Il Sud-Est asiatico rappresenta un caso di studio peculiare per l’analisi delle regioni di confine. Le spinte dei processi di globalizzazione, l’integrazione economica e istituzionale, nonché i fenomeni migratori interregionali non hanno scalfito la rigidità dei confini interstatali. Inoltre, l’assenza di un corrispettivo ASEAN agli accordi di Schengen genera una contraddizione fondamentale: al rigido controllo statale delle frontiere si contrappone un’inevitabile porosità, alimentata da una profonda interdipendenza regionale.
Tale contraddizione risulta ancor più evidente se si guarda all’area della penisola malese e dell’arcipelago indonesiano. Qui, lo Stato Federale della Malaysia, la Repubblica di Indonesia e quella di Singapore sono legati da profonde connessioni economiche, flussi migratori, e da una serie di accordi istituzionali che vanno ben oltre la mera appartenenza all’ASEAN, come il “triangolo di crescita” SIJORI (Singapore-Johor-Riau) che dal 1989 facilita l’integrazione economica tra la regione malesiana meridionale di Johor, Singapore e le isole indonesiane Riau, o la più recente zona economica speciale tra Johor e Singapore. Paradossalmente, l’integrazione di quest’area geografica non nasce dall’omogeneità, ma da profonde differenze strutturali che rendono i tre Stati reciprocamente dipendenti: Singapore offre il capitale ma è priva di risorse naturali, mentre l’Indonesia fornisce manodopera a basso costo. Questa controintuitiva integrazione vale sia per l’economia legale sia per quella illegale, in cui attività criminali transnazionali prosperano parallelamente ai regolari e ingenti flussi di migranti. All’interno di questa cornice, il fenomeno del pendolarismo quotidiano tra lo stato malaysiano di Johor e Singapore emerge come l’espressione più tangibile delle asimmetrie economiche regionali, nonché delle contraddizioni strutturali che regolano i movimenti di persone, capitale e lavoro nell’area. Analizzare le traiettorie quotidiane di questi lavoratori significa pertanto interrogarsi non solo sulle dinamiche di integrazione economica, ma anche sulle diseguaglianze sistemiche che tale mobilità rivela e riproduce.
Le esperienze individuali rendono concrete queste dinamiche. Kelly, cittadina malaysiana di 27 anni, lavora da oltre dieci anni in un negozio di ottica a Singapore, e vive a Johor Bahru, la capitale della regione di Johor. Dopo aver tentato invano di stabilirsi a Singapore – scoraggiata dall’elevato costo della vita – ha fatto ritorno oltreconfine. La sua giornata inizia alle cinque del mattino, e il viaggio di andata e ritorno le richiede circa quattro ore. Rientra ogni sera attorno alle otto, esausta. Con un basso livello di istruzione e prospettive lavorative limitate in Malaysia, dove in passato guadagnava solo 800 ringgit malesi a settimana – circa 160 euro – come impiegata a Kuala Lumpur, Kelly ha scelto il pendolarismo come strategia per accedere a un reddito altrimenti irraggiungibile. Una condizione simile si riscontra nella storia di Dan, 29 anni, impiegato in uno stabilimento di produzione di articoli di cancelleria a Singapore. Anche lui risiede in Malesia per contenere i costi abitativi, pur lavorando nella città-stato. A differenza di Kelly, Dan vive in una gated community situata a circa venti minuti dalla Sopraelevata che collega JB a Singapore, riuscendo così a ridurre i tempi di percorrenza. Per entrambi, il pendolarismo transfrontaliero rappresenta una risposta pragmatica alle disuguaglianze economiche regionali: una soluzione che permette loro di mantenere uno stile di vita di classe media, al prezzo però di un notevole impatto sulla salute fisica e mentale, oltre che sull’equilibrio tra vita lavorativa e privata[1].
