Tutti gli uomini del Segretario

A conclusione del 19° congresso nazionale e di un quinquennio segnato dall’accentramento del potere politico nelle mani del suo Segretario generale, il Partito comunista cinese (Pcc) ha scelto i componenti del nuovo Comitato centrale, chiamati a determinare le scelte strategiche della Cina sino al 2022. Fatta eccezione per alcune residue incertezze – destinate a essere superate nel marzo 2018 quando si riuniranno le “due assemblee” (lianghui, 两会) cui spetta formalizzare l’assetto dei vertici dello stato cinese[1] –, quanto ipotizzato da diversi osservatori nell’ormai lontano 2012 sembra aver trovato conferma in questi ultimi giorni.

Dal punto di vista delle filiere di potere, il congresso ha confermato il pieno affrancamento di Xi Jinping non soltanto dal predecessore Hu Jintao – dal quale Xi aveva preso le distanze sin dal 2012, anche in virtù del suo essere membro di una fazione contrapposta a quella di Hu – ma anche e soprattutto da Jiang Zemin e dalla sua base di potere a Shanghai.[2] Gli attuali membri del Comitato permanente del Politburo sono in effetti “figli” della Rivoluzione culturale e, guidati da Xi, mirano a superare quella classe dirigente di tecnocrati che si fece strada sotto la leadership di Jiang (1989-2002) e che seguì i precetti cardine dell’ideologia politica del Pcc con opportunistica flessibilità. L’obiettivo è quello di posizionarsi come degni successori di Mao e Deng, evitando che si muova contro di loro l’accusa di essere “membri del partito da un punto di vista organizzativo, ma non ideologico”.[3]

Il distacco di Xi da Hu Jintao e Jiang Zemin è passato attraverso alcuni importanti emendamenti apportati allo statuto del partito (dangzhang, 党章), primo tra tutti il riconoscimento del “Pensiero di Xi Jinping del socialismo con caratteristiche cinesi nella nuova era” come ideologia guida, un passaggio di portata storica, che pone il contributo ideologico di Xi su un piano analogo a quello del “Pensiero di Mao Zedong” e alla “Teoria di Deng Xiaoping”. Altro emendamento chiave riguarda la “contraddizione principale della società cinese”, la cui risoluzione è il cuore della funzione politica del Pcc e ne giustifica i mezzi. Tale contraddizione, un tempo individuata tra “i bisogni materiali e culturali sempre crescenti del popolo cinese” e “un basso livello di produzione”, si esprime oggi nella tensione esistente tra “le crescenti necessità del popolo per una vita migliore” e “lo sviluppo sbilanciato e inadeguato” dell’economia cinese. Il Pcc punta dunque a garantire il progressivo sviluppo economico del paese, ma in modo tale che questo non comprometta la qualità dell’esistenza della popolazione.

Il 19° congresso mostra anche l’avvio di tendenze politico-istituzionali che con ogni probabilità segneranno l’evoluzione della politica interna cinese nei prossimi cinque anni. La prima di queste riguarda la de-istituzionalizzazione dei meccanismi che regolano la promozione dei quadri ai vertici del Pcc. Sorprendendo molti qualificati osservatori delle dinamiche interne all’élite politica cinese, il Comitato permanente del Politburo emerso dalla 1a sessione plenaria del 19° Comitato centrale lo scorso 25 ottobre include un egual numero di figure riconducibili alle fazioni di appartenenza di Xi Jinping e di Li Keqiang –rispettivamente quella dei “principi rossi” (taizidang, 太子党) per il Segretario generale e quella della Lega della gioventù comunista (tuanpai, 团派) per il Premier.[4] Se i nuovi occupanti della terza e sesta posizione nella nomenklatura apicale – Li Zhanshu e Zhao Leji – sono “principi rossi” come Xi, Wang Yang, Wang Huning e Han Zheng sono cresciuti professionalmente sotto gli auspici di Zhu Rongji, Wen Jiabao (tuanpai), e Jiang Zemin (base di potere di Shanghai). Il tradizionale equilibrio tra fazione elitaria e fazione populista nel massimo organo del partito-stato sembra essere rimasto pressoché invariato.[5]

