Gli interessi cinesi nel conflitto russo-ucraino

Il China Policy Lab (Cpl) è un’iniziativa di condivisione delle agende di ricerca sulla Cina contemporanea, organizzata e ospitata dal Center for Italian Studies dell’Università Zhejiang.

Ospite del sesto seminario China Policy Lab, tenutosi il 26 maggio scorso, è stato Gregory Moore, docente di Relazioni internazionali presso il Dipartimento di scienze politiche della Zhejiang University di Hangzhou. L’incontro è stato un’occasione per analizzare in maniera approfondita gli interessi della Cina nel conflitto russo-ucraino, così come i possibili scenari che le tensioni in quell’area possono aprire per Pechino. Nei giorni più caldi del conflitto, successivamente alla prova di forza di Putin in Crimea, gli osservatori e i quotidiani internazionali hanno interpretato in maniera spesso contrastante la posizione di Pechino. Per alcuni la Cina è l’unica vera vincitrice in seguito all’escalation russa, grazie al raffreddamento dei rapporti tra Mosca, Washington e Bruxelles. A riprova di ciò, vari osservatori evidenziano la particolare tempistica con cui Mosca e Pechino hanno finalmente chiuso un negoziato durato un decennio per una fornitura trentennale di gas (per un valore di 400 miliardi di dollari USA) attraverso un gasdotto che collegherà la Siberia alla Cina orientale. Per altri invece l’incursione in Crimea, unita al referendum per l’autodeterminazione, rappresentano per Pechino precedenti piuttosto scomodi: una violazione dei principi d’integrità territoriale e di non ingerenza, punti cardine della diplomazia cinese, unita a un tentativo, più o meno legittimo, di dare voce a una minoranza, permettendole di decidere autonomamente del proprio futuro. Entrambi i temi toccano punti assai sensibili nella politica estera e interna cinese. Ma c’è qualcos’altro in gioco che sfugge a queste prime osservazioni? L’intervento di Moore ha, in effetti, esteso sostanzialmente il dettaglio dell’analisi. Ciò che propone Moore è di portare lo sguardo sul notevole, e spesso ignorato, complesso militare-industriale ucraino, situato principalmente nella parte orientale e meridionale del paese. Secondo dati Sipri, l’Ucraina è l’ottavo esportatore mondiale di armi per il quinquennio 2009-2013 e copre il 3% delle forniture globali. La produzione bellica ucraina sembra essere di enorme interesse strategico per Mosca. Come sostiene Defense Express, compagnia di consulenza militare di Kiev, più della metà dell’arsenale nucleare russo è stato costruito in Ucraina o è equipaggiato con sistemi di navigazione prodotti in Ucraina. La compagnia Motor-Sich, con base a Zaporizhia, produce i motori di gran parte degli elicotteri militari russi. Inoltre è di provenienza ucraina l’aereo da trasporto strategico Antonov AN225, uno tra i più grandi aerei mai costruiti. Nella città di Dnepropetrovsk, una volta centro della produzione nucleare e spaziale sovietica, si producono tutt’oggi i missili intercontinentali R-36M e i lanciatori Soyuz, di cui la Russia fa ancora uso.

Anche Pechino, secondo Moore, è in qualche modo dipendente da Kiev per gli approvvigionamenti militari, e sarebbero proprio gli interessi dell’industria bellica ad aver determinato l’astensione cinese sulla risoluzione del Consiglio di sicurezza Onu contro il referendum in Crimea. La Cina necessita di tecnologia aeronautica, navale, di sbarco, missilistica e aerospaziale, e se venissero a mancare le forniture ucraine Pechino si troverebbe a dipendere in larga misura da Mosca. Gli equilibri e le ragioni di scambio tra le due potenze ne verrebbero così alterati, circostanza che la Cina preferirebbe non dover prendere in considerazione.

L’accesso al mercato bellico ucraino, più economico di quello russo, è indispensabile a Pechino per sostenere la propria tecnologia militare. La portaerei cinese Liaoning (辽宁) e il rompighiaccio Xuelong (雪龙), impegnato recentemente nel recupero della nave russa Akademik Shokalskiy nell’Antartico, nonché l’hovercraft d’assalto Zubr, sono tutti provenienti dall’Ucraina. Inoltre, ricorda Moore, la consolidata prassi di reverse-engineering cinese sembra non turbare particolarmente Kiev, così come al contrario preoccupa e disincentiva gli altri paesi esportatori di tecnologia verso Pechino. Come indica Moore, gli scenari che si aprono per la Rpc a seguito di un cambiamento nella postura geopolitica ucraina sono essenzialmente due, sfavorevoli in entrambi i casi. In caso di ingresso nell’Unione europea il proficuo commercio militare si arresterebbe drasticamente, essendo ancora in vigore le sanzioni Ue contro la vendita di armi alla Cina, in seguito agli eventi di piazza Tian’anmen nel 1989. D’altronde, se la parte orientale dell’Ucraina dovesse cadere sotto il controllo o la sovranità russa, una fetta cospicua dell’apparato industriale ucraino passerebbe a Mosca e molti degli accordi commerciali sarebbero a rischio.

L’analisi di Moore ha portato dunque all’attenzione dei presenti un tema che è passato in secondo piano nei momenti più critici della vicenda russo-ucraina. Tuttavia, dal dibattito è emersa l’esigenza di approfondire anche i rapporti sino-americani. Non c’è dubbio, infatti, che il coinvolgimento, più o meno diretto, degli Stati Uniti nel conflitto ucraino sia da leggere ampliando lo sguardo verso l’Asia, o meglio – per dirla con Brzezinski – verso l’Eurasia, che già diciassette anni fa era considerato lo scacchiere decisivo per la politica estera di Washington. Il contenimento dell’ascesa cinese impone infatti una presenza americana forte e assertiva in Eurasia e un’alleanza troppo marcata tra Russia e Unione europea indebolirebbe l’influenza statunitense in quell’area. Una radicalizzazione del conflitto allontanerebbe invece Putin dall’Ue, compromettendo le forniture di gas e indebolendo così le economie di entrambe le parti. Inoltre, la campagna mediatica contro Putin aiuterebbe a legittimare la presenza Nato ai confini occidentali russi, rafforzando il ribilanciamento di Washington verso l’Asia.

Nel frattempo Pechino ha assistito con malcelata preoccupazione, mista a scetticismo, al tour asiatico del Presidente Obama. La missione diplomatica Usa, negli ultimi giorni dello scorso aprile, ha infatti rinnovato le alleanze difensive con Giappone e Filippine, entrambi paesi coinvolti in tensioni territoriali con Pechino: il Giappone per le Isole Senkaku/Diaoyu nel Mar cinese orientale; le Filippine per Scarborough Shoal/Huangyan Dao nel Mar cinese meridionale. La Cina osserva quindi la crisi russo-ucraina tenendo conto di una varietà di interessi geostrategici, e dei rapporti con una vasta gamma di attori, nonché delle connessioni fra le varie aree, com’è naturale per una potenza che ha una crescente proiezione globale.

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