Ogni giorno, circa 300.000 persone come Kelly e Dan attraversano la Sopraelevata e la Linkedua che, attraverso lo stretto di Johor, collegano la Malaysia a Singapore, per lavorare nella città-Stato. Questo viaggio dura in media tre ore totali ma nei casi più estremi il tragitto casa-lavoro può arrivare a sette ore[2]. Un tragitto così estenuante è giustificato da considerevoli vantaggi economici, che emergono chiaramente dal confronto tra i redditi di Singapore e quelli della Malaysia, pur essendo quest’ultima una delle nazioni più prospere dell’ASEAN. Nel 2022, ad esempio, il reddito familiare mensile medio a Johor si attestava a 6.879 ringgit (circa 1.400 euro): sebbene superiore alla media nazionale, questa cifra rappresenta appena il 21% di quella di una famiglia a Singapore. Tale disparità è la causa diretta dell’intenso flusso di pendolari che ogni giorno attraversa il confine in cerca di salari più alti.[3].
La vicinanza geografica di Johor con la città-Stato ha inoltre innescato la repentina crescita economica della regione, la cui popolazione è aumentata del 75% in meno di trent’anni, spinta sia dalla crescita demografica naturale sia dalla migrazione interna ed estera[4]. In prospettiva, si prevede che il PIL pro-capite raggiunga i 10.000$ per abitante entro il 2030 e che il processo di trasformazione strutturale continui[5]. Johor, grazie all’effetto “spill over” del miracolo economico singaporiano, è oggi una delle regioni più prospere e industrializzate della Malaysia, nonché il principale punto d’ingresso per i turisti nel Paese. È tuttavia Johor Bahru a beneficiare in particolar modo dalla vicinanza con Singapore ed è infatti da qui che parte la maggior parte dei pendolari. Le ragioni che rendono così attrattiva la vita dei pendolari, oltre alla possibilità di percepire un reddito superiore, sono il tasso di cambio favorevole al dollaro singaporiano rispetto al ringgit malesiano, l’inflazionatissimo mercato immobiliare di Singapore e il minore costo della vita a Johor. A ciò si aggiunge un fattore sociale: le politiche del mercato del lavoro malaysiano tendono a favorire la maggioranza malese-musulmana, spingendo le minoranze indiane e cinesi, sovrarappresentate tra i pendolari, a cercare opportunità altrove. Questa dinamica influenza significativamente anche la composizione demografica della regione, dove le minoranze etniche sono più presenti rispetto al resto del Paese.
La precarietà dei pendolari è aggravata da infrastrutture inadeguate. Quasi tutto il traffico si concentra su un unico ponte, chiamato la Sopraelevata, con oltre 440.000 transiti giornalieri, di cui circa 300.000 compiuti da lavoratori transfrontalieri, anche a causa dell’inadeguatezza dell’alternativo ponte Linkedua che collega i quartieri di Gelang Patah e Tuas[6]. Anche il servizio ferroviario è insufficiente. Tuttavia, sono in corso importanti sviluppi: attualmente è in fase avanzata un progetto mutuato dai governi dei due Stati per migliorare le infrastrutture che collegano le due sponde dello stretto. Il sistema di trasporto rapido Johor Bahru – Singapore (RTS Link), una ferrovia leggera che collegherà le due sponde in soli sei minuti, dovrebbe infatti essere completato nel 2026.[7]. Da Gennaio 2024 è inoltre in fase di sperimentazione un nuovo sistema di controllo dei documenti al confine che permetterà l’uso di QR code al posto dei passaporti fisici, consentendo transiti più rapidi[8].
