La natura fluida degli scambi nel Sud-Est asiatico, unita alla mutevolezza delle leggi che li regolano, ha fatto oscillare nel tempo i volumi delle diverse attività illegali che attraversano la regione. Eppure, un crimine in particolare si è mantenuto costante nelle sue molteplici forme: il contrabbando.
A causa delle caratteristiche geomorfologiche dell’area, la maggior parte di queste attività si concentra lungo i confini, sia terrestri sia marittimi. Organizzazioni criminali, contrabbandieri occasionali e trafficanti di esseri umani si muovono quotidianamente attraverso la regione, trasportando carichi illeciti di ogni tipo: droghe, carburanti, merci commerciali, armi, rifugiati, migranti e persone rapite e trasferite contro la propria volontà. Le forze dell’ordine intercettano quotidianamente spedizioni di metanfetamine, diesel, oli alimentari, eroina, cannabis, ecstasy, tabacco, animali protetti o in via d’estinzione, e persone che attraversano illegalmente le frontiere. Sebbene gran parte del contrabbando marittimo avvenga su piccole barche e pescherecci, una quota sempre più rilevante si sposta oggi su navi convenzionali come porta container, petroliere e superpetroliere. I motivi principali sono due: da un lato, la difficoltà di ispezionare interamente i carichi per ragioni di tempo e costi; dall’altro, la crescente partecipazione a queste redditizie attività di attori strutturati e ben organizzati, spesso con legami più o meno diretti con le autorità locali.
Le autorità doganali di molti Paesi, come Hong Kong, documentano scrupolosamente in registri pubblici ciò che riescono a confiscare grazie a operazioni coordinate di intelligence. Si va da chili di eroina e anfetamine nascosti in confezioni di biscotti, per un valore di mercato di circa diciassette milioni di dollari[1], a prodotti elettronici per un valore di trenta milioni[2]. Le navi coinvolte provengono da Paesi limitrofi come Vietnam, Malaysia e Indonesia, ma sono spesso dirette verso destinazioni ben più lontane. Gli arresti dei membri dell’equipaggio vengono spesso resi pubblici, ma raramente queste operazioni si concludono con sanzioni nei confronti delle imbarcazioni o delle compagnie di navigazione. Questo suggerisce che, anche quando il contrabbando viene scoperto, difficilmente comporta ritardi o danni per gli affari delle aziende coinvolte, che nella maggior parte dei casi sono perfettamente consapevoli della natura delle operazioni, lecite o meno.
Un esempio utile per comprendere la complessità del fenomeno è il traffico illecito di carburante. Alcuni Paesi del Sud-Est asiatico, come Bangladesh, Indonesia e Malaysia, beneficiano di forti sovvenzioni statali sui carburanti, per motivi prevalentemente politici. Altri Stati confinanti, invece, comprano e vendono lo stesso carburante ai prezzi del mercato internazionale. Da qui nasce un sistema articolato in cui un’intera flotta di imbarcazioni e pescherecci — spesso modificati con serbatoi nascosti — si muove nelle acque agitate della regione. Queste imbarcazioni si coordinano con piccole petroliere per ricevere, stoccare e redistribuire carburante attraverso operazioni nave-a-nave in mare aperto o appena fuori dalle acque territoriali. Si tratta di vere e proprie zone grigie, al confine tra legalità e illegalità. Tutti i membri degli equipaggi coinvolti sanno benissimo che queste attività violano diverse leggi nazionali e internazionali. Anche le petroliere con cui si coordinano sono pienamente consapevoli dell’illiceità delle operazioni. Per i piccoli trasportatori — spesso pescherecci — il rischio è contenuto e il profitto elevato: possono continuare la loro attività senza dover tornare in porto, acquistando carburante a prezzi vantaggiosi e rivendendolo, moltiplicando così gli incassi di una singola uscita in mare e risparmiando tempo e risorse.
Ma quando si parla di “pirati silenziosi”, occorre distinguere chiaramente queste attività dai pescherecci contrabbandieri. Se è relativamente facile, in questa regione, ottenere documentazione falsa per comprare e vendere carburante anche a imbarcazioni ignare di questi schemi, il rischio aumenta notevolmente in caso di controlli doganali: in quei casi, infatti, la confisca della nave e l’accusa di frode diventano molto più probabili.
Per questo motivo, l’approvvigionamento illecito di carburante comincia con il dirottamento di piccole petroliere impegnate nel commercio locale, ad opera di pirati locali, più o meno organizzati. L’attacco viene condotto da piccole imbarcazioni a motore, agili e discrete, che partono da petroliere fantasma usate come nave madre. Una volta intercettata, le barche pirata attraccano la nave vittima e la dirigono verso la nave madre. I pirati sono solitamente armati in modo leggero e si confondono facilmente tra gli equipaggi locali. Il trasferimento avviene tramite accostamento delle due petroliere, senza che vi sia un reale sequestro. Terminato il trasbordo, nave ed equipaggio vengono rilasciati, spesso con i sistemi di comunicazione distrutti e, non di rado, dopo maltrattamenti al personale di bordo.
