I numeri dell’apparato militare russo, se osservati in maniera superficiale e senza ulteriore approfondimento, trasmettono un’impressione di grande forza: quinto paese al mondo per dimensione della componente attiva delle forze armate, con un numero di soldati stimato di circa un milione; quarto per spesa militare, con una quota del PIL dedicata oscillante tra il 3,7 e il 5,5% per anno nell’ultimo decennio; secondo per export militare (anche se ormai in decrescita da molti anni); e primo per dimensione dell’arsenale nucleare, con più di 6.000 testate disponibili. Lo stesso governo russo si è impegnato ufficialmente nel rafforzare l’impressione di potenza derivante da questi numeri con diverse campagne d’informazione. Tuttavia, già prima dell’aggressione contro l’Ucraina e della dimostrazione delle effettive capacità militari sul campo, alcune perplessità sulla sua reale potenza sono state sollevate da qualificati analisti. In particolare, nel 2020 uno studio del centro di ricerca più rinomato per gli studi sulla spesa militare, lo Stockholm International Peace Institute (SIPRI), osservava che un’ampia spesa militare non corrisponde necessariamente a un’alta efficacia dello strumento, che la Russia in particolare aveva dedicato più attenzione alla dimensione quantitativa delle proprie forze armate che non a quella qualitativa, e che l’ammodernamento generale delle sue forze era piuttosto disomogeneo.
La campagna militare seguente l’attacco sferrato il 24 febbraio ha dimostrato che la macchina militare russa davvero non può dirsi esente da difetti, anche di grave entità, che riguardano una pluralità di fattori non immediatamente trasmessi dai numeri, quali la qualità del personale (reclutamento e addestramento), il funzionamento della catena di comando e controllo, la dottrina e la cultura operativa, e via elencando. Tra i tanti aspetti in questo articolo se ne approfondisce uno in particolare, cioè la qualità della logistica militare russa. Osservare in dettaglio quali siano le carenze in questo ambito consente di spiegare in parte le ragioni per cui la “guerra lampo” che il Cremlino immaginava di condurre contro l’Ucraina non ha avuto luogo, ma anche di porre sul terreno elementi di analisi rilevanti per cogliere le prospettive più di lungo termine del conflitto.
Con il termine “logistica” si intende tutto quell’insieme di attività che un apparato militare svolge per sostenere la sua componente combattente, ovvero – in soldoni – la capacità di fornire munizioni, cibo, riparo, carburante, cure mediche e manutenzione a soldati e mezzi, e di effettuare rotazioni e sostituzioni nella misura necessaria. La qualità della logistica influenza direttamente ritmo e durata dello sforzo militare: una buona logistica è un presupposto alla base della rapidità delle operazioni poiché ogni assetto riceve tutto quel che gli occorre per condurre le sue attività con la massima celerità, ma lo stesso fattore consente anche di sostenere le operazioni nel tempo poiché ogni persona o cosa può essere rifornita o rimpiazzata a seconda delle necessità che si verificano sul campo e del livello di attrito subito dal confronto con la forza ostile. Se la logistica è carente, le operazioni sono necessariamente rallentate, possono subire pause e addirittura risultare insostenibili oltre una certa durata.
Quali dunque le debolezze principali della logistica militare russa? Vale la pena considerare quattro elementi sopra tutti gli altri: il sottodimensionamento della logistica in generale, la dipendenza dalla rotaia, le deficienze del trasporto su gomma (camion), i danni causati dalla corruzione e da una cattiva esternalizzazione (privatizzazione) dell’apparato militare. Il primo di questi quattro punti – il sottodimensionamento della logistica – significa che le forze armate russe impiegano relativamente poco personale e poche unità per il supporto della componente combattente, comparativamente meno di quanto non avvenga nelle forze armate dei paesi occidentali. Ad esempio, la proporzione tra personale di supporto e personale combattente è di molto inferiore al rapporto 10:1 che si trova nell’esercito statunitense, e le unità di supporto sono mediamente di due ordini di grandezza inferiori rispetto a quelle di manovra (ovvero combattenti) invece di uno solo, come avviene in ambito NATO. Secondo i dati pubblicati dall’International Institute of Strategic Studies (IISS) a fronte della necessità di sostenere in tutto dodici armate e quattro corpi d’armata indipendenti la Russia disponeva nel 2021 di sole dieci brigate di supporto: dunque unità comparativamente piccole a supporto di un numero superiore di grandi unità.