Un’altra importante variabile che influenza la durata del viaggio è la possibilità di permettersi abitazioni a Johor Bahru nelle vicinanze dei raccordi transfrontalieri: ciò comporta che vi sia un ulteriore stratificazione basata sul reddito all’interno della già subalterna categoria dei pendolari, con differenze di diverse ore nel tempo di percorrenza. Questa situazione negli ultimi anni è resa ancora più complessa dal fenomeno di gentrificazione che sta notevolmente elevando il costo delle case nel centro di Johor Bahru. L’innalzamento dei prezzi è dovuto agli investimenti nel mercato immobiliare johoriano da parte dei cittadini singaporiani, impossibilitati a possedere indefinitamente proprietà immobiliari a Singapore, nonché al superiore potere d’acquisto dei pendolari specializzati a medio reddito. Questo processo espelle la manodopera specializzata dal mercato del lavoro di Johor Bahru, che preferisce i superiori stipendi singaporiani, e ciò mette in seria difficoltà le aziende locali incapaci di trovare forza lavoro qualificata. A Johor Bahru è inoltre presente il peculiare fenomeno dei “senzatetto accidentali”, ovvero quelle persone che risiedono in altri distretti della regione e che devono comunque spostarsi a Singapore per lavorare. La lunghezza del viaggio da intraprendere porta il centro della città, soprattutto la zona di City Square, a diventare un’area di transito per lavarsi, mangiare o riposare. Tale fenomeno comporta un notevole problema d’immagine per l’amministrazione cittadina, che però ha recentemente trovato una parziale e involontaria soluzione. La recente edificazione di case di riabilitazione per i reali senza-tetto, quindi non accidentali, ha infatti consentito un provvisorio rimedio, in quanto queste strutture vengono utilizzate in gran parte dai pendolari provenienti dal resto di Johor che, in un certo senso, ne condividono la condizione[9].
Eventi esterni, come la pandemia da COVID-19, hanno esacerbato queste vulnerabilità. Con la chiusura dei confini, i lavoratori sono stati costretti a una scelta: stabilirsi a Singapore in alloggi di fortuna per non perdere i buoni stipendi, o rimanere a Johor con il rischio di rimanere senza lavoro. Molti hanno optato per la prima opzione, separandosi dai propri affetti ma mantenendo la propria stabilità economica[10]. La crisi pandemica ha evidenziato la disparità tra chi svolge mansioni essenziali in presenza e i “colletti bianchi” che, potendo lavorare a distanza, sono meno esposti ai rischi fisici e psicologici del pendolarismo.
Nonostante questa situazione di subalternità, i pendolari si trovano in una condizione privilegiata rispetto ad altre categorie di lavoratori migranti, soprattutto per questioni giuridico-legali. L’attrattività degli stipendi singaporiani porta infatti oltre un milione di migranti economici, spesso poco specializzati, a confluire a Singapore. La regolamentazione per i visti di lavoro garantisce però poche tutele a coloro che svolgono mansioni a basso reddito e che non detengono competenze specializzate. I visti si dividono infatti in 3 tipologie: al gradino più basso si trova il regime del “work permit”, ideato per i lavoratori del settore edile, del manifatturiero, della cantieristica navale, o dei servizi – inclusa l’assistenza domestica. Questo visto è concepito per mantenere transitoria la permanenza dei lavoratori a Singapore e coloro che ne sono titolari hanno limitate tutele legali. Al confronto, i regimi “S-Pass” e “Employment Pass” consentono ai migranti economici maggiori diritti, tra cui un percorso verso l’ottenimento cittadinanza, che non è disponibile per i titolari di “work permit”. L’S-Pass è riservato al personale mediamente qualificato, in possesso di un certificato tecnico, di un diploma o di una laurea, con un salario fisso mensile di almeno 2.200 dollari singaporiani. L’Employment Pass è invece aperto ai cosiddetti professionisti stranieri, solitamente in possesso di una laurea o di qualifiche professionali, che percepiscono un salario fisso mensile di almeno 3.600 dollari singaporiani. Un ulteriore aggravante per i titolari del “work permit” è l’impossibilità di fornire la referenza per i visti dei familiari, in un contesto in cui tale pratica è necessaria per essere assunti[11]. La maggioranza dei pendolari malaysiani è sottoposta proprio a quest’ultimo regime, aggiungendo quindi un ulteriore dimensione di precarietà alla loro esistenza. Nonostante ciò, se messi a confronto con gli altri lavoratori migranti a basso reddito, i cittadini malaysiani hanno diversi vantaggi: possono fare richiesta per permessi di lavoro in ogni settore, limitando quindi la segregazione settoriale, nonché evitano di fare affidamento alle onerose, spesso predatrici, agenzie di collocamento. In più i loro datori di lavoro non devono pagare gli obbligatori 5000$ di deposito di garanzia e più in generale non sono soggetti a iper-sfruttamento come, per esempio, i migranti economici del Bangladesh[12].
