La politicizzazione della ricerca orientata alle politiche pubbliche

Nel febbraio 2013, il Ministero della protezione ambientale (Mpa) della Repubblica popolare cinese (Rpc) ha rifiutato di rendere pubblici i dati raccolti nel corso di una ricerca governativa nazionale sullo stato di inquinamento del suolo, ultimata nel 2010. Il rifiuto seguiva una richiesta presentata nel gennaio precedente da Dong Zhengwei, avvocato e attivista ambientale di Pechino. Esperti ambientali e analisti politici concordano nell’individuare nella presenza diffusa di fenomeni di contaminazione del suolo la ragione alla base della decisione del Mpa, tesa a evitare rimostranze da parte della popolazione e ricadute negative su stabilità sociale e investimenti industriali. La presa di posizione governativa ha rinfocolato il dibattito sul controllo esercitato dalle autorità cinesi sull’accesso alle informazioni ambientali. In termini più ampi, l’episodio è indicativo dell’influenza di fattori di natura politica sui processi di produzione e comunicazione delle risultanze scientifiche di attività di ricerca orientate al supporto delle politiche pubbliche nella Rpc.

In anni recenti, tali attività sono divenute parte integrante dei processi decisionali in seno alle autorità governative cinesi. Nel decennio dell’amministrazione Hu-Wen (2002-2012) la necessità di adottare “processi decisionali scientifici” (kexue juece, 科学决策) è divenuta centrale nella retorica ufficiale sulla formulazione, implementazione e valutazione delle politiche pubbliche. La spinta verso l’acquisizione di evidenze scientifiche a sostegno dell’azione governativa è considerevole nelle aree di criticità individuate dal governo in anni recenti, quali ambiente, welfare, sanità. La mole maggiore di lavoro viene svolta in questo senso da istituzioni riconducibili a tre tipologie: (a) agenzie di ricerca affiliate ad organi dell’esecutivo (Consiglio di Stato, ministeri); (b) istituzioni accademiche e di ricerca; (c) aziende private di consulenza. A commissionare le attività di ricerca sono in genere le autorità governative centrali e/o locali, attraverso affidamento diretto dell’incarico, inclusione di una data istituzione in gruppi di coordinamento governativo, nonché appalti pubblici per servizi. Informazioni e dati vengono raccolti direttamente sul campo o, più frequentemente, estrapolati dalle statistiche prodotte dai governi locali e trasmesse alle autorità superiori attraverso sistemi informativi dedicati.

Il ricorso alla ricerca orientata alle politiche pubbliche non è un fenomeno limitato alla Cina contemporanea. Esso è al contrario comune a livello globale: in misura sempre maggiore i governi si dotano di sofisticati strumenti di analisi per trovare soluzioni appropriate a complesse necessità di governance. In Cina come altrove, la ricerca orientata alle politiche pubbliche risulta, per sua stessa natura, particolarmente esposta all’influsso di fattori socio-politici. D’altro canto, è evidente come le modalità di interazione fra dimensione politica e ricerca si strutturino con modalità diverse a seconda del contesto considerato. Nel caso della Cina contemporanea, è possibile individuare due tendenze principali: (a) la capacità del discorso politico del Partito-Stato di delimitare i confini di domande, ipotesi e strumenti di ricerca considerati come “accettabili”, ovvero in linea con la retorica dominante; (b) l’esistenza di tematiche politicamente sensibili, con la conseguente difficoltà di accedere alle fonti di informazione necessarie alla ricerca. Il secondo filone interpretativo include fenomeni di condizionamento della ricerca che, pur non essendo politici in senso formale, derivano da processi di difesa di interessi privati, attuati attraverso il controllo o la manipolazione di dati e informazioni da parte di singoli attori o gruppi di interesse.

È evidente come tali dinamiche possano avere un impatto negativo sulla capacità di produrre evidenze scientifiche attendibili e di estenderne l’accesso all’opinione pubblica, inficiando così trasparenza e rispondenza alle necessità sociali delle decisioni governative. La tendenza a condurre attività di ricerca in maniera simpatetica agli interessi del committente è rilevata sovente nel caso di attività relative a progetti o politiche di rilevanza nazionale, specie qualora siano previsti investimenti considerevoli. Secondo un ricercatore impiegato in un organo governativo cinese, “quando stilammo il rapporto sui rischi connessi alla costruzione della diga delle Tre Gole e lo consegnammo al committente, questi ci disse che era troppo critico e ci invitò a modificarlo, facendolo apparire “migliore” [i.e., non menzionando i problemi ambientali evidenziati nella prima stesura]. I nostri superiori ci diedero il via libera e modificammo il rapporto”. Fenomeni di manipolazione delle statistiche utilizzate per la valutare politiche pubbliche sono altresì comuni nel caso di funzionari locali interessati a dare un’immagine positiva delle aree sotto la propria giurisdizione, nonché difendere interessi economici di natura privata, originati da legami personali esistenti tra funzionari e quadri dirigenti dell’industria.