Il secondo elemento, cioè la dipendenza delle forze armate russe dalla ferrovia, non risulta di per sé sorprendente se si considera che queste sono deputate alla difesa di un paese le cui estremità possono distare fino a 9.000 km tra loro e in cui le condizioni della rete stradale non sono sempre ottime. Questo fattore però limita considerevolmente la capacità russa di proiettare la forza all’esterno dei confini, perché un dispiegamento quantitativamente significativo (come quello avvenuto in Ucraina, di circa 200.000 uomini) richiede necessariamente di appoggiarsi alla ferrovia oppure pone sotto stress la scarsa quantità di mezzi e personale deputata al supporto di cui si è parlato poc’anzi. Lo scarto delle ferrovie (cioè la distanza tra i due binari) in Ucraina è lo stesso impiegato in Russia (un’eredità del periodo sovietico), ma chiaramente i punti di accesso alla rete da nord e da est sono stati manomessi dagli stessi ucraini quando sono iniziate le ostilità. Consapevoli che questo avrebbe reso le loro forze armate pesantemente dipendenti dalla (scarsa) quantità di camion disponibili per sostenere i loro sforzi in profondità, i militari russi hanno cercato di conquistare l’aeroporto di Hostomel per aprire un ponte di supporto aereo a sostegno delle operazioni nei pressi di Kiev, ma hanno fallito. Non è casuale che dopo i primi giorni di conflitto le avanzate più significative delle forze russe siano avvenute da sud, cioè dalla Crimea, perché dal 2019 è presente un ponte che collega la penisola alla Russia e che mantiene aperto il collegamento ferroviario.
L’impossibilità di potere contare sulle ferrovie obbliga i militari russi a basarsi sui camion, che sono pochi (dato il sottodimensionamento generale già discusso) e che possono condurre progressivamente sempre meno viaggi per unità di tempo man mano che le linee si estendono sul territorio avversario. Questo è stato un problema per i Russi nelle prime settimane dell’offensiva, quando le loro forze stavano ancora avanzando, e lo sarà ancora qualora riescano a tornare nuovamente all’offensiva perché – vale la pena ricordarlo – l’Ucraina è il secondo paese europeo per estensione geografica, dietro soltanto alla Russia, con una distanza tra il suo confine orientale e quello occidentale superiore ai 1.300 km. Oltre a essere pochi, i camion russi soffrono di cattiva manutenzione: attività che sono di routine per un automobilista, come il controllo dei livelli dell’olio o della pressione dei pneumatici, diventano tanto più importanti quando si mettono sotto stress mezzi e personale a causa del contesto di conflitto. Un camion sarà spinto verso il limite delle sue prestazioni più facilmente durante le ostilità, poiché l’equipaggio intende rimuoversi rapidamente dalle condizioni di pericolo e perché il mezzo deve sostenere il più alto numero di viaggi possibile. Il maggiore affaticamento del personale riduce la qualità della manutenzione quando questa è più necessaria, aumenta dunque il numero dei problemi, i quali affaticano ulteriormente il personale, riducono il numero di ricambi disponibili e, in ultima istanza, portano a un numero crescente di camion fuori servizio.
I rifornimenti via camion sono fonte di problemi anche per un’altra ragione: le condizioni complessive del dispiegamento russo li hanno resi un facile bersaglio. In Ucraina le stagioni primaverile e autunnale sono mediamente sinonimo di terreno fangoso, quindi non ideale per i mezzi ruotati. Il terreno diviene ancora più difficile a causa della bassa qualità e manutenzione dei pneumatici montati sui camion russi, il che forza i convogli di rifornimento a muoversi preferibilmente su strada. Questo rende prevedibili i loro tragitti, e rende i mezzi facilmente preda di attacchi, peraltro resi più semplici dal fatto che avvengono contro veicoli “morbidi”, cioè non corazzati e privi di strumenti atti a rispondere alle offese. Ogni camion messo fuori gioco significa meno rifornimenti per le truppe, o comunque tempi più lunghi di rifornimento, quindi minore coordinamento tra unità e tempi di operazione più lunghi.
