Dopo l’annuncio del presidente Obama sul riposizionamento strategico delle forze aeronavali americane nello scacchiere dell’Asia-Pacifico, si sono infittite le notizie su possibili azioni militari virtuali da parte di hackers della Repubblica popolare cinese. Dal quotidiano Financial Times al mensile giapponese per la sicurezza “Ricerche sugli affari militari” si sottolinea a gran voce come l’ammodernamento dell’Esercito di liberazione popolare (Elp) dal punto di vista dei mezzi e delle dottrine militari vada di pari passo a un incremento delle potenzialità offensive in ambito cyber-war.
La risposta ufficiale da parte dei media e degli addetti ai lavori cinesi non si è fatta attendere. Nelle ripetute dichiarazioni che stigmatizzano una mentalità statunitense da guerra fredda si è più volte sottolineato come in concreto non via sia una possibilità di duopolio militare sino-americano, di un G2 o di una cosiddetta Pax Chimerica. Piuttosto, si prospetta una gestione della scena globale da parte di più potenze, con Cina e Stati Uniti in una posizione non alleata ma nemmeno apertamente conflittuale. Uno dei punti di attrito e di criticità di questo scenario è proprio l’ambito virtuale. Un casus belli determinato da un’azione di cyber-war ha più probabilità di verificarsi di un incidente generato dalla contesa sui confini territoriali cinesi o da quella per l’approvvigionamento di risorse naturali (si vedano, al riguardo, le tesi di Peter Warren Singer). Nelle analisi realizzate dal gruppo Northrop Grumman per conto del Ministero della Difesa statunitense, si evince come le capacita offensive dell’Elp sulla rete siano andate progressivamente sviluppandosi: da un sistema organizzato di hackeraggio per l’approvvigionamento di segreti industriali ad utilizzo bellico, sino ad arrivare a un vero e proprio apparato organizzato e addestrato per l’interdizione dei sistemi di comando e controllo avversario. Più gli eserciti tendono a evolversi verso l’utilizzo di sistemi d’arma automatizzati, come nel caso degli Uav (unmanned aerial vehicle), maggiore è lo spazio di azione per sistemi di interdizione delle comunicazioni e di offensiva virtuale.
Il problema non sta però solo nell’accresciuta capacità offensiva cinese ma anche e soprattutto nella mancanza di un sistema collaudato e comunemente condiviso per l’analisi di azioni offensive attuate in via virtuale ma con conseguenze decisamente materiali, come l’interruzione dell’erogazione energetica per una intera rete elettrica urbana, o la cancellazione delle transazioni finanziarie della borsa valori. In questo ambito mancano i meccanismi di controllo reciproco e di gestione delle crisi già sperimentati per i conflitti più tradizionali. Se una gestione cyber-westfaliana dei confini virtuali non è ancora concretizzabile, la mancanza reciproca di fiducia tra Cina e Stati Uniti deve essere affrontata mediante cooperazione im ambito tecnologico, economico e culturale. Non si può lasciare il cyberspazio ai soli generali.
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