Nel corso della sua storia millenaria, l’impero cinese non ha mai avuto un sistema uniforme ed articolato di protezione della proprietà intellettuale. Secondo il parere di molti studiosi, la protezione delle opere letterarie sarebbe nata insieme e come conseguenza dell’invenzione e introduzione della stampa. Tuttavia, il mondo occidentale e la Cina hanno seguito percorsi storici molto diversi.
In Occidente si è assistito alla nascita di un importante concetto del tutto assente nella storia e mentalità cinese: quello secondo cui l’autore o l’inventore devono essere trattati quali “proprietari” delle loro creazioni e ottenere quindi la protezione da parte dello Stato nei confronti di appropriazioni o utilizzi indebiti. In Cina ci sono in effetti stati, fin dalla prima età imperiale, casi sporadici di protezione di opere, ma per tutelare il potere imperiale, non l’individuo. Non si trova traccia di “brevetti”.
Nella mentalità cinese manca l’idea che la creazione intellettuale sia di proprietà del suo autore, sia esso un individuo o un altro soggetto. Secondo la tradizione cinese, la conoscenza ha piuttosto natura di bene pubblico ed è quindi comune. Lo stesso Confucio era solito sostenere di non aver creato conoscenza, ma di essersi limitato a trasmetterla.
I primi cambiamenti si manifestarono verso il finire del secolo XIX: il forte sviluppo economico da un lato e la crescente partecipazione del paese ai traffici commerciali internazionali dall’altro hanno col tempo condotto a molteplici problemi in materia di protezione della proprietà intellettuale, soprattutto per quanto riguarda la contraffazione dei marchi. Ciò nonostante, la Cina non ha inizialmente aderito alla Convenzione di Berna del 1886 per la protezione delle opere letterarie e artistiche, rendendo così il commercio con e in Cina estremamente difficile e rischioso per gli operatori stranieri. Alcuni decenni più tardi, grazie alla pressione esercitata da alcuni paesi occidentali (in modo particolare Stati Uniti, Europa e Canada), la dinastia Qing iniziò a introdurre nella propria legislazione interna i concetti di protezione dei marchi prima e delle opere dell’ingegno e dei brevetti poi.
Durante i primi anni di vita della Repubblica popolare cinese, era comunque ancora lo Stato ad essere visto come principale, se non unico, beneficiario della protezione della proprietà intellettuale. Durante la Rivoluzione Culturale si cominciò a pensare che la protezione della proprietà intellettuale fosse funzionale alle “quattro modernizzazioni” (agricoltura, industria, scienza e tecnologia). Il governo cinese adottò in seguito tre leggi sulla protezione rispettivamente dei marchi, delle opere dell’ingegno e dei brevetti, e ha aderito ad alcune tra le fondamentali convenzioni in materia. Nessuna di queste può essere però paragonata, quanto a completezza, organicità e conseguenze, all’Accordo sui diritti di proprietà intellettuale relativi al commercio (Trips) del 1994, con cui la Cina si trova ora a dover fare i conti, come conseguenza della sua adesione all’Organizzazione mondiale del commercio (Omc).
L’accordo Trips è stato infatti promosso dall’Omc. Nonostante il celere percorso di socializzazione di Pechino a molte norme occidentali susciti un certo ottimismo tra i giuristi, gli operatori economici restano estremamente prudenti: se in un primo tempo le matrici culturali potevano essere d’ostacolo all’elaborazione di una compiuta cornice legislativa a tutela del patrimonio intellettuale, ora è chiaro che la tutela dei diritti si scontra soprattutto con corposi interessi economici.
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