 

I sette membri del Comitato permanente del Politburo del Partito comunista cinese: da sinistra verso destra, Han Zheng (n. 7 nella nomenklatura), Wang Huning (n. 5), Li Zhanshu (n. 3), Xi Jinping (n. 1), Li Keqiang (n. 2), Wang Yang (n. 4) e Zhao Leji (n. 6) (immagine: Xinhua).

 

Basterebbe tuttavia ampliare la visuale e analizzare il Politburo nel suo insieme per cogliere un effettivo arretramento delle dinamiche di istituzionalizzazione dei meccanismi di selezione dei vertici del Pcc. Tra i diciotto altri componenti del Politburo, ben sedici – ossia tutti tranne Sun Chunlan, veterana lealista di Jiang Zemin e Hu Chunhua, protégé di Hu Jintao – sono politicamente e personalmente legati a Xi perché nati e/o formatisi professionalmente in una delle province e municipalità attraversate da Xi nel suo cursus honorum amministrativo (Shaanxi, Hebei, Fujian, Zhejiang, Shanghai), per aver frequentato la sua stessa università (la Tsinghua University di Pechino), o per il loro essere discendenti di famiglie di quadri rivoluzionari. Alcuni dei componenti del Politburo sembrano inoltre essere stati promossi nella loro attuale posizione con una rottura rispetto alla progressione canonica della carriera, non possedendo i requisiti di seniority previsti per assumerla prima del 2022. Questo è, ad esempio, il caso del Segretario del Pcc della municipalità di Pechino Cai Qi, arrivato ai vertici del partito nella capitale – e quindi nel Politburo – pur essendo shuangfei (双非, ossia “doppio no”, un quadro che nell’ultimo quinquennio non è stato né membro a pieno titolo, né membro supplente del Comitato centrale). Altri lealisti di Xi in posizioni-chiave sono Huang Kunming, proiettato a capo del Dipartimento per la propaganda del Pcc, Guo Shengkun, ora ai vertici della Commissione per gli affari politici e legali del Comitato centrale (che controlla il gigantesco apparato della sicurezza interna cinese), Li Qiang e Li Xi, neo-nominati Segretari del Pcc rispettivamente della municipalità di Shanghai e della provincia del Guangdong, e Ding Xuexiang, assurto ai vertici dell’Ufficio per gli affari generali del Comitato centrale.

A corroborare ulteriormente l’ipotesi della tendenza alla de-istituzionalizzazione dei meccanismi di promozione dei quadri del Pcc è stato l’allontanamento dal Comitato centrale di Li Yuanchao (fedelissimo di Hu Jintao pur essendo un “principe rosso” al pari di Xi), che si pensava sarebbe stato incluso nel Comitato centrale per non rendere palesi i favoritismi del presidente nei confronti dei suoi uomini. Destino analogo quello di Zhang Chunxian e Liu Qibao (rispettivamente legati a Jiang Zemin e Hu Jintao) che, pur sedendo ancora nel Comitato centrale, non sono riusciti a rientrare nel Politburo.

Xi Jinping ha dunque scelto di aprire le porte del Comitato permanente a tre membri non direttamente riconducibili alle proprie filiere di potere, dando però il via al suo secondo mandato potendo contare su suoi uomini ai vertici di municipalità e provincie cruciali (Pechino, Shanghai, Chongqing, Guangdong), così come degli organi decisivi del Partito (Commissione centrale per l’ispezione della disciplina del Pcc, Ufficio per gli affari generali del Comitato centrale, Dipartimento dell’organizzazione, Scuola centrale del Pcc, Dipartimento della propaganda, per citarne alcuni). Un ottimo inizio in termini di controllo sul sistema da parte del Segretario generale, ma a un prezzo non irrisorio: il pericolo associato a simili pratiche, infatti, è che il sistema sia meno governato da pratiche istituzionalizzate e più esposto alle idiosincratiche esperienze delle élite che lo governano e dai tratti culturali determinati dai loro milieu di appartenenza.