In termini specifici, i fenomeni di politicizzazione possono esercitare un impatto sulle diverse fasi di cui si compone l’attività di ricerca, ovvero (a) identificazione della problematica; (b) valutazione della problematica; (c) elaborazione di proposte per correggere gli elementi di criticità individuati; (d) comunicazione dei risultati. Chi scrive ha avuto modo di osservare direttamente casi di condizionamento politico sulle modalità di svolgimento della ricerca. La capacità del discorso ufficiale di delimitare i confini delle attività di ricerca è risultata evidente nelle fasi iniziali di un progetto teso a valutare le difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie da parte delle popolazioni rurali cinesi, condotto nel 2008 da un’agenzia del Ministero della sanità cinese in coordinamento con il Ministero degli esteri italiano, presso il quale l’autore prestava servizio in veste di consulente. Nel corso della definizione del protocollo di ricerca, la controparte cinese si pronunciò negativamente circa l’inclusione fra le tematiche oggetto di indagine dell’accesso ai servizi di sanità di base (in particolare alle vaccinazioni) adducendo quale giustificazione al rifiuto il fatto che in merito non sussistessero problemi. In realtà, il problema della copertura vaccinale era all’epoca noto agli esperti del settore, tanto da essere alcuni anni più tardi incluso fra le priorità d’intervento sanitario governative. Ciononostante, i funzionari cinesi ritennero di limitare la propria libertà d’azione nel determinare le problematiche da includere fra i target della ricerca, assicurandosi che le attività in oggetto toccassero esclusivamente problematiche in linea con la retorica governativa e le relative strategie di comunicazione e propaganda, centrate al tempo sul potenziamento dei servizi curativi.

Se le dinamiche centripete di controllo del discorso ufficiale possono avere un impatto sulle modalità di identificazione delle problematiche da fare oggetto d’indagine, la presenza di interessi particolari a livello locale restringe in maniera considerevole l’accesso al campo, ovvero lo spazio (fisico e sociale) nel quale i dati e le informazioni necessarie alla ricerca sono reperibili. Nel corso di indagini svolte come elemento inquadrato in squadre di ricerca cinesi, chi scrive ha avuto modo di osservare come l’accesso al campo sia sistematicamente ristretto dalla burocrazia locale, a prescindere dalle autorizzazioni concesse ai ricercatori dalle autorità di livello superiore. Tali restrizioni assumono talvolta forme grottesche, come nel caso in cui, nel corso delle attività di ricerca sulla sanità cui già si faceva riferimento poc’anzi, un quadro di villaggio tentava di prevenire a un gruppo di ricercatori l’accesso alla parte più povera del villaggio sostenendo “lì son tutti sordomuti: non possono sentire le domande che gli farete, tanto meno rispondere”. Similmente, programmando una missione sul campo con un quotato istituto accademico, chi scrive è stato destinatario dello sfogo di un esperto cinese: “Lavorare in quell’area è difficile. Ogni volta che dobbiamo recarci lì le procedure di autorizzazione da parte delle autorità locali sono molto complesse. Non ci vogliono laggiù [area con forte contaminazione da metalli pesanti] poiché temono che la nostra presenza possa allarmare la popolazione, la quale potrebbe rivolgere delle rimostranze ai leader locali”. Gli ostacoli posti dai funzionari locali sono generalmente ispirati alla volontà di evitare valutazioni negative del proprio operato da parte dei superiori. È peraltro significativo notare come la preoccupazione per la stabilità sociale sembri agire da trait d’union delle dinamiche di condizionamento esercitate da parte delle autorità centrali e quelle locali.

Se le problematiche sin qui descritte possono far sorgere dei dubbi sulla bontà di parte della produzione scientifica cinese e dei programmi governativi su questa basati, esse possono altresì assumere una rilevanza più ampia qualora si consideri come, secondo proiezioni della Royal Society, il volume della produzione scientifica cinese sia destinato a superare quello degli Stati Uniti nel corso del 2013. In un contesto nel quale la condivisione di best practice in termini di politiche pubbliche si basa in modo crescente sulla letteratura scientifica pubblicata, è evidente come il potenziale effetto negativo delle costrizioni cui viene sottoposta la ricerca orientata alle politiche pubbliche in Cina possa estendersi ben al di là dei confini cinesi, costituendo fonte di preoccupazione anche per paesi i quali, attratti dal “modello” cinese, intendono replicarne l’esperienza per intraprendere un cammino di sviluppo socio-economico.

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