Ma se l’integrazione sub-regionale facilita la migrazione economica, è anche catalizzatrice di attività criminali transnazionali. Se si allarga lo sguardo dallo Stretto di Johor alla Nunsatara, nome storico con cui ci si riferisce all’aerea dell’arcipelago malese che oggi comprende Malaysia, Singapore e Indonesia, è evidente come tali attività illegali siano lo specchio delle strette relazioni economiche tra gli attori di questa sub-regione. Le attività criminali transnazionali che più interessano questa zona geografica sono il traffico di persone e animali, il contrabbando di merci e la contraffazione. Nonostante gli sforzi delle rispettive forze di polizia nazionale e la capacità di coordinamento, questi fenomeni continuano a persistere, con la porosità dei confini nazionali che gioca un importante ruolo. Tra l’altro, in questi flussi, i tre Stati ricoprono posizioni nella “supply-chain” criminale che rispecchiano quelle che intercorrono anche nell’economia legale. Singapore è infatti il “centro” delle operazioni per il suo ricco mercato interno e perché è un hub di collegamento globale. Per esempio, agli inizi degli anni 2000 era un comprovato luogo di partenza per le spedizioni di sigarette di contrabbando nel resto della regione, introdotte nel Paese dalla Malaysia e dall’Indonesia. La Malaysia invece riveste un duplice ruolo e funge sia da esportatore, come nel caso di merci di contrabbando, sia da importatore. È infatti punto di arrivo del traffico di essere umani che vengono poi sfruttati in vario modo nei luoghi di lavoro e nell’industria criminale. L’Indonesia funge invece da Paese di partenza, sia per quanto riguarda le merci sia per gli esseri umani. Dall’Indonesia provengono inoltre la maggior parte delle lavoratrici del sesso che operano a Singapore[13], oltre che essere la base per la fruizione della prostituzione a basso prezzo. Sulle isole indonesiane di Batam e Bintan, che singaporiani e malaysiani possono raggiungere agevolmente via mare, si trovano infatti sia regolari resort dediti al turismo sia veri e propri hub dell’economia illegale. È in questi ultimi che si può usufruire di un’industria del sesso molto più economica e discreta di quella offerta, per esempio, nel quartiere singaporiano di Geylang[14].
La Sopraelevata che collega Singapore a Johor e il triangolo Batam-Singapore-Johor sono inoltre due dei principali punti di transito regionale per il traffico di esseri umani. Il contrabbando inizia quando i lavoratori indonesiani immigrati, dopo aver viaggiato via acqua o via aria, arrivano a Singapore e da lì vengono poi trasportati via terra a Johor Bahru[15].
In definitiva, il fenomeno del pendolarismo transfrontaliero tra Johor e Singapore rivela le profonde contraddizioni che caratterizzano i confini del Sud-Est asiatico. Essi infatti restano giuridicamente rigidi ma al tempo stesso permeabili, attraversati quotidianamente da flussi di lavoratori che agiscono entro un’economia fortemente integrata ma strutturalmente diseguale. La mobilità quotidiana di centinaia di migliaia di individui si configura così non solo come strategia individuale di sopravvivenza economica, ma anche come cartina di tornasole delle disparità di sviluppo, dell’inadeguatezza delle infrastrutture e delle tensioni etniche e sociali interne alla Malaysia. Allo stesso tempo, questa mobilità rivela anche una profonda ambivalenza: da un lato è funzionale alla crescita economica dell’area, dall’altro alimenta nuove forme di precarietà, esclusione e stratificazione. In questo contesto, non stupisce che la porosità del confine venga sfruttata anche da reti criminali transnazionali, che si inseriscono nelle stesse traiettorie percorse dai pendolari per far transitare illegalmente merci, persone e capitali. Il confine tra legalità e illegalità appare così sempre più sfumato, alimentato da una struttura regionale che, pur non rinunciando al controllo sovrano, non riesce a contenere del tutto gli effetti negativi della sua stessa integrazione. L’area tra Johor, Singapore e le isole Riau si afferma dunque come uno spazio profondamente interconnesso ma strutturalmente ineguale, dove la mobilità rappresenta tanto una necessità quanto una vulnerabilità.
