[IT] Il ventesimo anniversario della Risoluzione 1325 su donne, pace e sicurezza, adottata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel 2000, ha rinnovato il dibattito e la riflessione di governi, politici, professionisti e accademici sul ruolo delle donne nei conflitti, nella prevenzione degli stessi e nelle loro conseguenze. Ciononostante, i progressi fatti sull’inclusione delle donne nei processi di pace – come in Afghanistan – e di ricostruzione post-conflitto sono stati e sono tuttora lenti e insufficienti: nel migliore dei casi il cambiamento, più fondamentale, in termini di relazioni di genere nelle società post-conflitto (anche durante la pandemia) è stato solo incrementale; nel peggiore dei casi è in regresso. Allo stesso tempo, alcuni sforzi di ricostruzione post-conflitto – come i programmi di disarmo, smobilitazione e reintegrazione (Disarmament, Demobilisation and Reintegration – DDR) o i processi di restituzione delle terre – rafforzano le diseguaglianze esistenti o addirittura ne creano di nuove.
[IT] Nonostante le donne partecipino, da sempre e a vario titolo, a conflitti armati in tutto il mondo, esse tendono a scomparire dai radar durante il periodo di transizione tra guerra e pace. Ciò è particolarmente vero per le donne soldato. Le ex-combattenti non si siedono ai tavoli di pace a cui al massimo sono invitate solo le rappresentanti di organizzazioni di donne più convenzionali che ci si aspetta parlino a nome di tutte le donne e le ragazze. Le ex-combattenti non sono attivamente incoraggiate a partecipare ai programmi di disarmo, smobilitazione e reintegrazione (Disarmament, Demobilisation and Reintegration – DDR), e tanto meno incluse nella loro pianificazione. Mentre i comandanti uomini fanno pressioni per includere i loro uomini e ragazzi, le donne e le ragazze devono cavarsela da sole.
[IT] In un noto articolo pubblicato nel 1988 sulla New Left Review[1], due anni dopo la caduta del regime cleptocratico di Ferdinand E. Marcos, lo storico e politologo Benedict Anderson definì le Filippine di allora una “democrazia cacique”, intendendo indicare con questo termine un sistema di potere in mano a un esiguo numero di clan politici familiari che detenevano le redini dell’economia e che esercitavano una certa influenza all’interno dei propri distretti elettorali.
[IT] Viet Thanh Nguyen è un autore americano di origine vietnamita, divenuto famoso a livello mondiale per Il Simpatizzante, sorprendente romanzo d’esordio vincitore del Premio Pulitzer per la narrativa, pubblicato in Italia nel 2016, e già recensito nel vol. 2, n. 4 di RISE. Non c’è dubbio che questo saggio viene pubblicato sulla scia del successo precedente: la stessa quarta di copertina, dopo una breve citazione del testo, riporta tre estratti da recensioni di stampa che lodano Il Simpatizzante. Perciò è giustificato un certo scetticismo del lettore che prende in mano il testo sospettando un’operazione editoriale di mercato – scetticismo che però svanisce dopo le prime pagine.
[IT] Questo articolo colloca l’ascesa e la persistente popolarità del presidente Rodrigo Duterte all’interno di una storia intellettuale del liberalismo filippino. Per prima cosa, si procede ad analizzare la storia della tradizione liberale filippina dagli inizi del XIX secolo, ovvero ancor prima che diventasse il pensiero dominante dell’élite politica nel secolo successivo. L’articolo riconosce, poi, che il “Dutertismo”, l’ideologia e la pratica dominanti nell’attuale contesto politico filippino, è sia una reazione sia un attacco a questa tradizione. La conclusione è che la crisi generata dall’elezione di Duterte rappresenta per il liberalismo nelle Filippine l’occasione di un generale ripensamento per affrontare le sfide poste davanti a un Paese di quasi centodieci milioni di abitanti.