A un anno dalla diffusione globale dell’epidemia di Covid-19 a partire dal suo originario epicentro nella città di Wuhan, si moltiplicano sui media italiani le retrospettive dedicate alla distopia in cui è piombato l’intero pianeta. Il primo paese in cui si siano evidenziati dei focolai epidemici fuori dalla Cina è anche il primo paese in cui si sono attivate risposte della società civile all’emergere di reazioni discriminatorie nei confronti dei cittadini cinesi che vi risiedono da tre generazioni. In questo senso l’Italia ha anticipato altri paesi occidentali, marcando una sua specificità per le numerose e partecipate iniziative di solidarietà ai cinesi d’Italia e alla Cina che si sono susseguite fino a ridosso dell’emersione del focolaio di Codogno, dove il Covid-19 venne diagnosticato per la prima volta ad un paziente italiano il 21 febbraio 2020. Tra le diverse riletture di quella breve fase iniziale, dal momento in cui l’epidemia si manifestò in Cina con la drammatica “chiusura totale” della megalopoli di Wuhan, al giorno dell’arrivo della pandemia nel nostro paese, colpisce l’affermazione in Italia di una narrazione volta a negare o sminuire qualsivoglia impatto del pregiudizio anticinese.
Questa visione autoassolutoria e completamente autoreferenziale, nel senso che è generalmente impiegata da una parte politica (tendenzialmente la destra) per criticarne un’altra (generalmente la sinistra), serpeggia da tempo di piattaforma in piattaforma, dalla stampa alla televisione, dai social pubblici alle chat di amici e parenti. Spesso si impernia su una domanda retorica: “ma vi ricordate quando sembrava che il problema fosse il razzismo”? Abbonda la satira politica in cui si mettono alla berlina i politici che si affrettarono ad “abbracciare un cinese” o a farsi fotografare in affollate cene solidali nei locali cinesi delle principali città italiane. Celebre il caso del segretario del Partito democratico Luca Zingaretti, reo di aver partecipato a un aperitivo solidale – si parlava, già allora, di “riaprire le città” – e poi puntualmente “punito” con il contagio. Non mancano presunti scoop: a boicottare i locali cinesi nel gennaio e febbraio scorsi, non sarebbero stati gli italiani xenofobi, bensì i cinesi stessi, che per primi capirono la gravità del pericolo, ma pensarono solo a proteggere sé stessi.
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