Una seconda tendenza di portata significativa è data dal fatto che, come accadde nel 2012, i quadri formatisi professionalmente nel settore delle riforme economico-finanziarie del paese sono stati esclusi dalle fila del Comitato permanente. I favoriti – Jiang Chaoliang e Guo Shuqing – precedentemente indicati come possibili uomini al timone delle riforme nel secondo mandato di Xi – sono stati relegati ai margini del Comitato centrale. Oggi Segretario del Pcc della provincia dello Hubei, Jiang Chaoliang ha maturato oltre due decenni di esperienza nel settore bancario cinese, dalla banca centrale  (People’s bank of China, PBoC), alla principale banca di sviluppo del paese (la China development bank). Guo Shuqing è presidente della China banking regulatory commission, ma i suoi appelli all’ulteriore apertura del settore del credito sono passati in sordina. Jiang e Guo sono ora in lizza[6] per assurgere al governatorato della PBoC al posto dell'”insostituibile” Zhou Xiaochuan, destinato a lasciare la  carica dopo tre mandati. La marginalizzazione politica di Jiang e Guo a vantaggio di profili meno “tecnici” potrebbe essere stata una mossa strategica per Xi, ma rischia di costare cara al paese.

Il 19° congresso ha, infine, presentato due ultimi aspetti innovativi rispetto all’ultimo ventennio di storia cinese: l’adozione di una retorica d’ispirazione nativista al servizio di un ulteriore rafforzamento del partito e l’inclusione di un diplomatico – il Consigliere di stato Yang Jiechi – nell’Ufficio politico. Con riferimento al primo aspetto, è significativo che Xi si sia rivolto ai delegati del partito sottolineando la necessità di coltivare lo “spirito della Cina contemporanea” (dangdai Zhongguo jingshen, 当代中国精神), “valori cinesi” (Zhongguo jiazhi, 中国价值), e la “forza cinese” (Zhongguo liliang, 中国力量) – termini d’ispirazione patriottica ma di matrice nativista che per la prima volta affiorano nel fondamentale rapporto politico presentato dal Segretario generale in apertura del congresso.[7] Con Xi, la declamazione retorica dell’eccezionalismo cinese trova quindi spazio non più solo negli articoli degli organi del partito come il Quotidiano del popolo, ma direttamente nel discorso ufficiale (tifa, 提法) del vertice del partito. Seguendo l’analisi di Schweller e Pu,[8] questo passaggio può essere interpretato come un evidente tentativo di delegittimazione di quel cosmopolitismo ecumenico di stampo anglo-americano nel quale la dirigenza politica cinese ha dato segni di non volersi riconosce già dai primi anni 2000.

Il secondo aspetto è legato all’ingresso nel Politburo dell’ex Ministro degli esteri e attuale Consigliere di stato con delega al Gruppo direttivo ristretto per gli affari esteri Yang Jiechi. Yang è stato presumibilmente elevato per il valore aggiunto che la sua vasta esperienza internazionale potrà apportare alla realizzazione della Belt and Road Initiative (BRI, anch’essa inserita nello statuto emendato del Pcc) e alla gestione dei rapporti bilaterali tra Cina e Stati Uniti. Era dal 2002 (con Qian Qichen) che non si vedeva un diplomatico nelle fila del Politburo; vale la pena ricordare, tuttavia, come Yang sia passato alla storia nel 2010 per aver esclamato che la soluzione delle dispute nel Mar cinese meridionale passa dal riconoscimento del fatto che “la Cina è un grande paese e tutti gli altri non lo sono”.