[1] Ye, J. (2016) “Class Inequality in the Global City Migrants: Workers and Cosmopolitanism in Singapore”, New York: Palgrave Macmillan, pp. 93-96.
[2] Ye, J. (2016), “Class Inequality in the Global City Migrants: Workers and Cosmopolitanism in Singapore”, New York: Palgrave Macmillan, pp. 102-104.
[3] Chua, H. B., Tay, E., Lee, B. S. R., Luong, T. H., & Lee, J. Y. (2025), “Johor-Singapore SEZ: Tracking the Progress”, Maybank Research Pte Ltd.
[4] Hutchinson, F. E. (2020), “Situating Johor”, in Hutchinson F. E., e S. Rahman (a cura di), “Johor: Abode or Development”, Singapore: ISEAS–Yusof Ishak Institute, p. 8.
[5] Toh M.H., e J. Bo (2016), “The SIJORI Cross-Border Region as an Economic Entity in 1990 and 2012, and Perspectives for 2030”, in Hutchinson F. E., e Chong T. (a cura di) “The SIJORI Cross-Border Region: Transnational Politics, Economics, and Culture”, Singapore: ISEAS – Yusof Ishak Institute.
[6] Yann Herng, Y., e Y. Zhang, (2019), “A Feeding Strait: Imagining a Cross border Commons between Singapore and Malaysia”, p. 2.
[7] The Strait Times (2025), “JB-S’pore RTS Link systems 50% complete; tracks from Malaysia to Woodlands to be done by July”, 27 febbraio, disponibile online al sito: https://www.straitstimes.com/singapore/transport/jb-spore-rts-link-systems-50-complete-tracks-from-msia-to-woodlands-to-be-done-by-july
[8] The Strait Times (2024), “Passport-free immigration clearance being explored under Johor-Singapore Special Economic Zone”, 11 gennaio, disponibile online al sito: https://www.straitstimes.com/singapore/passport-free-clearance-being-explored-as-part-of-plans-for-johor-s-pore-special-economic-zone
[9] Khoo S. L., N. S. F. Chang (2021), “Creative City as an Urban Development Strategy: The Case of Selected Malaysian Cities”, Singapore: Palgrave Macmillan, pp. 151-152.
[10] Tan K. S. Y., G. Lim (2023), “New Normal, Old Ties: COVID-19’s Social Impact on the Singapore-Johor Bahru Connection”, in Tan K. S. Y., e S. K. L. Chan (a cura di), Populations and Precarity during the COVID-19 Pandemic: Southeast Asian Perspectives, Singapore: ISEAS – Yusof Ishak Institute, pp. 30-34.
[11] Neo, L. J. (2022), “Stratified Migration: Differentiation and Disadvantages of Low-Wage Migrant Work in Singapore”, in Foblets M., e J. Y. Carlier (a cura di), Law and Migration in a Changing World, Cham: Springer Nature, pp. 609-611.
[12] Ye, J. (2016), “Class Inequality in the Global City Migrants: Workers and Cosmopolitanism in Singapore”, New York: Palgrave Macmillan, pp. 60-64.
[13] Greener, J., L. Naegler (2022), “Between Containment and Crackdown in Geylang, Singapore: Urban Crime Control as the Statecrafting of Migrant Exclusion”, Urban Studies Vol. 59, p. 2572.
[14] Munro, P. (2012), “Harbouring the illicit: borderlands and human trafficking in South East Asia”, Crime Law Social Change, Vol. 58, p. 171.
[15] Sulaksono, E. (2018), “The Patterns of Human Trafficking of Indonesian Migrant Workers: Case Study of the Riau Islands and Johor Border Crossing,” Masyarakat Jurnal Sosiologi, Vol. 23.
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