La differenza tra pirateria occasionale e operazioni più strutturate è evidente: sempre più spesso, il contrabbando avviene con il consenso di grandi petroliere che operano eludendo sanzioni internazionali, ad esempio trasportando carburante dall’Iran, dal Venezuela o, più recentemente, dalla Russia verso la Cina o la Corea del Nord. Emblematico è l’incidente del gennaio 2021[3], quando le autorità indonesiane confiscarono due superpetroliere battenti bandiera iraniana e panamense. Si scoprì che metà dell’equipaggio era cinese e che le navi erano dirette in Cina. Entrambe risultavano sanzionate in base a restrizioni unilaterali contro l’Iran. La Cina, come spesso accade anche nei rapporti con la Corea del Nord, tende ad allinearsi alle sanzioni solo quando questi traffici minacciano di incrinare le relazioni bilaterali, ad esempio con gli Stati Uniti, più che per rispetto del diritto internazionale – un comportamento condiviso anche da molti altri Paesi della regione, Indonesia inclusa. In quell’occasione, infatti, le petroliere furono fermate per comportamenti sospetti, ma le autorità evitarono ogni riferimento a dinamiche geopolitiche, invocando unicamente norme nazionali — una strategia comune nel contesto della vastità delle acque territoriali indonesiane. Nel caso specifico, le due navi erano affiancate, impegnate nel trasbordo di petrolio, al largo di Kalimantan, fuori dalle rotte di transito consentite dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS). Erano ferme da ore, in silenzio radio, senza bandiera, con il sistema di identificazione automatica spento e i nomi delle navi occultati: tutte violazioni compiute deliberatamente, con il consenso tacito dell’equipaggio. A rendere ancora più eclatante la scena, una perdita di carburante generata durante il trasbordo si era estesa per miglia, spinta dalle correnti, attirando l’attenzione delle autorità.
Con le superpetroliere, fortunatamente, la stessa stazza rende più complesse e visibili le operazioni di contrabbando. È quanto accaduto nel dicembre 2023[4], e precedentemente nell’ottobre 2022, quando una superpetroliera si arenò nello Stretto di Singapore. Inizialmente si temette una catastrofe ambientale, ma presto emerse un copione ben noto, con bandiere e modalità identiche ad altri casi. In quell’episodio, il contrabbando aveva anche implicazioni legate al finanziamento di gruppi come Hezbollah e la Guardia Rivoluzionaria Islamica. Non vi fu alcuna crisi ambientale.
È chiaro quindi come questo tipo di contrabbando, attivo lungo tutte le zone di frontiera tra acque territoriali e internazionali, venga condotto con vari gradi di informalità da una flotta eterogenea per dimensioni, mezzi e finalità. Se nei casi più eclatanti — come quelli delle superpetroliere — le autorità riescono talvolta a intervenire, ben più difficile è il contrasto alle operazioni minori ma capillari, condotte da migliaia di pescherecci e piccole imbarcazioni. Dato quindi il limitato impatto delle conseguenze rispetto alla confisca o all’arenarsi di una superpetroliera, è plausibile che questo fenomeno continui indisturbato anche negli anni a venire.
[1] The Government of the Hong Kong Special Administrative Region (2022). “Hong Kong Customs detects two dangerous drugs cases and seizes suspected dangerous drugs worth about $17 million”, 16 novembre, disponibile online al sito: https://www.info.gov.hk/gia/general/202211/16/P2022111600557.htm .
[2] Customs and Excise Department (2024). “Hong Kong Customs detects smuggling case involving ocean-going vessel and electronic goods worth about $100 million”. The Government of the Hong Kong Special Administrative Region, 25 ottobre, disponibile online al sito: https://www.customs.gov.hk/en/customs-announcement/press-release/index_id_4368.html
[3] Darmawan A. R. (2021), “Why Indonesia seizing an Iranian tanker is purely over domestic law”, The Interpreter, 1 febbraio, disponibile online al sito: https://www.lowyinstitute.org/the-interpreter/why-indonesia-seizing-iranian-tanker-purely-over-domestic-law .
[4] The Maritime Executive (2023), “Dark Fleet Tanker Runs Aground Near Singapore”, 7 dicembre, disponibile online al sito: https://maritime-executive.com/article/dark-fleet-tanker-runs-aground-near-singapore
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