Ciò che emerge da questa prima, sintetica analisi dei cambiamenti ai vertici del partito-stato è la netta propensione della Cina ad allontanarsi dall’internazionalismo così come è stato concepito dalla fine della Guerra fredda, come progressiva confluenza in una “comunità internazionale” fondata su valori condivisi con l’Occidente. Sarà bene affrontare le sfide del prossimo futuro prestando attenzione ai giudizi normativi ripensando per tempo a come gestire i particolarismi storici e culturali che sfideranno l’ordine internazionale.

 

 

 

[1] Con il termine “due assemblee” si indicano le riunioni – organizzate una volta l’anno in contemporanea – dell’Assemblea nazionale del popolo (il “parlamento” monocamerale della Rpc) e della Conferenza politica consultiva del popolo cinese (massima istituzione cinese con funzioni consultive, incaricata di rappresentare gli otto partiti minori della Rpc, che agiscono comunque sotto la direzione del Pcc).

[2] Proprio Shanghai è stata al centro dell’azione del neo-confermato Segretario generale all’indomani del congresso: l’indicazione di un uomo di fiducia di Xi – Li Qiang – per ricoprire la posizione di Segretario del Pcc della municipalità, unita alla scelta di Shanghai come meta del simbolico primo viaggio di Xi fuori Pechino con tutti i membri del nuovo Comitato permanente, è considerata indicatore dell’esaurimento della base di potere autonoma che Shanghai ha rappresentato sin dai tempi dell’elevazione dell’allora Segretario della municipalità – Jiang Zemin – ai vertici nazionali del Pcc come soluzione di compromesso dopo la crisi di Piazza Tian’anmen (1989).

[3] Chunqiao Zhang, On Exercising All-Around Dictatorship over the Bourgeoisie (Pechino: Foreign Language Press, 1975), citato in: Hong Yung Lee, From Revolutionary Cadres to Party Technocrats in Socialist China (Berkeley: University of California Press, 1991): 122.

[4] Il settimo è Wang Huning, figura unica nel suo genere non soltanto per l’estrazione accademica, ma soprattutto per aver operato senza soluzione di continuità sotto Jiang Zemin, Hu Jintao e Xi Jinping, pur provenendo in origine da Shanghai (ed essendo per questo identificato con la base di potere di Jiang). Si veda: Haig Patapan e Yi Wang, “The hidden ruler: Wang Huning and the making of contemporary China”, Journal of Contemporary China 26 (2017) 108: 1-14.

[5] L’analisi delle dinamiche politiche ai vertici del Pcc basata sullo studio delle fazioni, e in particolare delle due fazioni principali – taizidang e tuanpai – è stato perfezionato in particolare da Cheng Li; si veda, ad esempio, il suo Chinese Politics in the Xi Jinping Era. Reassessing Collective Leadership (Washington: Brookings Institution Press, 2016).

[6] Tra i papabili anche Liu Shiyu, Presidente della China securities regulatory commission, e Yi Gang, uno degli attuali vice governatori della Banca centrale.

[7] Il termine “spirito cinese” (Zhongguo jingshen, 中国精神) appare ben 2.744 volte in articoli del principale sito d’informazione del Pcc. L’archivio online del sito mostra come questa espressione si sia affermata nel repertorio retorico del partito a cominciare dal giugno del 2008, quando fu utilizzata (in combinazione con “forza cinese”, Zhongguo liliang, 中国力量) per incoraggiare i terremotati di Wenchuan (provincia del Sichuan), ricordando alla popolazione che “non esiste avversità che sia insormontabile per l’eroico popolo cinese!” (renhe kunnan dou nanbudao yingxiong Zhongguo renmin, 任何困难都难不倒英雄的中国人民), si veda l’Url http://cpc.people.com.cn/pinglun/GB/241133/241149/17499830.html (link in cinese).

[8] Randall Schweller e Xiaoyu Pu, “After Unipolarity: China’s Visions of International Order in an Era of U.S. Decline”, International Security 36 (2011) 1: 44.

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