Al di là del muro: tra vecchi equilibri e nuove dinamiche

Human Security n. 8

I recenti avvenimenti del Mar d’Azov e il rapido approssimarsi delle elezioni ucraine hanno nuovamente portato sotto gli occhi del mondo non solo la regione del Donbass, ma tutta l’area un tempo sottoposta all’influenza sovietica. Se nel solo conflitto ucraino si contano oltre diecimila morti dal 2014 a oggi, le tensioni tra le diverse identità politiche rimangono altissime e le dinamiche geopolitiche quantomeno rischiose.

L’ottavo numero di Human Security volge così lo sguardo a est, concentrandosi su una delle aree di conflitto più discusse e tormentate degli ultimi decenni. Dalla penisola balcanica alle cime caucasiche,  la dimensione della sicurezza pone interrogativi cronici ed eterogenei, che dalla scena internazionale si estendono a quella locale, diventando fonte di preoccupazione quotidiana.

Oggi come trent’anni fa, la chiave di volta della regione risiede a Mosca. Se il crollo dell’Unione Sovietica aveva lasciato un improvviso vuoto di potere, dall’altra parte della “cortina di ferro” le risorse politiche e strategiche per imprimere un’accelerazione decisa al processo di democratizzazione dell’ex blocco sovietico sono state – e sembrano essere tutt’ora – insufficienti. In questo quadro, Irina Busygina, docente presso la Higher School of Economics di San Pietroburgo, evidenzia il fallimento della strategia temporeggiatrice dell’Unione Europea: le grandi speranze democratiche degli anni Novanta si sono oggi scontrate con la realpolitik e i modi autoritari del Cremlino, sempre meno disposto a tollerare intrusioni in quelle che considera aree di esclusiva influenza russa.

Al contempo, le relazioni politiche appaiono fortemente compromesse dalla paralisi nel processo di pace in Ucraina; il conflitto iniziato nel 2014, infatti, ha trovato nel febbraio 2015 un equilibrio tutt’altro che stabile. Analizzando i tre pilastri degli accordi di Minsk, Giulio Benedetti, studente presso la Higher School of Economics di San Pietroburgo, sottolinea lo stallo nel rispetto dei termini di pace, con i separatisti reticenti a sottomettersi nuovamente al controllo di Kiev che, dal canto suo, non sembra intenzionata a garantire quegli ampi margini di autonomia costituzionale che erano stati invece determinanti per il raggiungimento del cessate il fuoco. Il malcontento della popolazione e le difficoltà economiche, d’altra parte, creano un clima politico che, a pochi mesi dalle elezioni presidenziali, appare pericoloso.

Il disegno strategico di Mosca, al contrario, risulta saldo e coerente. Negli ultimi vent’anni Putin ha coagulato un ampio consenso intorno al suo disegno di restaurazione della Russia quale potenza protagonista dello scenario internazionale. Gabriele Natalizia, docente e ricercatore presso la Link Campus University, evidenzia come il presidente russo abbia instradato la propria linea politica su due binari che corrono in direzione opposta all’approccio multilivello e consensuale dell’Unione Europea: l’accentramento autoritario in reazione alle spinte autonomiste e il ripristino di una zona d’influenza politica esclusiva. Se i metodi di Mosca hanno suscitato forti impressioni nell’opinione occidentale, a Stati Uniti e Unione Europea è mancata però la determinazione politica a supportare alleati geograficamente remoti, come evidenziato dal conflitto georgiano del 2008.

Proprio il Caucaso appare come uno dei contesti dove le tensioni regionali risultano maggiormente esplosive. In un territorio punteggiato dalle rivendicazioni identitarie – nota Marco Valigi, docente e ricercatore presso l’Università degli studi di Bologna – la svolta verso un maggior interventismo della nuova amministrazione Trump rischia di sconvolgere i fragili equilibri attuali, rendendo nuovamente possibili i conflitti per procura, o proxy war.

Il carattere identitario del conflitto, d’altronde, resta pericolosamente vivo anche nei Balcani e soprattutto in Kosovo dove, a quasi vent’anni dalla fine della guerra, il processo distensivo tra la popolazione serba e quella kosovara resta difficile. Prendendo in considerazione l’enclave serba di Velika Hoča, Francesco Trupia, dottorando presso la Sofia University St Kliment Ohridski e collaboratore per il Forum for Glocal Change, sottolinea come la dimensione locale e la sfera del quotidiano, spesso trascurate dalle analisi top-down, rappresentino nuove sfide e opportunità per comprendere le relazioni tra Serbia e Kosovo.

Proprio la popolazione locale ritrova centralità nel quadro della missione OSCE in Kosovo (OMiK). William Brame, Lead Advisor presso EUAM, e Giuseppe Lettieri, membro del Department of Security and Public Safety dell’OSCE al momento della stesura dell’articolo, concludono questo numero di Human Security evidenziando i risultati del processo di riforma del settore della sicurezza (Security Sector Reform, SSR) nell’area di Ferizaj-Uroševac. Ponendo al centro della formazione delle forze di polizia il rapporto con le vittime di violenza, il progetto pilota “Confidence and Satisfaction in the Kosovo Police” ha aumentato la fiducia dei cittadini rispetto alle forze di polizia e, di conseguenza, contribuito a una rinnovata legittimità delle istituzioni locali, determinante per la riuscita dell’intera missione di pace e per la stabilità del paese.

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