settore della cooperazione in Cina è rimasto al di fuori di un quadro normativo completo, in una zona grigia che ha creato eccezionali opportunità di innovazione, crescita e scambio. La mancanza di regolamentazione però ha anche permesso frodi e scandali come nel caso di Guo Meimei Baby e in quello della fondazione Soong Ching Ling. L’appena diciannovenne Guo Meimei, millantando la propria appartenenza alla Croce rossa, aveva diffuso sui social media le sue foto alla guida di una Maserati, suscitando sospetti sulle attività della Croce rossa cinese e causando un drastico crollo delle donazioni. La fondazione Soong Ching Ling, una ong con sede nella provincia dello Henan, si è invece ritrovata al centro di uno scandalo quando si è appurato che le donazioni erano usate per finanziare un vasto giro di usura.

Dall’Italia sono state mosse critiche ad alcune norme della legislazione cinese che non sono però troppo diverse da quelle esistenti nell’ordinamento italiano. Si potrebbe obiettare che la Cina non rispetta le norme esistenti nel suo stesso ordinamento, nel momento stesso in cui decide, in maniera del tutto discrezionale, di revocare la registrazione a una ong, mettendola automaticamente fuori legge. Tale discrezionalità amministrativa tuttavia esiste anche in altri ordinamenti giuridici, e può produrre effetti analoghi.

La partecipazione ad attività di natura transnazionale, come quelle della cooperazione, richiede l’accettazione di regole condivise che derivano in parte dal diritto internazionale e in parte da una convergenza dei diritti interni. Alla creazione di tali regole contribuiscono inoltre tutti i soggetti della cooperazione, che siano Stati nazionali, enti privati e non a scopo di lucro, o anche beneficiari delle attività di cooperazione allo sviluppo. Se l’Italia, fanalino di coda nella cooperazione internazionale allo sviluppo, vuole prendere parte alla creazione di regole condivise – ed accrescere il proprio peso nel settore della cooperazione – deve valutare attentamente le potenzialità, oltre che i limiti, della Legge. La Cina è tra gli attori che stanno rimodellando la cooperazione in maniera significativa, offrendo opportunità che solo gli attori dotati di lungimiranza possono cogliere.

 

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