[CHINA POLICY LAB] La migrazione cinese in Italia. Strategie di adattamento, imprenditorialità, e mobilità sociale

Il China Policy Lab è un’iniziativa di condivisione delle agende di ricerca sulla Cina contemporanea, organizzata e ospitata dal Center for Italian Studies della Zhejiang University

L’intervento al China Policy Lab di Daniele Cologna, sociologo e sinologo, docente di Lingua e cultura cinese presso l’Università degli Studi dell’Insubria e membro del Comitato di redazione di OrizzonteCina, prende le mosse dalla necessità di dare dettaglio e profondità all’analisi della migrazione cinese in Europa, fenomeno troppo spesso derubricato o strumentalizzato da agende politiche e mediatiche poco attente alle sue effettive dinamiche e implicazioni. La migrazione cinese, in particolare, è percepita sempre più diffusamente come una minaccia, essendo associata nell’immaginario collettivo a forme d’illegalità che vanno dallo sfruttamento del lavoro all’autosegregazione, ritenute prassi tipiche della cultura “cinese”. In realtà, un primo passo essenziale per superare gli stereotipi più comuni consiste proprio nel contestare la legittimità dell’appellativo “cinese”, se con questo si vuole intendere l’esistenza di un gruppo culturale monolitico che abbraccia la totalità dei cinesi d’oltremare e di quelli in patria. Il livello identitario in cui si collocano i cinesi d’Italia, ad esempio, è definito su una scala regionale ben più ristretta, con precisi usi, costumi, dialetti ed esperienze di vita condivise.

Nel corso delle sue ricerche Cologna ha ricostruito le storie personali e familiari di questa popolazione, identificando nelle aree limitrofe alla città di Wenzhou (Zhejiang meridionale, estuario del fiume Ou Jiang), e in particolare nei distretti di Wenzhou-Ouhai (温州-瓯海), Wencheng (文成), Rui’an (瑞安) e Qingtian (青田) il luogo d’origine di circa l’80% dei cinesi presenti nel nostro paese. Nonostante la vitalità economica e commerciale, Wenzhou si è tradizionalmente posta in contrapposizione rispetto a centri urbani più avanzati, come Shanghai o Shenzhen, dove i piani di sviluppo del governo cinese hanno giocato un ruolo di primo piano. Gli abitanti di Wenzhou hanno elaborato autonomamente un proprio modello economico di successo, affidandosi a una proverbiale propensione per l’imprenditorialità corroborata da estese reti di guanxi, e solo in misura residuale al sostegno dello Stato-Partito. La stessa vena imprenditoriale che ha reso Wenzhou un centro economico di successo, specialmente negli anni ‘80 e ’90 del secolo scorso, ha consentito ai migranti provenienti da qui di attuare oltremare strategie di adattamento, resilienza e perfino ascesa sociale. Wenzhou è stata la dimostrazione che è possibile far fiorire nicchie di economia di mercato in un contesto economico nazionale rigidamente impostato dall’alto, grazie all’autofinanziamento, al risparmio, alle reti parentali e di supporto.

L’analisi di Cologna si è focalizzata sulla comparazione tra realtà italiana e tedesca per elaborare un sfondo su cui apprezzare dettagli e differenze tra le strategie d’integrazione degli immigrati cinesi nei diversi contesti. Quali sono le prassi adottate, quali le motivazioni e le aspirazioni? Soprattutto, esiste un modello generale d’integrazione? La risposta all’ultimo quesito è chiaramente negativa. Non solo l’immigrazione cinese in Europa non può essere spiegata adottando modelli elaborati altrove (Nord America o Sud-est asiatico), ma il focus dell’analisi dovrebbe essere riposizionato verso il ruolo giocato dalle pratiche politiche, istituzionali e legislative dei singoli paesi ospitanti. Normative del mercato del lavoro, welfare, sistema fiscale: sono questi gli elementi che più di ogni altro definiscono quali siano le intenzioni e le aspettative che vengono proiettate su un certo gruppo di migranti, come già Kloosterman, van der Leun e Rath avevano teorizzato coniando il concetto di mixed embeddedness.

Non si possono comprendere le prassi verso cui si orientano gli immigrati cinesi – così come tutti gli altri migranti – senza valutare quali sono le politiche a cui tali comportamenti cercano di rispondere. In Italia vi è una vasta differenziazione tra piccola imprenditorialità cinese, specializzata in servizi (ristoranti, bar, barbieri, sartorie, negozi alimentari) e manifattura (tappezzerie, maglierie, mobilifici ecc.). In Germania, al contrario, i cinesi impiegati nella manifattura sono un numero esiguo, fatta eccezione per pochissimi lavoratori provvisti di alte qualificazioni in settori tecnologicamente avanzati. Quali sono le ragioni per tali differenze e perché l’Italia è ancora una destinazione importante per l’emigrazione cinese verso l’Europa (a oggi circa 300.000 residenti), nonostante la crisi economica? Una delle motivazioni principali è che il 25% del Pil italiano è generato da attività produttiva che avviene al di fuori dal sistema dei controlli del mercato del lavoro. La Germania, al contrario, presenta un sistema estremamente più regolato e controllato, dove il lavoro sommerso prospera difficilmente. I lavoratori in nero, pur presenti, possono collocarsi esclusivamente in alcuni interstizi dell’economia tedesca, ma non nella produzione manifatturiera, dove i controlli sono più stringenti. Anche mettersi in proprio è una sfida quasi impossibile per il migrante cinese in Germania, a causa delle forti restrizioni sull’ottenimento del permesso di soggiorno e dei requisiti per creare un’impresa.

Da qui risposte adattive differenti: la rilassatezza e scarsa applicazione delle norme in Italia permette ai migranti cinesi d’inserirsi come forza lavoro a basso costo, per poi cominciare un percorso di mobilità sociale verso l’alto che, dopo vari stadi, consente loro di approdare a lavori più sicuri, monitorati, regolamentati, spesso a più alto margine di profitto. Accade dunque che da una situazione di partenza caratterizzata da scarsissima competenza linguistica e bassa capacità economica si possa approdare, dopo anni di lavoro, guanxi e sostegno da parte dei figli, a una condizione di alta competenza linguistica e ottima disponibilità economica. Questo permette ai migranti cinesi di ripagare il debito di liquidità contratto inizialmente con amici e parenti per riuscire a emigrare. Ma non è solo la disponibilità economica iniziale a permettere l’inserimento nel nostro paese. Altrettanto importanti sono le informazioni e la rete di supporto garantita dai “compaesani” (laoxiang, 老乡) arrivati in precedenza. Ciò spiega il grande attaccamento alla propria terra d’origine, il ruolo della famiglia e del lignaggio, e la fierezza che contraddistingue i cinesi in Italia. Ben lungi dal percepirsi come vittime, essi sono piuttosto guidati dalla fedeltà familiare e da un grande ethos del lavoro e dell’imprenditorialità. In questo senso, decostruire l’illusoria omogeneità che la percezione pubblica proietta sui cinesi in Italia è un primo passo fondamentale, così come lo è ricordare che sono la società e le istituzioni italiane a edificare buona parte della cornice entro cui essi si muovono, lavorano, vivono e sognano.

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