Passando al quarto e ultimo punto, cioè corruzione e privatizzazione, è interessante notare come la Russia abbia cercato di imitare alcuni processi che hanno interessato le forze armate dei paesi occidentali, anche se riadattandoli e ottenendone esiti diversi. È noto ad esempio che la Russia ha fatto affidamento dal 2014 su Wagner, un soggetto che si è presentato internazionalmente come una azienda militare privata (o private military company), ma che di fatto altro non è che un proxy del Cremlino. Ancora prima che Wagner si imponesse nelle cronache internazionali, le forze armate russe hanno avviato un processo di esternalizzazione e riorganizzazione della logistica e dell’acquisizione dei sistemi d’arma creando nel 2008 un’unica grande azienda partecipata statale deputata a coordinare le attività con i vari fornitori: Oboronservis. Tuttavia, come è tipico dei regimi autoritari in generale e di quello russo in particolare, questo tipo di esternalizzazione ha generato numerose occasioni di corruzione e, in ultima istanza, ha portato a un incremento dei costi a fronte di una ridotta qualità dei beni e dei servizi ricevuti. I deficit di Oboronservis, osservati anche in uno studio del ministero della Difesa svedese del 2013, hanno raggiunto una magnitudo tale da imporre le dimissioni del ministro della Difesa Anatoli Serdiukov nel 2012, e hanno imposto una parziale marcia indietro, che però non è stata sinonimo di fine della corruzione e di risoluzione delle varie deficienze della logistica militare, per le quali Oboronservis si presentava come soluzione.
I problemi presentati, nel loro complesso, sono stati una delle ragioni per le quali i diversi assi di avanzata russa in Ucraina sono stati scoordinati sia al loro interno sia tra di loro, e hanno prodotto, tra le altre cose, la mostruosa colonna di veicoli di circa 60 km che a lungo è rimasta dispiegata a nord-ovest di Kiev senza condurre alcuna operazione. Nello spiegare le scarse performance della macchina militare russa – al netto della ferma opposizione militare ucraina – hanno di certo il loro peso anche altri difetti strutturali oltre alla logistica (come menzionato in apertura di questo breve articolo e come discusso in un altro pezzo presente su questo numero di Human Security), ma il fatto che le falle siano molte – e non una sola – certamente non è un punto di forza. I numeri della potenza militare russa sono dunque davvero ingannevoli e tendono ad amplificare una percezione di potenza che nei fatti va rivista al ribasso.
Resta però da chiedersi: come mai gli stessi apparati militari russi parevano essere ignari delle loro manchevolezze? La risposta a questa domanda può essere ricercata in due diverse direzioni. In primo luogo, la Russia non ha più condotto grosse operazioni militari al di fuori dei propri confini dai tempi della guerra in Afghanistan (1979-1989), nel corso della quale peraltro aveva già dimostrato alcune delle carenze in ambito logistico nuovamente tornate in luce oggi. L’intervento in Siria avvenuto a partire dal 2015 ha visto al picco dello sforzo un dispiegamento di 4.000 militari, affiancati dai 2.000 mercenari di Wagner (contro i circa 200.000 soldati inviati in Ucraina), e nel suo complesso la Russia non ha mai avuto più di 20.000 soldati dispiegati al di fuori dei propri confini. È dunque la prima volta da molti decenni che le forze armate russe sono sottoposte a questo tipo di sforzo. In seconda battuta, non va sottovalutato il potenziale ruolo giocato dalle disfunzioni dell’autoritarismo, in cui ogni subordinato racconta al superiore ciò che quest’ultimo vuole sentirsi dire, e in cui la corruzione si diffonde a vari livelli (anche semplicemente come maniera di sbarcare il lunario).
In conclusione, cosa dicono i difetti della logistica russa circa il futuro della guerra in Ucraina? I problemi evidenziati non solo sono numerosi, ma sono anche strutturali e dunque non di rapida né facile soluzione. La Russia dispone di assetti e capacità per contenere o ridimensionare in parte le sue deficienze, per esempio ridirezionando (come già sta facendo) gli sforzi maggiori presso i propri confini e i nodi ferroviari attivi (est e Crimea). Tuttavia, resta assai improbabile che la Russia riesca ad affrontare in maniera risolutiva tutti i nodi chiave a guerra in corso, acquisendo le capacità logistiche che le sarebbero necessarie per condurre attività in profondità o dal tempo operativo più rapido. Questo vuol dire che, nonostante il gigantismo militare e le ambizioni, la Russia non è stata, non è e non sarà nelle condizioni di ottenere una vittoria militare rapida e schiacciante sull’Ucraina, e dunque, se intende conseguire risultati manu militari, deve da un lato ridimensionare le proprie ambizioni e dall’altro provare a giocare una partita lunga in cui la differenza di taglia possa giocare a proprio vantaggio.
Per saperne di più
Institute for the Study of War (ISW) Russian offensive campaign assessment. understandingwar.org.
Vershinin, A. (2021) Feeding the bear: A closer look at Russian Army logistics and the fait accompli. War on the Rocks.
Wezeman, S.T. (2020) Russia’s military spending: Frequently asked questions. SIPRI Commentary.
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